Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  luglio 18 Domenica calendario

Racconta Dione Cassio che Giulio Cesare, quando si apprestava a diventare dittatore, volle dare un segno inequivocabile del modo inflessibile in cui intendeva la disciplina militare

• Racconta Dione Cassio che Giulio Cesare, quando si apprestava a diventare dittatore, volle dare un segno inequivocabile del modo inflessibile in cui intendeva la disciplina militare. Siamo nel 46 avanti Cristo. Le truppe si erano ammutinate e protestavano per l’acquisto di tende di seta che dovevano impedire che il sole, durante i giochi, disturbasse gli spettatori. I soldati non avevano ricevuto un soldo e consideravano la spesa per il tendaggio superflua. Che cosa fece Cesare per punire i soldati? Ne consegnò uno al carnefice. Quindi diede ordine di ucciderne altri due secondo una ritualità particolare. Come scrive Dione Cassio, i soldati «furono sacrificati nel Campo di Marte» e le loro teste infisse alla Regia. Secondo Eva Cantarella, docente di diritto romano e greco alla Università di Milano e autrice del saggio I supplizi capitali in Grecia e a Roma (Rizzoli, 1991), l’ordine di Giulio Cesare traeva origine da una solenne cerimonia religiosa, il cavallo di ottobre, october equus, nel corso della quale una testa equina veniva tagliata e affissa al muro di un edificio pubblico, esattamente come nel caso dei soldati ribelli (per essere più precisi veniva tagliata anche la coda, e, ancora grondante di sangue, veniva deposta sull’altare per propiziare la fecondità, ma c’è anche chi sostiene che il termine cauda vada inteso nel senso gergale di pene). I romani, al pari di molti altri popoli antichi, erano dei cacciatori di teste, spiega Eva Cantarella. La testa decapitata di un nemico era un trofeo che doveva essere esibito, sulla sommità di un palo o tenuto con una mano, mentre tornavano al galoppo da una impresa vittoriosa. Naturalmente le fonti storiche registrano i casi in cui le vittime o i carnefici erano personaggi celebri e ignorano gli altri. Silla faceva portare al suo cospetto le teste insanguinate dei suoi nemici, quasi vive e ancora spiranti, per mangiarsi con gli occhi quanto non gli era concesso con la bocca, come racconta Valerio Massimo. Ancora Valerio Massimo racconta che Caio Mario «tenne lietamente tra le mani, durante un banchetto, la testa recisa di Marco Antonio. Mostrandosi oltremodo intemperante nell’animo e nelle parole, lasciò contaminare la santità della mensa con il sangue di quell’illustrissimo cittadino e oratore e giunse a abbracciare Pubblio Anneo, che gliel’aveva portata, ancora lordo del sangue di quella strage». A parte questi episodi di grande efferatezza, era cosa del tutto normale esibire le spoglie nemiche. Nel 69 a. C., la testa di Lucio Calpurnio Pisone Liciniano venne condotta per la città in cima a una picca. Nel 62 a.C. la testa di Catilina venne inviata a Roma. Nel 45 a. C., a Munda, Giulio Cesare fece circondare i pompeiani di un cerchio di teste infisse su dei pali. Sulla colonna Traiana, nella quale sono scolpite sei teste recise, l’imperatore esibisce alle truppe la testa del re Decebalo, morto suicida ma pur sempre nemico sconfitto. Quello che sarebbe cambiato, nella pratica della decapitazione, era lo strumento. Al tempo di Augusto si continua a usare la scure, come al tempo di Claudio faceva il preside di Siria Quadrato. Ma ai tempi di Nerone la spada prese il dominio assoluto. Durante la persecuzione africana, alcuni cristiani vennero decapitati con la scure ma si trattò, come si può concludere dai toni in cui ne parla Eusebio, di un evento straordinario. «Animadveri gladio oportet, non securi», scriveva Ulpiano, «bisogna eseguire le sentenze capitali con la spada non con la scure». «Dapprima sotto la scure», conclude la Cantarella, «e poi sotto la spada, dunque, le teste dei condannati a morte caddero fino al termine della storia di Roma: in un primo momento sul Campo di Marte (per limitarci alle decapitazioni nella capitale), quindi sul Foro, e più tardi ancora sull’Esquilino, dove il teatro delle esecuzioni venne definitivamente spostato in età imperiale».
