Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Opere ciclopiche, per riguadagnare d’un balzo i trent’anni persi sotto Mao e fornire al Paese le infrastrutture indispensabili: le ha messe in programma il governo della Cina, fiducioso di potere condurre a termine il più vasto piano di lavori pubblici mai varato nella storia umana
• Opere ciclopiche, per riguadagnare d’un balzo i trent’anni persi sotto Mao e fornire al Paese le infrastrutture indispensabili: le ha messe in programma il governo della Cina, fiducioso di potere condurre a termine il più vasto piano di lavori pubblici mai varato nella storia umana. I progetti cambieranno la geografia fisica ed economica della Repubblica Popolare, spostando l’ acqua dei fiumi da sud a nord, gas e petrolio da ovest a est e 400 milioni di individui dalle campagne alle città, che diverranno megalopoli con 20, 30, 40 milioni di abitanti. «L’ impatto ecologico non sarà negativo», assicura con ottimismo il governo. In parte ha ragione, perché questi interventi ridurranno i due maggiori fattori di degrado ambientale: l’ uso del carbone come carburante nelle case, nelle fabbriche, nelle centrali elettriche; e la sovrappopolazione delle campagne, dove masse di contadini senza terra tagliano foreste, creando fenomeni d’ erosione e desertificazione, e dove fabbriche primitive avvelenano fiumi e laghi. Gli ambientalisti cinesi però temono il peggio. «Azioni così drastiche sulla natura - ci dice Dai Qing, una ex giornalista messa al bando per avere preso parte al movimento democratico del 1989 - tendono ad avere effetti imprevedibili e incontrollabili. Preferiremmo una strategia graduale e diffusa. I nostri leader credono nei Grandi Balzi, nelle soluzioni miracolose, nell’edificazione di colossi che si vedano dalla luna, come la Muraglia costruita dai predecessori imperiali. Dovrebbero imparare dalla storia: la muraglia s’era rivelata inutile come baluardo contro le invasioni, e il Balzo in avanti promosso da Mao Zedong negli anni ’ 50 era stato una catastrofe. Questi megaprogetti, temo, causeranno megadisastri. L’esempio lo abbiamo sotto gli occhi. Ancora prima di essere terminata la faraonica diga del le tre gole sullo Yangtze, la diga più lunga del mondo, è un incubo ecologico. Noi avevamo previsto i guai, ma il governo non ci aveva dato ascolto».
• In un Paese con un quinto della popolazione del pianeta ogni problema diventa mondiale. «Cambiare la geografia della Cina - afferma Dai Qing - significa cambiare la geografia del globo: anche nella prospettiva più ottimistica le conseguenze ecologiche si sentiranno ovunque. Di per sé lo sviluppo economico di questa parte dell’ umanità è destinato a d avere, oltre a esiti positivi per tutti, effetti complicati, ad esempio sulla distribuzione delle risorse. Il prezzo del petrolio raddoppierà e saliranno le tariffe di molte materie prime e prodotti agricoli». La dimensione strategica non sfugge alle agenzie di spionaggio americane, che hanno spostato gli obiettivi di alcuni loro satelliti di sorveglianza dalle installazioni militari ai fiumi, ai campi petroliferi, alle strade. In passato il Partito comunista accusava i "verdi" di servire il nemico: «Gli stranieri - sosteneva - si servono dell’ ambientalismo per ritardare il nostro sviluppo». Ma alluvioni e siccità, l’ avanzata dei deserti, la scomparsa di fiumi e laghi, le proteste dei cittadini asfissiati da un’ aria irrespirabile e dei contadini avvelenati da acque tossiche hanno costretto il partito a scoprire il problema, che il premier Zhu Rongji ora definisce prioritario. «Partiamo tardi. Il degrado - dichiara Qu Geping, capo della Commissione ecologia dell’ Assemblea - è profondo, e peggiorerà prima che si vedano miglioramenti. Troppi errori sono stati commessi in passato dai nostri governi». I megaprogetti vogliono portare l’ acqua dove manca; elettrificare fabbriche che oggi bruciano carbone inquinante; espandere l’ impiego del gas, fonte d’ energia pulita; trasferire risorse verso le attività moderne; connettere una nazione dove è più facile comunicare e commerciare con Paesi lontani che con la provincia confinante. E hanno lo scopo non secondario d’ impiegare ne lla costruzione delle opere decine di milioni d’ ex coltivatori disoccupati. «Troppi programmi e troppo grossi, sarà difficile coordinarli e tenerli sotto controllo», sostengono gli ambientalisti.
