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 1999  luglio 05 Lunedì calendario

Mettiamo, per pura ipotesi, che l’Aldilà sia un’opera di finzione

• Mettiamo, per pura ipotesi, che l’Aldilà sia un’opera di finzione. Mettiamo che di vita ci sia solo questa. Mettiamo che in questa vita, nella nostra unica vita, abbiamo faticato un bel po’ a trovare un altro, un’altra, che abbia la stessa stupida voglia che abbiamo noi di dare senso alle cose. Una voglia stupida e accanita, perché le cose accadono e basta, e se hanno un senso non vengono certo a raccontarcelo. Mettiamo che per un colpo di fortuna troviamo quello o quella con cui stringere un simile patto e cominciamo a fabbricare insieme, pezzetto dopo pezzetto, il senso della vita. un lavoro duro, meticoloso, che richiede una complicità quasi criminale, quella che solo due che si amano possono permettersi. Che cosa succede se a un certo punto - un punto ormai molto avanzato della costruzione, un punto direi irreversibile, dove tutto è già miracolosamente in piedi e adesso, se non crolla, potrebbe cominciare a funzionare, potrebbe essere un’assurdità in cui provare ad abitare - che cosa succede, dicevo, se a questo punto uno dei due scopre di avere un cancro ai polmoni?
• Sono appoggiato al muretto da dove si sono buttati Evasio e Vera. Erano coetanei. Per quindici anni hanno costruito insieme le loro giornate. A sessantotto, prima che il cancro avesse ragione di lei, si sono suicidati. Se tu te ne vai io che faccio? Come posso reggere da solo l’impalcatura di questa assurdità? Abbiamo impiegato un’esistenza a tirarla su, e adesso tu credi che me ne resterò qui senza di te? Il muretto è di quelli larghi, comodi, dove ci si siede per mangiare i gelati. in mezzo a palazzi onesti, decorosi, intonati a Sanpierdarena, il quartiere proletario di Ponente, la Manchester di Genova, tutta gente operaia che si è guadagnata un briciolo di benessere e un marciapiedi pulito con la dignità del proprio lavoro. Non si sa a che ora sono arrivati a questo muretto Evasio e Vera. Si sa che il rumore dei loro corpi in frantumi è stato avvertito alle dieci e mezzo di sera. Il rumore doppio di due corpi, precipitati senza un grido e atterrati ancora uniti sulla rampa del garage dieci metri più sotto. Si sa che fino alle otto la coppia era a far visita alla sorella di lui, ricoverata all’ospedale di Villa Scassi, proprio sull’altro lato della strada. Che cosa abbiano fatto e si siano detti Evasio e Vera in quel lasso di tempo appartiene al progetto esistenziale che i due si sono portati con sé nel tuffo.
• Era domenica, il giorno più maledettamente fragile della settimana, dove tutto si incrina e crolla con maggior facilità. Il programma era quello solito, studiato nei minimi particolari proprio perché tutto sia come sempre, perché tutto sia normale. Ma Vera ha appena saputo di avere la morte nei polmoni, il cancro la mangia rapidamente e niente sarà più come sempre, niente potrà più essere normale. Meno che meno una domenica pomeriggio. Eppure i due pensionati ci provano. Abbiamo fatto tanta fatica, non basterà questo a distruggere tutto. Lui lava la macchina, lei prepara il pranzo, insieme sistemano i gerani, spazzano quei cinque metri quadrati di giardino di cemento in cui si specchia la loro casetta gialla. Puntellano così il loro quotidiano, con i riti collaudati della convivenza. Piccole abitudini, come sacchetti di sabbia attorno alla vita. No, la distruzione non entrerà.
