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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

 uno spazio magico e forse unico nell’universo: una fascia sottile dove è possibile la vita

•  uno spazio magico e forse unico nell’universo: una fascia sottile dove è possibile la vita. Si chiama biosfera ed è la zona della Terra dove si incontrano organismi viventi: fanno parte di essa l’acqua, l’aria e la terra. In pratica, tutta l’idrosfera, l’atmosfera fino a cinquemila metri d’altezza e la crosta terrestre fino a circa due chilometri di profondità. Un sistema molto complesso, che ricercatori e governi hanno voluto riprodurre con grandi progetti a partire dagli anni Ottanta. I primi che provarono a ricreare un pianeta Terra in miniatura furono i russi con Bios 3, una bolla di vetro che produceva una buona parte del cibo necessario a sostenersi e riciclava l’aria, quasi tutta l’acqua, ma non i rifiuti umani. Quattro scienziati riuscirono a sopravvivere in quasi completa autosufficienza dentro alla bolla per sei mesi. Non molto, ma abbastanza perché l’esperienza diventasse la base di altre imprese, come la costruzione della stazione spaziale orbitale Mir e il progetto Biosphere 2. Questo, considerato un po’ la risposta americana a Bios-3, (erano i tempi della Guerra fredda!), divenne decisamente più ambizioso. Biosphere 2, in piedi ancora oggi, è una struttura che si sviluppa su una superficie di un ettaro nel deserto dell’Arizona e ricrea al suo interno i principali ambienti terrestri. Sotto cupole e piramidi di acciaio e cristallo trovano posto sette diversi ecosistemi: savana, deserto, foresta equatoriale, palude, oceano, campi agricoli, habitat umano. Al suo interno vivono circa duemila specie di animali e di piante. Qui hanno soggiornato anche numerosi scienziati. Otto di loro vi sono rimasti dentro per due anni, dal 1991 al 1993, vivendo di quello che riuscivano a produrre. Neanche questo esperimento è riuscito completamente: i ricercatori speravano di sopravvivere addirittura cinque anni, ma la penuria di cibo, la rarefazione dell’atmosfera interna e soprattutto lo stress della convivenza forzata a cui erano sottoposti fece accorciare la durata del progetto. A causa dei tagli alla ricerca e del ridimensionamento del budget delle agenzie spaziali, questo tipo di progetti si è notevolmente ridotto e ha cambiato natura. Le biosfere artificiali più recenti mirano soprattutto a conservare e rappresentare la diversità biologica del pianeta. Sono a metà strada tra un giardino botanico globale e ipertecnologico, utilissimo ai ricercatori, e lo strumento didattico per sensibilizzare il grande pubblico ai problemi della biodiversità. L’ultimo arrivato è infatti l’Eden Project, attualmente in costruzione in Cornovaglia: ospiterà migliaia di piante a rischio di estinzione, provenienti dalla zona temperata, dai tropici e dalle regioni calde del pianeta. La struttura, estesa su 15 ettari, catturerà l’energia solare e raccoglierà l’acqua piovana, risultando quasi autosufficiente.
• Riprodurre la biosfera non è un’attività fine a se stessa. Gli esperimenti mirano a comprendere meglio i problemi ambientali che potremmo dover affrontare in futuro, legati ad esempio all’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera. I ricercatori possono studiare meglio che in laboratorio come gli ecosistemi risponderanno al riscaldamento del pianeta. Un altro importante obiettivo della ricerca è la colonizzazione dello spazio: una biosfera autonoma al cento per cento potrebbe finalmente rendere possibile un insediamento umano stabile sulla Luna o addirittura su Marte.
• Il mondo nelle vostre mani. questo che si prova sollevando una delle biosfere costruite da Massimo Massucci, fondatore della Globus International di Albenga. Sono sfere di vetro di dimensioni variabili dai 10 ai 60 centimetri cubici che contengono un vero e proprio ecosistema in miniatura. Una specie di acquario, ma molto più complesso, perché tutte le specie vegetali e animali presenti all’interno sono perfettamente autosufficienti e non c’è bisogno di ricambio d’aria, d’acqua o di cibo. Sono il risultato di anni di esperimenti per trovare l’equilibrio ideale tra il tipo e la quantità di biomassa racchiusa all’interno. Quelle costruite da Massucci sono in realtà uno dei risultati di Biosphere 2, un progetto avviato dagli americani dieci anni fa.
• Le figlie di Biosphere 2. stata la professione di fotografo e documentarista di Massucci a fargli incontrare dieci anni fa Taber MacCallum e Jane Poynter, che per due anni vissero e lavorarono nell’habitat quasi completamente autonomo di Biosphere 2. Una volta terminata l’esperienza di questa grande biosfera, i due americani si dedicarono a miniaturizzare questi modelli di ecosistema, per aumentare il numero delle osservazioni scientifiche e ottenere più dati. Ridurne le dimensioni vuol dire poter trasportare le biosfere nello spazio per studiarne la biologia in assenza di gravità. Nel 1996 una ventina di biosfere navigarono così per otto mesi sullo Space Shuttle Endeavour e sulla stazione russa Mir.