• Industrializzazione, urbanizzazione e desertificazione hanno prosciugato le risorse idriche del Nord e della costa. Sulle 668 città cinesi 400 mancano d’ acqua. A Taiyuan, un grande centro a sud di Pechino, i rubinetti sono a secco per 22 ore al giorno; nel porto di Tianjin è stato introdotto il razionamento; nella capitale la falda freatica sprofonda di anno in anno, di 3 metri e mezzo solo nel 2000. Le fabbriche talvolta devono fermarsi e l’agricoltura soffre. Lo Shandong ha subito un disastro nel’ 97, perché il Fiume Giallo che lo irriga s’era prosciugato per ben 226 giorni, e durante i frequenti periodi di siccità rivolte esplodono nelle campagne. «In questo secolo l’acqua sarà la questione strategica fondamentale», ha dichiarato il presidente Jiang Zemin. Secondo i piani un canale di 1.150 chilometri porterà verso Pechino 18 miliardi di metri cubi d’ acqua l’anno dallo Yangtze, affiancando l’antico canale costruito dalla dinastia Yuan a cavallo fra 13° e 14° secolo. Una seconda via di 1.246 chilometri trasferirà dal lago Danjiankou, sul fiume Han, 48 miliardi di metri cubi d’ acqua al Fiume Giallo e quindi al Nord. Poiché i due canali attraverseranno aree altamente popolate e inquinate, dove nei tre quarti dei fiumi scorrono veleni e immondizia, bisognerà evitare che a Pechino «arrivi una fogna costata 18 miliardi di dollari», dicono gli ambientalisti. Un terzo ramo, ai piedi dell’ Himalaya, connetterà Yangtze e Fiume Giallo, attraversando con tunnel varie catene di montagne. «Sarebbe più logico stabilire industrie nelle aree depresse dove c’ è l’acqua, invece di portare l’acqua dove sono le industrie», obietta Dai Qing. Preoccupazioni sono alimentate dai problemi emersi sullo Yangtze intorno alla diga delle tre gole, una diga di due chilometri che dovrà regolare il corso del fiume e produrre energia elettrica. Quest’ opera titanica, con un prezzo di 25 miliardi di dollari, causerà catastrofi secondo Dai Qing: «I generatori rimarranno fermi perché il bacino è pieno di sacchetti di plastica e rifiuti, e il bacino stesso, lungo 600 chilometri, rischierà di tracimare fra qualche anno allagando campagne e città, a causa dei fenomeni di sedimentazione che avevamo preventivato».
• Nel piano di sviluppo dei trasporti su rotaia l’iniziativa più discussa, e politicamente più sensibile, è la decisione di collegare Golmud con la capitale del Tibet, Lhasa. I tibetani non gradiscono questo «nuovo strumento d’ invasione», ma il governo è risoluto a realizzare il programma già disposto due volte da Mao e rinviato per le difficoltà tecniche. Sarà la ferrovia più alta del mondo: sui 1.118 chilometri di percorso 960 passeranno a quote di 4 mila metri. I lavori dureranno almeno 6 anni, perché bisogna scavare 30 chilometri di tunnel in condizioni climatiche feroci, e l’opera costerà 2 miliardi e mezzo di dollari. I binari correranno sopraelevati, a 20 centimetri dal suolo, per prevenire danni ecologici al permafrost, lungo i 600 chilometri che attraversano terreno permanentemente gelato, il quale può trasformarsi in fango se sale la temperatura. Sottopassaggi sono previsti per gli animali e i finestrini del treno saranno ermeticamente chiusi affinché i viaggiatori non contaminino la montagna gettando rifiuti.