• un classico che non passa di moda La decapitazione o, come spiegano i dizionari, «l’uccisione mediante il taglio della testa, specificamente in casi di condanna», è un modo di dare la morte antico ma tornato di attualità quando il ricercato numero due di Al Quaeda, al-Zarkawi, terrorista sul cui capo pendono venticinque milioni di dollari di taglia, l’ha messo recentemente in pratica in Irak su un cittadino americano di nome Nicholas Berg. C’è chi sostiene che il video della decapitazione di Berg, diffuso l’11 maggio da un sito Internet vicino ai terroristi, al-ansar.biz, è una messa in scena, che Berg era già morto al momento in cui al-Zarkawi lo ha decapitato. John Simpson, direttore del Dipartimento di Chirurgia al Royal Australasian College of Surgeons, Nuova Zelanda, spiega che se Berg fosse stato vivo «le persone nelle immediate vicinanze si sarebbero ricoperte di sangue nel giro di pochi secondi», perché la recisione delle arterie del collo provoca zampilli ingenti, mentre nel filmato al-Zarkawi e gli altri terroristi non sembrano imbrattati. Se questi sospetti sono fondati, la valenza simbolica della decapitazione non perde valore, anzi acquista una rilevanza ancora maggiore. Infatti se Berg è stato fatto fuori con il classico colpo di pistola e poi al- Zarkawi si è preso la briga di decapitarlo da morto per diffondere il video in tutto il mondo significa che a questa modalità di uccisione, aldilà del fattore ”trofeo”, attribuisce un significato particolare, che vuole fare le cose alla maniera islamica tradizionale rispettando la shar’ia, la legge coranica. Su settantotto paesi che ancora oggi mantengono in vigore la pena di morte, tredici si trovano in Medio Oriente e quattro di questi ultimi, vale a dire Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Yemen, tutti musulmani, eseguono la pena di morte applicando la shar’ia, con la decapitazione per mezzo di una spada (o con la lapidazione, modalità ancora più atavica, nei casi di adulterio). I primi a utilizzare la decapitazione in modo sistematico sono stati gli egizi, ben prima di convertirsi all’Islam. Nel periodo del Faraoni, che va dal IV millennio al IV secolo a. C., coloro che infrangevano il Maat, la Regola Universale, commettendo crimini come omicidio, furto, sacrilegio, spionaggio e alcuni tipi di infrazioni fiscali, venivano messi a morte tramite decapitazione (ma anche annegamento nel Nilo all’interno di un sacco chiuso e altri modi ancora). Dell’età romana abbiamo già detto.
• La decapitazione? nel mito Sia l’Antico Testamento che la mitologia greca forniscono molti casi di teste tagliate. Giuditta, giovane vedova biblica, dopo avere sedotto e inebriato il generale Oloferne, lo decapita liberando la sua città, Betulia, dall’assedio dell’esercito di Nabucodonosor. Lo stesso fa Davide con la testa di Golia ma dopo averlo steso con una fionda. Per quanto riguarda la mitologia greca, Medusa, splendida fanciulla mutata da Atena in un mostro che impietrisce con lo sguardo, può essere uccisa solo tagliandole la testa come farà Perseo. Tornando ai martiri cristiani, non sono pochi quelli che subiscono l’oltraggio della decapitazione. Il più conosciuto è san Giovanni Decollato, decapitato da Erode Antipa su richiesta della nipote Salomè come ricompensa per avere ballato per lui. Anche santa Caterina farà la stessa fine sebbene in circostanze diverse.
• Dipinti Senza testa In un articolo sul settimanale Diario, lo scrittore Luca Fontana, dice di essere colpito dalla grande quantità di quadri che raffigurano decapitazioni nella pittura italiana del tardo Cinquecento e primo Seicento. «Il solo Caravaggio (che assistette alla decapitazione dei Cenci)», scrive Fontana, «vi torna sei volte: due Davide e Golia, Giuditta e Oloferne, Salomè, la testa di Medusa (il sangue sprizza con la stessa esagerata pressione che si può vedere» e per alcuni, godere nei Kill Bill di Tarantino), sino all’estrema Decollazione di san Giovanni Battista dipinta a Malta. Sette, se si aggiunge il Sacrificio di Isacco, in cui una decollazione viene allusa, ma subito arrestata dall’angelo del Signore. Così tante teste mozze da far supporre, scartando la risibile spiegazione psicoanalitica di un radicato timore di castrazione nell’Artista stesso, perlomeno una diffusa ossessione culturale».
