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 2005  febbraio 12 Sabato calendario

Bisanzio nella sua letteratura

• Peste. Nel 542, quando a Bisanzio si diffuse la peste, siccome in molti avevano giurato di essere stati contagiati da presenze sovrannaturali, si cercava di evitarle restandosene nascosti in casa senza rispondere al richiamo di nessuno, nemmeno degli amici: "Si chiudevano nelle stanze facendo finta di non udire, per quanto si bussasse alla porta, evidentemente per paura che a chiamarli fosse uno dei dèmoni" (da Bella, di Procopio di Cesarea, 490-555).
• Peste/2. Durante la peste scoppiata a Bisanzio sotto Andronico III (1328-1341) si faceva molta beneficenza: "Molti distribuivano i propri beni ai poveri anche prima che la malattia li colpisse; ma, se si accorgevano di essere contagiati, nessuno che non fosse assolutamente incurabile nell’anima era così insensibile da non fare penitenza per i suoi peccati e da non offrire al tribunale dell’aldilà un motivo per essere salvato a Dio" (da Storia, di Giovanni Cantacuzeno, 1295-1383).
• Raccomandazioni. "Se vuoi intercedere per un amico, fallo in maniera intelligente e accorta, e solo di rado palesemente, perché non ti si possa accusare e non si pensi che tu agisca dietro compenso: in caso contrario, danneggerai te stesso e la persona raccomandata" (da Strategikon, XI secolo, vademecum per funzionari scritto forse da Cecaumeno, ex generale in pensione).
• Superiori. Sulla necessità di comportarsi sul posto di lavoro come se si fosse sempre a vista dei superiori: "Forse dirai: ” sciocco, non verrà mai a sapere quello che faccio”. Noè giaceva ebbro, stordito dal vino: eppure seppe come si erano comportati Sem e Iafet, e come invece Cam lo avesse deriso, e ricompensò i primi due come meritavano" (da Strategikon).
• Maldicenza. Per difendersi dalla maldicenza dei colleghi di lavoro: "Se qualcuno parla contro di te, prendilo da parte e affrontalo benevolmente: ”Fratello mio, in cosa ti ho fatto del male? Perché sparli di me? Se hai ricevuto un’offesa da me, dillo e cercherò di rimediare”. Se gli hai fatto un torto, raddrizzalo: se non gli hai fatto niente, proverà vergogna di fronte alla tua umiltà" (da Strategikon).
• Sopravvissute. La carestia che colpì tutta la penisola italica - prima metà del VI secolo - fece registrare un aumento degli episodi di cannibalismo: "Si dice che due donne, in una località di campagna, sopra la città di Arimino [oggi Rimini], mangiarono diciassette uomini. Erano le uniche sopravvissute fra gli abitanti del paese, e perciò i forestieri che transitavano di là sostavano nella piccola casa in cui esse vivevano, e le due donne, mentre dormivano, li uccidevano e li mangiavano. Ma si racconta che il diciottesimo ospite, svegliatosi dal sonno proprio nel momento in cui le donne stavano per mettergli le mani addosso, balzò in piedi e, appresa da loro tutta la storia, le uccise ambedue" (Procopio di Cesarea).
• Somiglianze. Per descrivere le sembianze di Giustiniano, Procopio, nella sua Storia inedita, fa tutta una digressione sulla statua di Domiziano, quella del Campidoglio di Roma, perché secondo lo scrittore i due imperatori si assomigliavano. Dopo che i romani avevano linciato Domiziano per la sua malvagità, il senato emanò un editto per vietare di scrivere il suo nome e riprodurre la sua effigie, ma lo disattese subito dopo, quando convocò la moglie del defunto, Domizia Longina, donna molto amata per il suo buon cuore, invitandola a chiedere quel che voleva. Questa chiese di seppellire il corpo del marito e di erigergli una statua: raccolti i brandelli del cadavere, li compose con cura e raccomandò agli scultori di rappresentare realisticamente lo scempio consumato dal popolo. La statua così realizzata fu collocata "sulla salita che porta al Campidoglio, a destra di chi ci va dal Foro".
• Congiungimenti. Pare che Teodora, prima di diventare moglie di Giustiniano, lavorasse "unicamente col proprio corpo", ovvero esercitava il mestiere di meretrice: "Lavorava con tre orifizi e si lamentava con la natura per non averle fatto più larghi i buchi delle zinne, in modo da poter realizzare altri congiungimenti anche lì" (da Storia inedita, di Procopio di Cesarea, 490-555).
• Ultras. La tradizionale divisione delle tifoserie all’ippodromo di Bisanzio tra Verdi e Azzurri: "Ove anche scarseggino di risorse e la patria subisca torti in cose del massimo rilievo, non ne tengono nessun conto, purché abbia la meglio il loro partito (questo è il nome che danno alle bande faziose). Sono attive in questo flagello anche le loro donne: esse non si limitano a seguire gli uomini, ma, se capita, si schierano anche contro di loro, benché non vadano mai agli spettacoli" (da Bella, di Procopio di Cesarea). In un’occasione le due tifoserie si coalizzarono, sotto Giustiniano: nella rivolta di Nika (dalla parola d’ordine: Nika, ”Vincere”), quando fecero irruzione nel carcere e liberarono i tifosi che erano stati arrestati.