• Lievitazione magnetica. Una linea ferroviaria ad alta velocità di 1.300 chilometri, fra Pechino e Shanghai, è inclusa nel piano quinquennale. Potrebbe essere una linea a levitazione magnetica, capace di permettere velocità di 430 chilometri all’ora, con punte massime di 500. Il sistema è proposto dal consorzio tedesco Transrapid, che proprio in Cina ha firmato il suo primo contratto, per un collegamento di 33 chilometri fra Shanghai e il nuovo aeroporto, da percorrere in meno di 8 minuti. Il prezzo d’una simile linea fino alla capitale non è noto, ma si sa che un prolungamento da Shanghai alla vicina Hangzhou costerebbe 20 milioni di dollari.
• L’estrazione di petrolio, 150 mila tonnellate, non basta e la Cina sta importando greggio al ritmo di 1,4 milioni di barili al giorno. Sono invece sfruttabili grosse riserve di gas sotto i bacini del Tarim e del Qaidam, nei deserti dell’Ovest. Dal Tarim un gasdotto di 4 mila chilometri porterà 20 miliardi di metri cubi di gas l’anno fino alla regione di Shanghai. Un più breve gasdotto invece collegherà le riserve dello Shaanxi a Pechino, e un terzo in tre sezioni rifornirà dal Qaidam le province centrali. Costo complessivo 7-8 miliardi di dollari. Si aggiunge un oleodotto di 1.250 chilometri dalle raffinerie di Lanzhou al Sichuan, assetato di carburanti. Con la Russia poi verrà costruito un gasdotto di oltre 5 mila chilometri, da Irkutsk in Siberia fino alla penisola dello Shandong. Trasferirà 30 miliardi di metri cubi di gas, per un terzo destinati alla Sud Corea. Dalle centrali idroelettriche attive o in costruzione all’ovest e nel centro del Paese altra energia sarà trasferita lungo tre nuovi elettrodotti verso i poli industriali di Pechino, Tianjin, Shanghai, Canton. Questi tre nuovi rami verranno uniti a quelli in funzione. Costo: 30 miliardi di dollari.
• La Cina ha due centrali in attività, a Canton e nello Zhejiang, più 4 in costruzione, che porteranno la capacità complessiva a 8,7 milioni di kilowatt. Un numero imprecisato di nuove centrali è previsto dal piano economico. Il Sud e l’Est ne chiedono 4.
• «Per occupare nei servizi e nell’industria la popolazione rurale sovrabbondante e per modernizzare l’agricoltura - afferma Dai Junliang, del ministero Affari civili - dovremo nel prossimo ventennio erigere ogni anno 40 nuove città, portando la popolazione urbana a 750 milioni, dagli attuali 400. Si tratta insomma di trasferire una massa umana superiore all’ intera popolazione del Nord America». Sono cifre sbalorditive, ma ancora insufficienti a giudizio di alcuni geografi, i quali ritengono che il rapporto di oggi - 70% di cinesi nelle campagne, 30% nelle città - dovrà adeguarsi alle norme del mondo sviluppato, e soprattutto alla scarsità di terre arabili: appena un decimo di ettaro procapite in questo Paese. Se l’ obiettivo è un 20% di popolazione rurale, allora la migrazione interesserà gradualmente 600 milioni d’ individui, più i loro figli a venire. Le attuali metropoli si gonfieranno, creando megalopoli con decine di milioni di abitanti a metà del secolo, quando i cinesi saranno un miliardo e 600 milioni. Zhou Yixing, professore di geografia all’ università di Pechino, prevede immense aree urbanizzate che fondano Pechino e Tianjin, Dalian e Shenyang al nord; Shanghai e tutto il delta dello Yangtze sulla costa orientale; Canton, Shenzhen, Zhuhai, Macao e Hong Kong al sud; Chengdu e Chongqing al centro. Alcune di queste "città" potrebbero avere una popolazione pari a quella dell’ Italia. «Incubo ecologico? Non vedo alternative migliori - dice Andy Xie, chief economist di Morgan Stanley in Asia - poiché il popolo cinese non può venire dimezzato. Se lo si lascerà in campagna inquinerà di più, userà maggiori risorse, produrrà di meno. E alla fine, dopo un’esplosione sociale, dilagherà nel mondo. Occorreranno, credo, trenta megalopoli con 30-50 milioni di abitanti. La megalopoli è il sistema meno costoso sia per creare abitazioni, infrastrutture, posti di lavoro, sia per tenere sotto controllo l’inquinamento».