• Abitavano praticamente sotto l’enorme ponte della ferrovia reso famoso da Carlo Lizzani con Achtung banditi, là dove le fabbriche e i capannoni industriali di Pontedecimo lasciano il posto alle prime tracce di natura di Campomorone, là dove la Val Polcevera smette di essere una direttrice di Genova e penetra sicura negli Appennini. Scendendo verso il fiume, c’è un complesso di case bifamiliari con l’orticello sul retro, una specie di falansterio di pensionati dell’Ansaldo, dell’Italsider, della Miralanza che si sono fatti qui il loro eden tascabile con i risparmi e la liquidazione. In mezzo a loro, Evasio e Vera hanno approntato la loro domenica, forse senza sapere ancora che fosse l’ultima. Non hanno lasciato messaggi, hanno rassettato la tavola dopo il pranzo e hanno apparecchiato per la cena. La vicina che li ha visti uscire il pomeriggio per la gita domenicale assicura che avevano i modi gentili e cordiali di sempre. Una coppia felice. «Nessuno poteva immaginare» dice convinta. Forse, appunto, neanche loro. Oppure, la distruzione era già entrata. I sacchetti di sabbia erano già una trincea vinta e la felicità era solo un’operazione di immagine. Non stiamo precipitando, non stiamo precipitando. Siamo già in volo, ma non stiamo precipitando: l’estremo sforzo di rappresentazione di una coppia che si è guadagnata con i denti la serenità. Un saggio di pubbliche relazioni che, se fosse vero, darebbe alla loro complicità un’intonazione quasi eroica.
• La macchina è pronta. La casa è a posto. Si può partire. Evasio avvia la sua Uno blu e la mette nel flusso tranquillo del traffico festivo. I due sono di nuovo soli. Scivolano lenti per la Val Polcevera, incontro alla passeggiata nel parco, incontro alla visita della sorella di Evasio - piccole cose dotate di senso -, incontro al vuoto. Se tu te ne vai io che faccio? Non mi puoi mollare proprio adesso, dopo tutto quello che abbiamo sgobbato. Se lo fai tu lo faccio anch’io. Lo facciamo insieme. Insieme. Già, insieme. Ma per andare dove? Evasio e Vera non si sono mai sposati. Pur conoscendosi fin da ragazzi, si sono messi insieme tardi e da quella volta hanno convissuto. Non avevano figli e non ne hanno fatti. Si sono alleati per far quadrare questa vita, non una successiva. Il loro amore riguardava la battaglia che tutti noi combattiamo ogni giorno sulla terra. Il cielo non c’entrava. L’idea del suicidio non ha molto a che vedere con una prospettiva religiosa. Uno manda al diavolo tutto perché ha investito ogni goccia della sua energia qui, adesso, e non si sente ripagato. Difficilmente lo farebbe, credo, in vista di una redenzione possibile. Ma forse mi sbaglio, forse sto solo riempiendo di parole, come un povero dj, il buco del tragitto in macchina da Pontedecimo a Sanpierdarena.
• Magari i due anziani, nella loro Uno lucidata a puntino, non avevano ancora deciso nulla. Sabato pomeriggio Vera era stata dal parrucchiere a farsi la messa in piega e adesso, magari, aggiustava il colletto della camicia di Evasio, e basta. Un tocco semplice, con due dita sul risvolto. Una carezza normale, distratta, al compagno che guida. Non ci vuole tanto per vederli procedere con cautela verso Villa Scassi, parcheggiare bene sotto il marciapiede e avanzare uno a fianco all’altro, con lo stesso identico passo, sul ghiaino del parco. Lei, con la borsetta in mano e il gilè sull’avambraccio, se casomai rinfresca la sera. Lui con le mani libere, come un ragazzo, a cercare con gli occhi la panchina giusta, il sentiero in ombra. Come potrò resistere senza di te? Come potrò, come potrei? questo passaggio dall’indicativo al condizionale, un passaggio anche solo mentale, che segna la decisione di Evasio. Chissà in che momento è scattato. O forse è stata Vera: vieni via con me. Un tocco con due dita sul risvolto del colletto: vieni via con me. Via dove? Via. Via di qui. Una proposta dritta, senza tanti preamboli, non perché qualcos’altro cominci - l’Eternità, il Mondo Celeste - ma perché questo finisca. Una proposta che mette Evasio di colpo in una strana posizione: dire no significherebbe tradire il proprio amore, preferire la vita. In realtà, strettamente parlando, Evasio non sceglierebbe, si limiterebbe a fare quello che ha sempre fatto, quello che sta ancora facendo: vivere. Ma rispetto al castello di carte che in tutti questi anni ha costruito con Vera, rispetto alla loro comune volontà di dare senso alle cose, dire no sarebbe un vero tradimento, una debolezza umana, una fuga dal Grande Amore. In chiesa si promette «finché morte non vi separi» perché lì dentro un cancro ai polmoni può ancora avere un senso. Fuori, invece, un cancro ai polmoni non ne ha manco uno, e allora ecco che la morte può addirittura unire.
