Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 settembre 2004
Un matrimonio d’amore e un figlio tanto atteso, che finalmente arriva ma non risolve il problema della successione imperiale perché non è un maschio
• Un matrimonio d’amore e un figlio tanto atteso, che finalmente arriva ma non risolve il problema della successione imperiale perché non è un maschio. L’ostilità delle correnti nazionaliste a una modifica della legge che vieta alle donne di salire al trono, ignorando secoli di storia e l’avvicendarsi di ben dieci sovrane. La rigida etichetta di corte della più antica monarchia ereditaria del mondo, che cancella l’autonomia e l’indipendenza di una giovane di belle speranze. Una cupa depressione. Questi gli elementi della storia di Masako Owada, moglie dell’erede al trono del Crisantemo Naruhito, e soprattutto la ”principessa triste” che appassiona e divide i giapponesi da circa dieci anni.
Quarantenne, bella, colta, raffinata, persino più alta del principe consorte, Masako cresce in ambiente cosmopolita seguendo gli impegni del padre, viceministro degli esteri e ambasciatore delle Nazioni Unite. Passa l’infanzia a Mosca, frequenta il liceo a Boston, prende una prima laurea in economia a Harvard e una seconda in legge all’università di Tokyo. A ventiquattro anni inizia una brillante carriera diplomatica al ministero degli Affari esteri e trascorre qualche mese a Oxford per perfezionare gli studi.
Quando conosce Naruhito se ne innamora subito, ma è certa che non vuole abbandonare il suo lavoro e per due volte si rifiuta di sposarlo. Poi cede a una proposta ”impossibile da respingere” sotto le pressioni del padre e della augusta imperatrice Michiko sua futura suocera.
Una mattina di giugno del 1993, i capelli cosparsi d’olio di camelia raccolti nell’acconciatura tradizionale, il volto coperto di polvere bianca e un abito di dodici kimono sovrapposti modello del IX secolo, sposa il suo principe fra l’entusiasmo della Nazione. Ma s’accorge subito che dovrà sopportare una vita imbrigliata nella rigida rete di regole del Palazzo Imperiale.
Qui, poco prima della cerimonia ufficiale, nel massimo riservo, subisce un complesso rituale: resta immobile e nuda davanti allo specchio dell’altare scintoista, mentre un sacerdote le passa sul corpo una simbolica scopa fatta da un manico di legno e una fila di strisce di carta bianchissima rendendola ”pura” e pronta a unirsi con la divinità. Perché l’imperatore, sebbene abbia rinunciato pubblicamente alla sua origine divina dopo la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, resta nella coscienza del popolo e nella prassi di segreti rituali il diretto discendente della dea del Sole.
• Il Palazzo imperiale. Masako scopre che i membri della famiglia imperiale non sono mai soli e non è concessa loro alcuna autonomia: un’ora di lettura al giorno, telefonate controllate, niente viaggi, niente shopping, nessun tipo di lavoro domestico, compreso cucinare o soltanto prepararsi un tè. Vivono come ospiti in una casa che, come tutte le proprietà della Casa imperiale, appartiene allo Stato, le spese sono inserite nel bilancio statale e sono amministrate da una serie di funzionari sotto la supervisione del Primo ministro. Intorno a loro i consiglieri organizzano impegni, doveri e visite ufficiali. Lei non può neanche vedere i genitori, se non una o due volte l’anno. Unici diversivi, lo studio del latino e quello delle relazioni internazionali con un insegnante privato.
Masako è insofferente e per i suoi 33 anni scandalizza il Giappone convocando una conferenza stampa in cui appare senza il consorte al fianco per annunciare una totale incompatibilità fra lei e il cerimoniale di corte. Ma l’incubo peggiore è il figlio che non arriva. Dopo sei anni di matrimonio e un aborto spontaneo, cominciano a circolare voci su ipotetiche cure per la fertilità alle quali la principessa avrebbe dovuto sottoporsi. La nascita della piccola Aiko nel 2001, la ”figlia dell’amore”, non smorza le polemiche perché soltanto una modifica all’attuale Costituzione potrebbe farla salire al trono. Lo scorso dicembre la principessa viene ricoverata in ospedale a causa di un herpes zoster per un crollo immunitario da stress, si ritira dalla vita pubblica e in primavera abbandona per più di un mese la residenza del principe, Palazzo Akasaka, rifugiandosi con la figlia in una villa segreta lontano da Tokyo. Non era mai successo nella storia della casa reale.
