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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

La parola mimetismo fa subito venire in mente il camaleonte, capace di cambiar colore a seconda dell’ambiente per confondersi con la vegetazione e mettersi al riparo da qualsiasi pericolo

• La parola mimetismo fa subito venire in mente il camaleonte, capace di cambiar colore a seconda dell’ambiente per confondersi con la vegetazione e mettersi al riparo da qualsiasi pericolo. Il camaleonte (dal greco chamailéon, ”leone nano”), possiede alcune cellule, i cromatofori, in grado di variare la distribuzione dei pigmenti sulla pelle. Gli occhi dell’animale percepiscono i colori circostanti, inviano le informazioni al cervello, che a sua volta comanda ai cromatofori di adeguare le tinte al paesaggio. La cosa curiosa è che vengono analizzati tutti gli aspetti dell’ambiente, anche la temperatura e il grado di luminosità. Alcuni studiosi hanno inoltre notato che durante la stagione degli accoppiamenti i maschi si dipingono di colori più accesi, probabilmente per sedurre le femmine della specie e lanciare agli altri pretendenti il segnale di stare alla larga. Dopo un combattimento, il maschio sconfitto si allontana tutto mogio e vestito di colori meno brillanti. Il geco, invece, non solo prende il colore delle rocce su cui si poggia, ma per raggiungere un livello di mimetizzazione più perfetto possibile arriva ad assottigliarsi per ridurre la propria ombra. Mentre la ranocchia Paradoxophyla palmata ha rughe della pelle che riproducono persino i bozzi e le sporgenze dei sassi su cui vive. Viene da chiedersi quanto ci sia di consapevole in questi comportamenti. Il professor Danilo Mainardi, etologo, sostiene di non conoscere nessun esemplare «che sia conscio del proprio potere mimetico. Il comportamento è innato, previsto dal patrimonio genetico, al massimo acquisito copiando gli atteggiamenti di esemplari adulti».
• La lepre variabile, che diventa bianca con l’arrivo dell’inverno Alcuni mammiferi sono capaci di cambiare aspetto solo a ogni cambio di stagione, per adeguarsi ai diversi colori del paesaggio. La lepre variabile (Lepus timidus), più piccola delle lepre comune, le orecchie più corte e la coda senza la caratteristica punta nera, zampe larghe e pelose che le permettono di camminare anche sulla neve, vive ad altitudini più elevate degli altri esemplari. D’estate la sua pelliccia è grigio-bruna, colore adatto a nascondersi nei boschi e a sfuggire i suoi nemici (in particolare l’aquila reale). In ottobre c’è la muta: la livrea, da grigia, si uniforma al paesaggio innevato diventando candida (solo la punta delle orecchie rimane nera). Danilo Mainardi: « la durata del giorno che influisce sul cambiamento: quando le giornate si accorciano, come succede in inverno, l’organismo produce meno melanina, la pigmentazione dei peli diminuisce e la pelliccia diventa bianca». Altri animali che usano uno stratagemma simile, i bruchi della farfalla notturna del Sud Ovest degli Stati Uniti (Nemoria arizoria), che sono capaci di trasformarsi nel cibo di cui si nutrono: fiori in primavera, foglie d’estate.
• Le falene della betulla e la Rivoluzione industriale. Qualche volta è la natura a selezionare i colori degli animali in base ai mutamenti dell’ambiente. Per spiegare questo fenomeno, Jean-François Bouvet, neuropsicologo francese, racconta l’evoluzione della Falena della betulla, che esiste da sempre in due varietà: una chiara e una scura. Prima della Rivoluzione industriale gli esemplari chiari erano i più numerosi. Dopo la Rivoluzione industriale l’inquinamento causato dalle fabbriche fece aumentare di numero le farfalle più scure. La spiegazione è semplice: le falene della betulla, che vivono e cacciano esclusivamente di notte, passano le ore del giorno immobili sui tronchi; prima che i fumi industriali invadessero l’atmosfera le betulle erano ricoperte da licheni giallini, che aiutavano le falene a nascondersi dai predatori. Poco a poco i licheni, anneriti dai fumi, sparirono per mancanza di ossigeno, le farfalle chiare divennero facili prede e la natura fece proliferare quelle più scure.