• La chiesa di Sampierdarena è praticamente attaccata all’ospedale di Villa Scassi, a cento metri dal parco, a cinquanta dal muretto. un blocco di cemento ottagonale con un tetto a spicchi. Escono tre signore dell’età di Vera. Una si sta asciugando le mani col fazzoletto: acqua santa, immagino. C’erano anche domenica pomeriggio in chiesa, ma non si ricordano di aver visto nessun forestiero (nessuno che non fosse di questa parrocchia). E in effetti è difficile pensare che la filosofia dei due amanti, mi verrebbe da dire la loro poetica, li portasse da queste parti. La loro resistenza era un dialogo privato, non aveva altri interlocutori che loro stessi. No, niente chiesa. Evasio e Vera sono usciti dal parco, si sono lasciati il sole alle spalle alle sei in punto e si sono inoltrati nella frescura dell’atrio centrale dell’ospedale puntuali per l’orario delle visite. Tutto in regola, scala x, padiglione y. Li aspettano due ore e un quarto di conversazione con Maria, la sorella malata di lui. Centotrentacinque minuti di intrattenimento, di compagnia. Devono collaborare come solo loro sanno, per l’operazione felicità. I sacchetti di sabbia ormai non tengono più. La distruzione probabilmente è entrata e dilaga per le vie del fortino, ma loro sbucciano la mela, girano i cuscini, massaggiano la schiena, sistemano il comodino, chiamano l’infermiera perché la flebo è finita. La devastazione non deve apparire agli altri: questo sembra essere l’accordo muto dei loro gesti affettuosi verso Maria.
• Guardo il muretto e penso al suicidio di Evasio e Vera come a una forma estrema di eutanasia attiva. La vita ci ha giocati, la morte sarà dolce, ci verrà incontro a cento all’ora con la rampa del garage. Dolce e rapida. Li vedo vagare silenziosi per le vie del quartiere, come li hanno visti alcuni inquilini del condominio che sovrasta il muretto. Aspettano che faccia buio, che anche gli ultimi ritardatari tornino a casa, rientrino dai balconi per guardare la tv. una domenica di fine giugno, di quelle che non finiscono mai. In giro non c’è più nessuno. L’edicola, le pompe funebri, il Bar Kent, tutto spento. Solo la pizzeria al taglio lavora. Chissà quante volte ci saranno passati davanti Evasio e Vera, a guardare quelli che mangiano o quelli che si portano i cartoni a casa. Loro, la cena, l’avevano già preparata prima di uscire, ma a Pontedecimo, ormai hanno deciso, non ci andranno mai più. Tornano alla macchina, ci lasciano dentro gli orologi, gli anelli, i documenti e vanno a sedersi sul muretto come i due innamorati che sono. Evasio è un uomo sano di sessantotto anni. Ha parenti, amici, una casetta gialla, una Uno blu. Potrebbe godersi la pensione ancora per un bel po’. Deve scegliere se tradire Vera o la vita. Ma in realtà sta già guardando giù in basso, tra il cassonetto e il lampione verde, dove tra un attimo finirà con la sua compagna.