Ufficialmente è ammalata di «sindrome da adattamento». Il marito è dalla sua parte e ne prende le difese pubblicamente denunciando un sistema che vuole «cancellare la sua personalità» e le continue pressioni da lei subite per dare un erede maschio al Paese. Una minoranza irriducibile di ultranazionalisti chiede che sia ripudiata. Ma in caso di divorzio Masako tornerebbe a essere una semplice borghese e dovrebbe abbandonare la sua bambina, che ha due anni e mezzo e è già seguita da cinque insegnanti privati. I tre quarti della popolazione invece sono favorevoli al cambiamento, e sembra che alcuni esperti stiano già lavorando a una revisione della legge che dovrebbe passare entro il prossimo anno.
• Una società matriarcale. Il fatto è che per i giapponesi vedere una donna sul trono non sarebbe affatto una novità. Anche se gli storici generalmente tendono a trascurare l’origine matriarcale della società, per via di una documentazione incerta, basata soprattutto sulle rare testimonianze degli annali cinesi (la scrittura fu introdotta in Giappone solo nel sesto secolo) e un’abbondanza di racconti leggendari e mitologici, le donne al potere sono una presenza costante.
A cominciare dai primi secoli dopo Cristo quando i gruppi familiari organizzati in clan veneravano la figura di qualche antenato o antenata e diverse manifestazioni della natura, prima fra tutte la fertilità. La capacità di procreare dava alla donna grande autorità: era l’uomo a entrare nella famiglia della moglie e intorno alla figura materna era organizzata la vita del gruppo con grande libertà e naturalezza di abitudini sessuali. Simbolici fallici e immagini della dea madre, seni abbondanti e gambe divaricate, apparivano ovunque in Giappone prima delle purghe d’epoca Meiji (nel 1872 il governo impose un puritanesimo di stampo vittoriano e soppresse tutti i primitivismi per non urtare i pregiudizi degli stranieri e dare agli occidentali un’immagine moderna del Paese).
Secondo la mitologia, il primo imperatore fu Jinmu, diretto discendente della dea del sole Amaterasu (una delle divinità fondatrice dell’Arcipelago), proclamato ”re del cielo” (Tennô) l’11 febbraio del 660 a.C. (anno di fondazione dell’impero che ancora oggi si festeggia come il Natale di Roma). I giapponesi continuano a contare i loro sovrani partendo da Jinmu: quello attuale Akihito, salito al trono nel 1989, è il 125esimo.
Testimonianze del terzo secolo d.C. parlano di una regina di nome Himiko, una vergine sacerdotessa che teneva unito il popolo esercitando l’arte magica. Secondo gli storici potrebbe essere Jingô, vedova dell’imperatore Chûai e reggente intorno al 200 d. C. Si racconta che conquistò eroicamente la Corea, impedendo al figlio che portava in grembo di nascere con un sasso sotto il ventre, aiutata miracolosamente dai pesci che mantennero a galla le navi durante una tempesta. Sarebbe stato proprio questo figlio a suggerirle la strategia da adottare in guerra e, per farlo nascere in Giappone, la madre lo avrebbe partorito al quattordicesimo mese di gravidanza. Il bambino, futuro imperatore jin, venne poi venerato come Hachiman, il dio della guerra.
Sotto il regno di Suiko, la prima di otto donne che occuparono il trono tra il 592 e il 770 dopo Cristo, nasce la storiografia e viene compilato il primo codice di leggi. E la storia riporta molti esempi di figli che presero il cognome della madre. Poi, il piccolo scandalo dell’imperatrice Shôtoku (764 -770) e del suo consigliere Dôkyô, un monaco molto ambizioso, bello e di talento, che finì per ottenere su di lei un ascendente simile a quello che, undici secoli dopo, Rasputin avrebbe vantato sull’imperatrice di Russia. Lei ne divenne l’amante e lo portò a corte prima come ministro poi come Hôô, titolo riservato ai sovrani che avevano abdicato per prendere i voti buddhisti.
