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 2005  luglio 23 Sabato calendario

Daniela Nobili

• Parenti. I bambini muoiono ammazzati per lo più per mano dei parenti: nel primo semestre del 1971, in Italia, su venti omicidi di bambini con meno quindici anni, tredici furono commessi dai genitori, due da altri parenti e cinque da estranei.
• Parenti/2. Omicidi negli Stati Uniti nel 1966: 10.920, uno ogni ventidue commesso dai genitori sui figli. Nel 1975 l’ottanta per cento delle donne condannate per omicidio in Inghilterra aveva ammazzato il figlio, mentre in Danimarca il quarantaquattro per cento delle vittime di omicidi erano bambini, quasi tutti uccisi dai genitori, per lo più dalla madre.
• Figlicidi. Genitori che uccisero figli in Italia nel 1970: 25; nel 1971: 32; nel 1972: 26. Su 83 casi, 25 erano di omicidio-suicidio (il genitore, dopo avere ucciso, si è ammazzato); nel 53 per cento dei casi era responsabile la madre; il padre prevalentemente uccide il figlio ultradecenne; la madre preferibilmente uccide il figlio neonato, eccezionalmente quando ha superato i sei anni di età.
• Cannibalismo parentale. Nell’Australia centrale si ricorreva all’aborto per nutrire col feto i figli già nati. Nelle tribù del Sud si uccideva un figlio su due per darlo in pasto ai rimanenti e raddoppiarne le forze. In particolare nella tribù Matuntara, la madre era specializzata nell’uccisione dei figli più piccoli, il padre dei più grandi: li uccideva a più riprese, dando loro un colpo violento in testa e allontanandosi ogni volta, per darne un altro al ritorno, e così via finché non morivano.
• Inca. Anche gli aborigeni del Perù, prima del dominio degli Inca, apprezzavano la carne umana, e oltre ai nemici, mangiavano anche i propri figli generati con donne catturate in guerra e allevati apposta fino al dodicesimo, tredicesimo anno di vita.
• Reinfetazione. La circoncisione, praticata nelle tribù australiane ai ragazzi nell’età della pubertà, rappresenta una sorta di reinfetazione: infatti il prepuzio è offerto spesso alla madre, che se lo mangia. Nelle Nuove Ebridi si narra poi la leggenda che la circoncisione sia stata inventata proprio dalle donne, quando una di loro, lasciando cadere un coltello di bambù dall’alto di un albero, tagliò accidentalmente il prepuzio di un uomo, trasformandolo, una volta guarito, in un amante particolarmente conteso, suscitando, prima, la gelosia degli altri uomini, poi l’imitazione.
• Subincisione. Di origine più recente della circoncisione, è praticata tra gli aborigeni australiani: si incide profondamente il pene nella sua faccia ventrale fino a raggiungere l’uretra per una lunghezza che va da pochi centimetri a tutta la sua estensione, dal glande allo scroto. Conseguenza: i subincisi urinano accovacciati come le donne. Gli studiosi degli anni Settanta hanno attribuito a questo rito la funzione di cancellare l’invidia per la madre ammirata e temuta, con la riproduzione, nei genitali maschili, di una specie di vagina, che sanguinando periodicamente, simula l’emorragia mestruale.
• Invidia. "Ecco un invidioso: non augurargli mai di avere dei figli: sarebbe geloso di loro perché non può più avere la loro età" (Friedrich Nietzche, La Gaia Scienza).
• Narcisismo materno. Fase imprescindibile della maternità, durante la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino, quando la madre, per potersi prendere esclusivamente cura del figlio, deve identificarsi profondamente con lui. Esaurita la funzione della simbiosi, la buona madre, dovrebbe ritirarsi gradatamente e instaurare una relazione oggettuale con il figlio come altro da sé, per consentirgli di sviluppare e sperimentare la sua autonomia. Spesso la madre, invece, teme la ferita narcisistica del distacco del figlio e manifesta questa sofferenza in comportamenti tipici, come il dispotismo e l’ipocondria. La madre dispotica, rimasta alla fase di identificazione col figlio, proietta su di lui le sue aspirazioni, gli impone i suoi gusti e il suo stile di vita, e vive come propri i suoi successi (se il figlio raggiunge l’autonomia, lei non potrà più riempire le sue carenze e diventerà invidiosa, ancora di più se la figlia è femmina, intromettendosi nella sua vita affettiva e sessuale).
• Rimozione. Tra le forme di maternità patologica rientra la figura della madre "troppo buona". Anziché riconoscere come naturale e inevitabile l’aggressività verso il figlio, la madre "troppo buona", per paura di non riuscire a controllare questo sentimento, diventa eccessivamente tenera, sollecita, premurosa, con la conseguenza che il figlio non riuscirà a liberarsi e a raggiungere l’autonomia, senza schiaccianti sensi di colpa, e non saprà nemmeno vivere ed elaborare la propria aggressività, ricadendo anche lui nella colpevolizzazione e nella rimozione.