Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 2 settembre 2000
Strettamente riservato. Le memorie di un super ministro della Prima Repubblica
• Geronimo, pseudonimo di Paolo Cirino Pomicino, napoletano, andreottiano, celebre presidente della Commissione Bilancio della Camera e, a furor di popolo, eletto simbolo della Prima Repubblica, di Tangentopoli, della Corruzione, eccetera eccetera.
• Processi a carico di Pomicino che si sono conclusi finora: 24. Esiti: assolto 22 volte, condannato due volte per finanziamento illecito.
• «Nell’immaginario collettivo io ero un satrapo, tra i più furbi e intelligenti. Nacque a Napoli, ma non solo a Napoli, la leggenda secondo cui la mia ricchezza fosse di 500 miliardi, anzi no, 1000, o forse 1500 e anche 2000 miliardi. A ogni avviso di garanzia il mio presunto tesoro aumentava.
Ero diventato proprietario del palazzo d’Avalos in via dei Mille; ero socio della Italgrani di Franco Ambrosio; ed ero anche proprietario occulto della Icla, il cui nome altro non sarebbe stato che la somma delle iniziali delle mie figlie (Ilaria e Claudia). E se la Icla, in realtà, aveva questa denominazione dal 1942, quando io avevo appena tre anni, che importava?
Un giorno, eravamo nell’estate del 1994, presi un taxi a Santa Lucia per andare a casa e l’autista mi riconobbe. Avuta conferma della mia identità, mi disse di botto: ”Onore’, che piacere conoscervi. Io ho lavorato negli ultimi due anni a Milano, lì ho saputo che vi siete comprato l’autostrada Torino-Milano e ciò mi ha fatto veramente godere. Finalmente un napoletano che ha dato una lezione a quei polentoni razzisti dei milanesi”. Confesso il mio peccato: non ho avuto il coraggio di deluderlo».
• «La più grande risorsa di Napoli è sempre stata la miseria» (Paolo Cirino Pomicino).
• «Quando nel 1983 divenni presidente della commissione Bilancio organizzai la squadra di calcio del Parlamento. Anche nel football la Prima Repubblica si è sempre dimostrata superiore alla Seconda: noi, infatti, facevamo giocare soltanto quelli capaci. Non badavamo cioè al nome noto, ma all’abilità tecnica: Mastella, per esempio, era una schiappa e restava a casa, uno come Veltroni non l’avremmo mai schierato, Casini neppure, perché non sa cosa sia il calcio giocato. Come terzino destro giocava il missino Gianfranco Fini, che faceva coppia con l’altro esponente della Fiamma, Domenico Nania. C’era poi Francesco Rutelli, che però aveva poca voglia di allenarsi e arrivava sempre in ritardo. Giocava anche Famiano Crucianelli di Democrazia Proletaria, che mi venne a dire: ”I comunisti sono preoccupati. Mi dicono che non posso giocare insieme con i fascisti”. Si aprì un dibattito. Era un impegno serio: ci allenavamo due volte la settimana, il mercoledì e il giovedì. Ricordo che una volta, quando ci accorgemmo che il prolungarsi delle votazioni rischiava di far saltare il nostro allenamento al campo sportivo, facemmo appositamente mancare il numero legale in aula. Giocammo la prima partita contro l’Austria a Roma. Siccome è deprimente giocare senza pubblico, chiamai il colonnello Pappa e gli dissi: convochi gli allievi della Guardia di Finanza in borghese per fare numero. Quando entrammo in campo, Crucianelli vide quel pubblico di ragazzi con i capelli cortissimi, mi venne vicino e quasi m’insultò: ”Te l’avevo detto: Fini ha fatto venire i fascisti della Giovane Italia”. Vincemmo 1-0, gol dell’onorevole comunista Strada».
• Gli onorevoli Silvano Labriola (noto iettatore), Angelo La Morte e Carlo Satanassi presentarono l’emendamento 17.17 che stanziava alcune decine di miliardi per l’allargamento delle aree cimiteriali. La Camera approvò immediatamente e all’unanimità.
• «Caro onorevole, se chiediamo qualcosa su Romiti, nessuno risponde. Se chiediamo qualcosa su Agnelli, tutti svengono» (i pm torinesi Gian Giacomo Sandrelli e Gian Carlo Avenati Bassi a Pomicino che, rifiutandosi di rispondere sull’accusa di falso in bilancio a Romiti, li invitava a interrogare Agnelli).
• «Violante ha sempre immaginato che dopo aver affidato i nostri finanziamenti illeciti ai magistrati, quelli ricevuti dai suoi compagni di partito dovessero invece essere affidati agli storici» (Paolo Cirino Pomicino).