Quando Dôkyô pretese di essere nominato imperatore, nonostante la sua infatuazione Shôtoku sapeva che mai un suddito avrebbe potuto accedere al trono (la dinastia era ereditaria da quattordici secoli e questa continuità ne legittimava il carattere divino), quindi chiese conferma agli oracoli e si rifiutò di abdicare in suo favore. Alla sua morte (770) il monaco fu esiliato dalla capitale e trascorse il resto della vita in un’abbazia di provincia. Ma da allora in poi la corte ritenne più saggio evitare di dare tanto potere alle donne. Le ultime due imperatrici furono elette nel diciassettesimo (Meishô) e nel diciottesimo secolo (Go Sakuramachi), e la successione fu ufficialmente limitata ai maschi solo con la Costituzione Meiji (entrata in vigore nel 1890).
• Buddismo e confucianesimo. In realtà l’esclusione delle donne fu piuttosto l’effetto della crescente influenza del buddismo e del confucianesimo cinesi, che a partire dal sesto secolo ne avrebbero radicalmente cambiato ruolo e posizione sociale. Per il buddismo erano una categoria inferiore, che poteva aspirare al massimo, dopo un’esistenza esemplare, a reincarnarsi in un uomo di umili condizioni. Mentre i principi confuciani disegnavano un modello femminile di sottomissione e obbedienza: al padre, al marito e al figlio. Restava ancora la vita di corte, dove le aristocratiche mantennero inalterato prestigio, libertà di costumi e indipendenza di pensiero dominando la cultura almeno fino al Medioevo.
Nella più antica antologia poetica del Giappone, il Man’y ôshu (Raccolta delle diecimila foglie), 4500 poesie scritte tra il 670 e il 759, gli autori sono principi, cortigiani, bonzi, pescatori, artigiani e almeno una settantina di donne. Durante l’epoca Heian (794-1192) le dame di corte composero i capolavori della letteratura classica in un alfabeto di loro invenzione, aggirando la regola che vietava loro di imparare gli ideogrammi importati dalla Cina (la scrittura attuale è un misto dei due alfabeti). Gli uomini trattavano solo temi eruditi o edificanti, scrivevano in cinese disdegnando il ”nuovo giapponese”, proprio come i letterati europei dell’Alto Medioevo scrivevano in latino di teologia, mistica, scienza e legge considerando disdicevole il volgare.
Nacquero figure leggendarie come la poetessa Ono no Komachi, mitica bellezza del nono secolo, che «conobbe la propria incostanza e quella degli uomini». Fra il decimo e l’undicesimo secolo scoppiò il caso scandaloso dei primi romanzi: Sei Shônagon raccontò nel diario Makura no Sôshi (Racconti del cuscino) abitudini e intrighi del raffinato e licenzioso ambiente di corte; e Murasaki Shikibu (978?-1015?) scrisse un’opera fiume paragonata alla Recherche proustiana in cui immortalò vita e amori di Genji il principe splendente (Genji Monogatari). Poi, con l’affermarsi della società feudale, cominciò il declino. In epoca di Edo (1600-1869) quando il consolidarsi del potere dei generali (shôgun) e dei samurai portarono all’esaltazione delle arti marziali e del valore militare, le donne non erano più che ancelle degli uomini. E i samurai furono i primi a confinare le loro spose nel ruolo di mogli e madri devote, limitandone la libertà di movimento e esaltandone la castità. Per la passione c’erano sempre bordelli e case da tè nei quartieri di piacere.
Il risultato fu una sempre più marcata divisione dei ruoli e una netta separazione fra i sessi: gli uomini come gruppo dominante godevano di un indiscusso diritto di precedenza in ogni circostanza su madri, mogli, sorelle e figlie. Il sistema è rimasto pressoché inalterato fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la Costitutizione democratica del 1947 ha dato alle giapponesi il diritto di voto, «l’uguaglianza dei diritti di marito e moglie» e l’autonomia dell’accordo tra i futuri sposi: non più matrimoni combinati o imposti (specie per la donna). Nel 1980 il Giappone ha sottoscritto la convenzione dell’Onu sull’eliminazione di ogni discriminazione contro le donne, ratificata dal Parlamento con una legge sulle pari opportunità d’impiego (1985).