• Il progresso è la ghigliottina Dal XII secolo, la decapitazione, invece che con la spada o la mannaia, strumenti coi quali poteva rendersi necessario ripetere più volte il colpo per finire il condannato, viene realizzata anche con la ghigliottina «diretta emanazione», come spiega Michael Kerrigan, nel libro Gli strumenti di tortura, «della Vergine scozzese dell’alto Medioevo». Formata da due travi parallele in legno unite da una traversa cui è agganciata una lama che, a comando, scende sul collo della vittima, la ghigliottina deve il suo nome a un medico francese. Joseph-Ignace Guillotin nel 1789 la propose come mezzo per le esecuzioni capitali. In precedenza riservata ai nobili, perché rapida e poco cruenta, venne usata, indipendentemente dal ceto sociale della vittima, a partire dalla rivoluzione francese, in molti paesi occidentali. Dopo quel periodo storico sarà mantenuta come strumento capitale in Francia fino al 1981. Guillotin, che aveva abbandonato la carriera ecclesiastica coi gesuiti per darsi alla scienza medica, in contrapposizione a quelli che sostenevano che la testa mozzata resta cosciente per qualche atroce istante, diceva che non si fa nemmeno in tempo a sentire «una sensazione di fresco dentro la nuca». Le condanne a morte, durante il medioevo e fino alla età dei Lumi, in Francia come altrove, erano spettacoli pubblici a scopo deterrente e non avevano limite di efferatezza. I ladri venivano sottoposti al supplizio della ruota, i falsari erano bolliti vivi in un calderone, gli eretici bruciati, i cospiratori squartati e così via. Se è Guillotin a proporre la ghigliottina, è il medico patologo Antoine Louis, aiutato da un artigiano di nome Tobias Schmidt, che realizza la macchina da decapitazione, con lama di 7 chili, posta a una altezza di 2,5 metri, azionata da una corda. Oltre che meno cruento, uccidere diventò più facile. Nel periodo del terrore, solo a Parigi si ghigliottinarono 19.639 persone, compreso il re Luigi XVI, sua moglie Maria Antonietta e il chimico Lavoisier. A proposito di quest’ultimo, il matematico Lagrange dirà che «è bastato un momento per tagliare quella testa, e forse non basterà un secolo per generarne un’altra». Ancora in tempi piuttosto recenti la ghigliottina era considerata uno strumento quasi indolore, un modo di uccidere magnanimo e perciò poco adatto per gli autori di delitti particolarmente riprovevoli. «Poco prima della guerra del 1914», scrive Albert Camus nell’incipit di Réflections sur la guillotine, «un assassino che aveva commesso un crimine particolarmente rivoltante (aveva massacrato una famiglia di coloni, compresi i figli) venne condannato a morte a Algeri. Si trattava di un bracciante che aveva ucciso in una sorta di delirio omicida, ma con l’aggravante di aver derubato le proprie vittime. Il processo suscitò grande scalpore. Generalmente si ritenne che la decapitazione fosse una pena troppo mite per un simile mostro. Questa fu, così mi disse mio padre, sdegnato soprattutto dell’eccidio di bambini. Una delle poche cose che so di lui, in ogni caso, è che volle assistere all’esecuzione, per la prima volta in vita sua. Si alzò nel cuore della notte per recarsi sul luogo del supplizio, all’altro capo della città, fra un gran concorso di folla. Di quanto vide, quel mattino, non disse nulla a nessuno. Mia madre racconta soltanto che rientrò di furia, stravolto, si rifiutò di parlare, si stese un istante sul letto e d’improvviso cominciò a vomitare».
• A colpi di scure Non solo la Francia anche l’Inghilterra ebbe un re decapitato, Carlo I, la cui esecuzione, compiuta nel 1649 per mezzo della famigerata scure custodita dal boia nella Tower of London, si deve al puritano Oliver Cromwell che volle destituire, durante il suo regime, la Corona e anche la testa che la recava. Grande impalatore di nemici, anche Dracula, il sanguinario principe di Valacchia che ispirò la figura del vampiro di Bram Stoker, fu decapitato, dai turchi, in battaglia, perché si rifiutava di pagare i tributi. La testa fu portata al sultano come trofeo della vittoria. In Italia, una delle decapitazioni più celebri è quella delle Cenci. L’11 settembre 1599, sul patibolo innalzato a Ponte Sant’Angelo, Beatrice Cenci e la matrigna Lucrezia Petroni vennero decapitate con una spada di giustizia, per avere ucciso Francesco Cenci, rispettivamente padre e marito delle accusate, un violento che le angariava. Il fratello di Beatrice, considerato complice, venne ucciso con una mazzata in testa, squartato e appeso con uncini come carne da macello. Il popolo romano restò impressionato dalle esecuzioni che considerava ingiuste, in particolare quella della 23enne Beatrice, e si dice che portò in processione il cadavere e lo seppellì nella chiesa di San Pietro in Montorio.