• Pesci che si fingono meduse, uccelli che sembrano rami: ogni animale ha i suoi trucchi. Il dono del mimetismo non è solo una questione genetica. Alcuni esemplari, sebbene non siano in grado di cambiar colore a seconda del paesaggio, inventano altri stratagemmi. Certi pesci, ad esempio il Melanostigma, si difendono da eventuali minacce ripiegandosi su sé stessi in forma d’anello e restandosene sospesi nell’acqua come le meduse (disdegnate dalla maggior parte dei predatori per via dei tentacoli urticanti e dello scarso valore nutrizionale). Il Podargus strigoides, uccello delle foreste australiane dalle piume striate di grigio e dal becco ricurvo, di notte mangia insetti, scorpioni, lumache, ranocchie, di giorno è capace di stare immobile per ore appiattito su un tronco, il becco levato verso l’alto, per imitare il ramo spezzato di un albero. Una poiana del continente americano (Buteo albonotatus), invece, vola in compagnia degli avvoltoi, ai quali somiglia nel colore e nella forma delle ali. Gli avvoltoi la lasciano stare, perché non mangiano i loro simili. E le poiane imbrogliano le loro prede che si accorgono troppo tardi del trucco.
• Il Mimo poliglotta che canta per non restare scapolo. Il Tordo Beffeggiatore (Mimus Polyglottus), uccellino dalla lunga coda, non solo riesce a riprodurre il canto di altri uccelli, ma addirittura imita il gracidio delle rane, il frinire dei grilli e il rumore del treno. Il motivo per cui quest’animale, che vive prevalentemente in America, ripete anche dodici volte di seguito la stessa strofa col verso di un altro animale, non è ben chiaro. Alcuni studiosi ritengono si tratti di una strategia per tenere lontani gli uccelli che seguono la sua stessa dieta, in modo da avere campo libero nella caccia. Altri sono convinti che sia una tecnica di corteggiamento. Pare che la femmina di tordo, infatti, sia portata a scegliere il maschio che canta meglio, tant’è vero che gli scapoli cantano di più, anche di notte, e così pure i vedovi.
• Il mimetismo, un’ottima arma per procurarsi il cibo. Il mimetismo di certi insetti, definito ”aggressivo” dagli studiosi, serve a spiare le prede senza il timore di esser notati. La Mantide religiosa, filiforme, spine sparse su tutto il corpo e sulle zampe, colorata di verde, del tutto simile a un filo d’erba, carnivora, a volte aspetta la sua vittima immobile per ore col torso sollevato, le zampe ripiegate davanti alla faccia quasi in segno di preghiera (da qui il nome). Quando la preda si avvicina, l’agguanta con un movimento fulmineo delle zampe, la tiene ferma con le spine e la sgozza con le mandibole taglienti (nemmeno la testa coriacea di una vespa rappresenta un boccone indigesto). Alcuni esemplari sono dotati anche di espansioni a forma di petali sulle zampe e sul torso, con piccole macchie nere ottime per attirare le mosche. Queste mantidi, che naturalmente non sono tutte verdi ma sfoggiano più colori, si posano su di un fiore e aspettano pazienti. Alcune, come gli esemplari della specie africana Idolum diabolicum, non hanno nemmeno bisogno di trovare una pianta su cui poggiarsi, perché assomigliano loro stesse a un fiore. Molto comuni sono anche i cosiddetti Insetti stecco, della specie dei fasmidi: antenne pelose, piccoli occhi, il corpo costituito da un pezzo unico per imitare al meglio un pezzetto di ramo, sono anche capaci di variare la ripartizione di particolari pigmenti color seppia dal verde al marroncino. Pur essendo numerosi, sono molto difficili da avvistare, e non per via delle dimensioni: il più grande, di una specie indonesiana, misura 33 centimetri. Il loro segreto è proprio la capacità di mimetizzarsi in maniera perfetta con le foglie e i rami di cui si nutrono (soprattutto rovi e lamponi). Anche il nome, del resto, lo dice: fasmide, dal greco phasma significa fantasma, apparizione. Altri animali, per attirare le prede, si mettono in posa di modo che una parte del loro corpo sia identica a un ghiotto boccone. Ad esempio la parte finale della coda di alcune giovani vipere della specie Agkistrodon contortrix, di colore giallo brillante, assomiglia molto a un verme: ulteriori attorcigliamenti rendono l’inganno perfetto e la trappola mortale per rospi e lucertole è pronta. Alcuni granchi mettono in bella mostra le scintillanti chele bianche e rosa, attirando con la speranza di un buon pasto pesciolini ignari e imprudenti.