• Due mondi paralleli. Tuttavia nella società giapponese si percepisce ancora oggi l’esistenza di due gruppi, maschile e femminile, che hanno continuato a convivere con compiti posizioni e regole diverse senza mai mescolarsi fino in fondo. E i diritti concessi alle donne non sono mai diventati vera e propria emancipazione, perché non hanno determinato cambiamenti sostanziali nel rapporto di potere tra i due sessi all’interno della famiglia e nel mondo del lavoro. Di fatto la donna è ancora in una posizione d’inferiorità, anche se nel tempo si è costruita circoscritti territori di autonomia.
Il mestiere più diffuso per le ragazze giapponesi, con tanto di laurea e università di prestigio alle spalle, resta quello di segretarie. Le chiamano ”fiori del lavoro”, ”ragazze del tè”, ”office lady”. A loro si richiede avvenenza e rispettabilità (alcune compagnie si rifiutano di assumere ragazze che vivono da sole). Se fino agli anni universitari puoi vederle girare con mèche, minigonne inguinali, pantaloncini corti, fiocchetti e merletti stile kawai (da ”adorabili bamboline”), una volta a lavoro indossano divise anonime e abbandonano ogni eccesso. Unico imperativo: la discrezione.
La donna giapponese deve occupare poco spazio, contenere i gesti, essere sempre socievole e garbata. I loro contratti, salvo difficile e personale trattativa, non contemplano mai possibilità di carriera perché i capi presumono che una volta sposate lasceranno l’impiego. La forte competizione impone rinunce e sacrifici (niente ferie e orario no stop) che mal si addicono a una mamma di famiglia, e come se non bastasse i mariti si vergognano di avere mogli che «lavorano come un uomo». Paradossalmente le ragazze del tè sono le più invidiate: dopo le cinque del pomeriggio possono disporre del loro tempo senza preoccupazioni e senza rimpianti per una realizzazione professionale dalle regole disumane.
Alle donne resta la gestione dell’economia familiare, la pratica e l’insegnamento di alcune professioni ”artistiche” molto remunerative, nelle quali hanno progressivamente sostituito il sesso forte: l’ikebana (composizione floreale), la danza, la cerimonia del tè, la calligrafia. Quanto al cosiddetto ”commercio dell’acqua”, ossia la gestione di bar, locali notturni e prostituzione in genere, è un regno tutto al femminile dove le signore spesso possiedono anche i locali che mandano avanti.
• Il sogno di un riscatto. Negli ultimi anni le adolescenti sono impazzite per l’autobiografia di Ijima Ai (Platonic sex), storia di una ragazza irrequieta che scappa di casa, si prostituisce, diventa una diva del porno, per affermarsi infine come attrice di successo del piccolo schermo e conduttrice di programmi educativi per la Nhk. E Natsuo Kirino ha dato voce all’insoddisfazione delle madri immaginando un gruppo di operaie del turno notturno di una fabbrica di cibi pronti, che cercano di evadere una vita di obblighi familiari e duro lavoro sottopagato, unite dalla complicità per l’assassinio di uno dei loro mariti (Le quattro casalinghe di Tokyo).
La nuova generazione di scrittrici parla di famiglie divise, abusi, stupri, violenze, passione per un erotismo affrontato con precisione scientifica di dettagli e spirito di ricerca. La donna in Giappone è sempre il riflesso di quello che desiderano gli uomini. Educate a credere di potere raggiungere gli stessi obiettivi sociali e comportarsi come loro, non appena diventano spose realizzano che non è vero. E alcune usano il corpo per affermare un’identità personale attraverso quella sessuale.
Il destino della principessa Masako appassiona come il sogno di un riscatto. Donna moderna, istruita, autonoma e indipendente, ha fatto sperare che un segnale di reale cambiamento potesse arrivare proprio dalla Casa imperiale, l’ultima roccaforte della tradizione.