• una storia di spie. «Quella delle biosfere è una storia avvincente, in cui entrano perfino la Cia e lo spionaggio sovietico», spiega Massucci, «le biosfere esistono dagli anni Sessanta, dai tempi delle missioni per la Luna, ma pare che i dati per la creazione di sistemi autosufficienti vennero rubati dai russi. Il gruppo di MacCallum riuscì a reimpossessarsene solo con l’aiuto della Cia». Nacque così la prima biosfera, riproduzione di un ambiente lacustre in cui decine di animali differenti sopravvivono perché ognuno serve alla sopravvivenza dell’altro. All’interno di questo mondo a tenuta stagna convivono alghe, lumachine e crostacei microscopici come i copepodi e alcune specie di gamberetti, insieme alle Daphniae, le pulci d’acqua. Ma la chiave di tutta la vita è una particolare pianta acquatica senza radici, il Ceratophyillum demersum: é lei che, attraverso la fotosintesi, genera l’ossigeno indispensabile a tutti gli abitanti. L’evoluzione di questo primo tipo di biosfera è la beachworld, la riproduzione di un ambiente marino in cui troviamo dei ramoscelli di gorgonia, una specie di corallo con base legnosa, sul quale proliferano le alghe produttrici dell’ossigeno necessario ai gamberetti. I quali ricambiano il favore mantenendo le alghe sane e pulite. Si crea così un ciclo di vita in cui le alghe forniscono cibo e ossigeno agli animali, che a loro volta forniscono anidride carbonica e sostanze nutritive alle piante acquatiche. La sabbia rilascia un certo quantitativo di calcare e di sali minerali indispensabili alla vita dell’ecosistema. Inoltre la sfera non è completamente piena, ma viene lasciata una certa porzione d’aria che rappresenta l’equivalente dell’atmosfera del nostro pianeta. La scelta delle specie di abitanti e degli ingredienti è delicatissima. sufficiente un po’ troppa sabbia per ridurre l’ossigenazione oppure un aumento della temperatura per compromettere l’ecosistema.
• Un delicato equilibrio. Le variabili da controllare sono tantissime perfino per un esperto: l’esposizione alla luce elettrica, perché quella naturale è troppo variabile, non deve superare le 6/8 ore al giorno e la temperatura deve restare tra i 17 ed i 27 gradi. Se trattata con attenzione, una biosfera vive dai tre ai sei anni. L’attuale record di longevità è di 12. Questo anche se la riproduzione è quasi assente: le beachworld sono troppo piccole per consentire un aumento delle nascite. Qui la vita è infatti un equilibrio precario che dipende dal numero degli abitanti, dal cibo, dall’ossigeno e dalla luce disponibili. Un aspetto molto interessante riguarda i batteri, che penetrano durante l’assemblaggio. Alcuni batteri aerobi svolgono un ruolo decisivo nella decomposizione delle sostanze organiche. «Le biosfere sono dei sistemi chiusi, ma è comunque possibile intervenire» avverte Massucci, «se l’acqua è torbida, segno di una sovrapproduzione di alghe, di solito è sufficiente ridurre la luce per due settimane. Se invece la sfera è troppo pulita il problema è opposto: senza alghe si rischia una carenza di ossigeno pericolosa per gli altri abitanti». Dopo la beachworld la prossima tappa è l’antiquarium: un piccolo formicaio in bottiglia che permette di osservare da vicino il comportamento di un’intera colonia di formiche. anche possibile condurre esperimenti didattici di grande interesse per una scolaresca, come ad esempio sostituire le formiche con quelle di un’altra specie e verificare le differenze comportamentali. Questi però sono sistemi leggermente diversi, perché non completamente isolati ed è necessario togliere il coperchio per qualche istante almeno una volta al mese per cambiare l’aria. Dietro questi piccoli mondi sotto vetro non c’è però solo un’idea commerciale: «Ci piace pensare che non siano solo soprammobili» spiega Massucci, «ma che queste piccole biosfere ricordino quanto è fragile e prezioso anche l’ecosistema in cui viviamo».
• Il paradiso in Terra esiste e si trova sulle coste della Cornovaglia, nel Sud-Ovest della Gran Bretagna. l’Eden Project, la più grande biosfera mai costruita che sarà al centro di una delle prossime puntate de ”La Macchina del Tempo” su Rete 4. Le cupole dell’Eden Project sono più alte della Torre di Londra e ricoprono più di 150 mila metri quadri nel terreno riconvertito da una vecchia cava di argilla. La struttura, interamente progettata al computer, assomiglia ad una serie di giganteschi igloo di plastica, ma è leggerissima. Niente a che vedere con le serre di una volta: in vetro e acciaio, pesanti e squadrate. Qui tutto è fatto da tubi in lega leggera disposti ad esagono e ricoperti dal fogli trasparenti di etiltetrafluoroetilene, una plastica speciale, simile al teflon che ricopre le nostre padelle di cucina, tanto difficile da pronunciare quanto facile da utilizzare. Le cupole racchiudono tre differenti zone climatiche: quella temperata, quella umido-tropicale e quella caldo-temperata. Per i profani della climatologia questo vuol dire che nel primo ambiente incontreranno una grandissima varietà di piante provenienti dall’Himalaya, dal Cile e dall’Australia, nel secondo invece specie originarie dell’Amazzonia, dell’Africa Occidentale, della Malesia e dell’Oceania. Nella terza si troveranno infine piante a noi più familiari come fiori e viti tipici del Mediterraneo, della California o del Sud Africa.
• Delle foreste tutte da visitare. Questa volta però la biosfera non è più uno spazio ad uso e consumo esclusivo di ricercatori e scienziati. Lo scopo è di raccogliere in un unico luogo migliaia di specie vegetali per conservarle e renderle visibili al grande pubblico. Una missione importante sia per l’interesse botanico sia perché permetterà di sensibilizzare tutti i visitatori al problema della perdita della biodiversità terrestre. stato calcolato che quasi un quarto delle specie di piante presenti sul nostro pianeta potrebbero scomparire nell’arco dei prossimi 20 anni. Il costo di questo paradiso in Terra? Poco più di 120 milioni di euro: non eccessivo se si pensa che dovrebbero visitarlo almeno 750 mila persone ogni anno.