• Un altro trucco: rendersi schifosi o addirittura carogne. Alcuni ricercatori hanno osservato che un predatore che ha la sfortuna di cibarsi almeno una volta di un animale dalla carne disgustosa, ricorderà il saporaccio per molto tempo, magari dopo aver vomitato. Conseguenza: associando la sensazione sgradevole a un certo colore, si terrà sempre alla larga una determinata specie e la si manderà a cacciare altrove. Per questo alcune bestiole commestibili si mettono al sicuro grazie a tinte che le rendono identiche a esemplari sgradevoli. La maggior parte degli esempi riguarda il mondo degli insetti. Esistono numerose specie simili alle vespe, ma completamente innocue, che mostrano una protuberanza del tutto inoffensiva ma simile a un pungiglione. Tra i mammiferi, alcune specie di scoiattoli, appetibili e indifese, approfittano della somiglianza con altrettante specie di tupaidi, la cui carne è talmente sgradevole da essere rifiutata da qualunque predatore. Altri animali, per aver salva la vita, usano il ”trucco del morto”. I cadaveri, poco invitanti per via della carne putrida, vengono infatti snobbati dalla maggior parte dei predatori. Per questo alcune bestie, quando sono nei guai, fingono di essere morte magari per ore e ore. Molti insetti, tra cui alcuni ragni e coleotteri, se ne stanno a pancia all’aria, le zampe ripiegate sull’addome, perfettamente immobili; altri animaletti, che normalmente vivono sulle piante, si lasciano cadere a terra e lì rimangono finché il predatore non si è allontanato. L’espediente sembra funzionare, tanto che viene adottato anche da alcuni mammiferi. L’opossum, piccolo marsupiale australiano dalla pelliccia grigiochiaro, a volte se ne sta fermo per più di sei ore di fila: passato il pericolo, si alza come niente fosse. Alcuni pesci, tra cui i ”neon” (Paracheirodon innesi) e i ”cardinali” (Cheirodon axelrodi), quando finiscono nelle reti dei pescatori si lasciano galleggiare impietriti in mezzo agli altri: non appena vengono ributtati in mare, guizzano via tutti vivaci.
• Abbott Handerson Thayer, pittore americano vissuto alla fine dell’Ottocento, osservò per anni affascinato il modo in cui la natura aiuta alcuni animali «cancellando i contrasti di ombra e luce»: «Spesso una pelliccia maculata o un piumaggio multicolore servono a sfumare i contorni, rendendo le sagome molto meno visibili». Da qui il termine di mimetizzazione disruptive (’di disgregazione”), un effetto ottico che fa sì che da lontano l’occhio non riesca a mettere a fuoco una forma precisa e ben delineata. Chiari i vantaggi: assalti a sorpresa, difesa dagli attacchi, mimetizzazione completa. Sfruttano la mimetizzazione disruptive giaguari, leopardi e alcuni tipi di serpenti. Ma anche molti pesci che nuotano in superficie (come gli squali) o alcuni uccelli marini (ad esempio i pinguini) hanno il corpo bicolore: chiaro sulla pancia, nero o blu sulla schiena. Dall’alto si confondono col colore scuro delle profondità dell’oceano, dal fondo marino, grazie al ventre bianco spariscono contro la superficie illuminata dal sole. Chi non ha la fortuna di poter contare sui colori della nascita, rimedia da sé: ecco allora i ”granchietti decoratori”, o le granceole, crostacei che si ricoprono completamente di alghe o di coralli molli per confondersi col fondo sabbioso. Le osservazioni di Thayer riscossero un tale successo, che negli anni della Prima Guerra Mondiale sia gli Alleati che i tedeschi decisero di sfruttarle per camuffare soldati e materiale bellico: nacquero così le prime tute mimetiche. Non solo: la Marina britannica dipinse l’esterno delle navi di bianco e azzurro pallido perché si confondessero col cielo e il mare. L’espediente riuscì talmente bene che la Broke, prima nave da guerra inglese colorata, fu speronata due volte da altri vascelli della Royal Navy.