• Le prime cronache storiche del Giappone intrecciano la mitologia col desiderio della famiglia reale di divinizzare le proprie origini.
Nel Kojiki (Cronaca dei fatti antichi, 720 d.C.) il dio Izanagi e la dea Izanami, fratello e sorella, ma anche marito e moglie, si uniscono creando una miriade di divinità fra cui la dea del sole Amaterasu e il dio del mare Susanô. Lei, che regna nei prati celesti, dà vita alle risaie, agli argini, ai canali. Lui, che comanda sulle superfici marine, le usa per devastare le risaie e opporsi alla sorella. Susanô viene cacciato dal cielo e si insedia
a Izumo, sul mar del Giappone. Ma Amaterasu, che vuole assicurare all’Arcipelago la propria discendenza, manda
sulla terra il nipote Ninigi, dotato di tre oggetti divini:
lo specchio, la spada e la collana di gioielli ricurvi. Egli si stabilisce in un’isola del sud (Kyûshû) e da qui
un suo nipote, il futuro Jinmu, si sposta verso nord per conquistare tutto il Paese. Vincitore nell’impresa,
lui che appartiene alla quinta generazione di discendenti della dea del sole Amaterasu, l’11 febbraio del 660 d.C.,
si proclama Tennô, imperatore del sole.
• Il ruolo dell’imperatore viene stabilito per la prima volta con la Costituzione dei 17 articoli (604 d. C.): è la suprema autorità, ma prende ogni decisione d’accordo con i suoi ministri. I governatori amministrano in nome e per conto del governo; devono consultare gli altri funzionari
e accettare le decisioni della maggioranza. Il codice è un abbozzo di monarchia costituzionale, simile a quello che è stata la Magna Charta per l’Inghilterra.
La nuova Costituzione viene benignamente concessa dal sovrano in epoca Meiji (1868-1612). Approvata dopo 15 anni di lavori da un consiglio privato creato apposta viene promulgata l’11 febbraio del 1889 e entra in vigore nel 1890. L’imperatore, sacro e inviolabile, è al di sopra della parti politiche: esercita il potere legislativo d’intesa con la Dieta (il Parlamento), dichiara guerra, stipula trattati di pace e accordi internazionali, comanda le forze armate e controlla la pubblica amministrazione. La Dieta è composta di una Camera bassa elettiva, senza potere d’iniziativa, e di una Camera alta dei Pari, con diritto di veto su ogni proposta di legge.
Dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale gli Alleati obbligarono l’imperatore a smentire la sua origine divina per tagliare le radici della mistica ultranazionalista. Cosa che Hiroito fece con solenne cerimonia il primo gennaio 1946 . Il testo originale fu redatto dal generale Mac Arthur e entrò in vigore il 3 maggio 1947. All’imperatore resta una funzione puramente rappresentativa, è «il simbolo dello Stato e dell’unità
del popolo» e adempie funzioni cerimoniali. Il governo risponde al Parlamento (l’unico organo legislativo) composto dalla Camera dei Rappresentanti (i deputati) e dalla Camera dei Consiglieri (i senatori), entrambe elettive. Il Giappone rinuncia per sempre alla guerra, proclama eterni e inviolabili i diritti dei cittadini, tutela la parità fra i sessi e ratifica l’esclusione della successione al trono per le donne.
• La figlia del principe Naruhito e di sua moglie Masako, è nata alle 14.43 del 1° dicembre 2001, pesava 3 chili
e 102 grammi, e era lunga 49,6 centimetri, ha ricevuto i nomi di Aiko (figlia dell’amore) e Toshinomiya (Principessa del Rispetto). Come prescrivono i rituali shintoisti, nel giorno del cane (l’animale che protegge il parto) del quinto mese di gravidanza, Masako era stata cinta con una fascia di seta bianca. Il nonno, l’imperatore Akihito, ha donato alla piccola una spada avvolta in seta cremisi e bianca (simbolo della dea Amaterasu) e la tunica detta hakame. Il bagnetto a sette giorni dalla nascita, in una tinozza di legno di cedro, mentre qualcuno leggeva
a voce alta la storia del Giappone.