• mastro titta, er boia Le esecuzioni, nella Città Santa, continuarono fino alla abolizione della pena di morte in Italia, sancita dal codice Zanardelli, nel 1889. Il boia più famoso fu Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta. Eseguì 516 condanne e le descrisse nelle sue Annotazioni. Nel 1864, a 85 anni, fu messo a riposo da Pio IX con una pensione di 30 scudi. Prima di ogni esecuzione si confessava, faceva la comunione. Giustiziere di Sua Santità, esordì impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, «giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso... un prete e il suo cocchiere». Lord Byron assistette a tre sue decapitazioni nel 1813, e scrisse che «La cerimonia, - compresi i preti con la maschera, i carnefici mezzi nudi, i criminali bendati, il Cristo nero e il suo stendardo, il patibolo, le truppe, la lenta processione, il rapido rumore secco e il pesante cadere dell’ascia, lo schizzo del sangue e l’apparenza spettrale delle teste esposte - è nel suo insieme più impressionante del volgare rozzo e sudicio new drop e dell’agonia da cane inflitta alle vittime delle sentenze inglesi». Furono i francesi, durante la repubblica napoleonica, a introdurre la ghigliottina a Roma. La prima vittima fu Tommaso Tintori, accusato di omicidio e decapitato nel 1810 da Mastro Titta. Nel 1815 il Congresso di Vienna restituì Roma al Papa ma la ghigliottina restò in funzione perché ritenuto strumento troppo agile e veloce per potervi rinunciare a cagione di motivi ideologici. Tommaso Borzoni, reo di omicidi appensati e ladrocini, fu il primo ghigliottinato sotto il Governo Pontificio, il 2 ottobre 1816. Gli ultimi, il 24 novembre 1868, furono Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, accusati dell’attentato alla caserma Serristori che causò la morte di 25 zuavi. Eseguì Antonio Balducci, già aiutante di Mastro Titta. Sarebbe infine impossibile elencare i casi di decapitazione criminale, ultima manifestazione di questa modalità di uccisione in Occidente, dopo l’abolizione della pena di morte, compreso, naturalmente, quello più o meno coincidente alla cruenta fine toccata a Berg. Carlo Cirillo, 43 anni, candidato alle elezioni comunali di Pompei, uscito di casa alle 7 del mattino, lunedì 24 maggio, per recarsi al lavoro, non è giunto in azienda. Il suo corpo decapitato è stato ritrovato un paio di giorni dopo ai bordi della superstrada Nola - Villa Literno. Come accade di solito in casi simili, la testa va perduta. di Antonio armano
• «I terroristi islamici stanno decapitando gli ostaggi perché sanno che il filmato di un metodo di uccisione tanto cruento provoca sgomento e paura in Occidente». Ugo Fabietti, docente di antropologia culturale all’università di Milano ”Bicocca” non ha dubbi. «Se non ci fosse stata l’intenzione di diffondere il video delle esecuzioni - spiega Fabietti - i terroristi non si sarebbero mai sognati di decapitare. Si sarebbero limitati a uccidere coi soliti metodi». Però è un fatto che quattro paesi islamici puniscono chi commette reati molto gravi tagliandogli la testa sulla pubblica piazza con una scimitarra. «Non escludo che possa esserci un richiamo alle esecuzioni dei criminali in paesi come l’Arabia Saudita ma credo che le decapitazioni degli ostaggi rispondano soprattutto alla finalità di rendere spettacolare la brutalità per seminare paura. Anche in conflitti come quello in Jugoslavia o in Rwanda, la violenza efferata che le parti in guerra si riservano, risponde alla stessa esigenza. Le uccisioni devono essere barbare perché in questo modo si terrorizza l’avversario, lo si spinge alla fuga». Ma quale valenza simbolica si può attribuire alla decapitazione? «Il significato simbolico è molto evidente. Con la testa si taglia la parte più nobile del nemico. Nella testa c’è la bocca con cui si parla, il cervello con cui si pensa, le orecchie con cui si sente, gli occhi con cui si vede. Ma questo discorso credo che ci porti fuori strada. I terroristi decapitano e filmano le decapitazioni per spaventare, creare sgomento in un Occidente che fino a non molto tempo fa applicava lo stesso modo di eseguire le condanne a morte, ma ora non è più abituato a queste forme di violenza».