• Liang Congjie, capo dell’associazione Amici della natura, la più forte organizzazione ambientalista cinese, è figlio d’arte. Suo padre s’era scontrato con Mao per impedire che le antiche mura di Pechino venissero rase al suolo e suo nonno era stato uno dei primi riformatori liberali al tempo dell’impero. Da 8 anni Liang guida un migliaio di militanti impegnati a combattere su tutti i fronti: nelle campagne contro contadini ignari e burocrati ladri, nelle città contro fabbriche che inquinano, nelle scuole per educare i giovani, a Pechino per sensibilizzare il governo. Nessun primo ministro aveva mai dedicato attenzione all’ ambiente. E’ soddisfatto del rapporto "verde" letto all’ Assemblea popolare dal premier Zhu Rongji?
«Segna una svolta. Mi preoccupa però la scala mastodontica dei piani. Io credo che si debba assistere la natura, non violentarla».
Ma, dice il governo, in Cina per esempio la scarsità d’ acqua è così seria che misure di conservazione e riciclaggio non basteranno. Bisogna deviarla da dove abbonda.
«Ammettiamo che l’ acqua possa venire condotta al nord senza essere avvelenata per strada. Avremo risolto alcuni problemi per dieci o vent’anni. Con questo modello di sviluppo i bisogni industriali continueranno a espandersi, e saremo presto punto e daccapo. No, bisogna ragionare a partire dalle risorse disponibili pro capite, che in Cina sono rare». Propone un ritorno al la frugalità maoista?
«Propongo una civiltà che dia valore alla ricchezza spirituale più che ai gadget. Dobbiamo chiederci: quante fabbriche possiamo permetterci? E’ serio far sognare a ogni famiglia cinese l’automobile? Che cosa accadrebbe nel mondo se ogni cinese bruciasse tanta energia quanto un americano? Il governo cavalca un modello di sviluppo che implica un impiego crescente di risorse e produce crescenti danni ambientali. Il nostro popolo, così materialista, è felice. Ma quali disastri lo aspettano? Non sto sostenendo che ricchi possono essere solo gli occidentali. Dico che il boom economico della Cina obbliga tutti i popoli a scoprire una verità: questo modello di sviluppo è stato possibile solo finché era riservato a una minoranza».
• Caccia all’ uomo in Cina: Jin Ruchao, 41 anni, sordomuto , è ricercato dalla polizia in relazione alle esplosioni che venerdì hanno distrutto quattro edifici causando oltre 100 morti a Shi- jiazhuang, città industriale di 1,7 milioni di abitanti 250 chilometri a sud della capitale Pechino. Sulla sua testa c’ è una taglia di 50 mila yuan (circa 13 milioni di lire), l’equivalente di dieci anni di paga per un lavoratore cinese medio. La foto di Jin figurava ieri sulle prime pagine dei giornali locali e sulle pareti degli uffici pubblici. L’ uomo, che risulta ricercato anche per l’omicidio di una donna, forse la sua fidanzata, avvenuto all’ inizio di questo mese, secondo la polizia viveva all’ interno della fabbrica di cotone n.3, in uno dei due dormitori (vi abitavano 48 famiglie di operai) ridotti a cumuli di macerie tra le 4 e le 5 di venerdì (le 22 italiane di giovedì), insieme con la sede di una ditta di costruzioni e un edificio delle ferrovie nel centro della città. Le esplosioni sono avvenute a diversi chilometri l’ una dall’ altra. Jin - avverte la nota della polizia - sarebbe responsabile di non specificati "crimini estremamente gravi". Nessuna ipotesi ufficiale sui moventi, ma solo la caccia all’ attentatore. Il secondo in pochi giorni: anche due settimane fa, quando nella provincia dello Jianxi un’ esplosione fece crollare una scuola-fabbrica uccidendo 42 scolari, le autorità inizialmente parlarono di una bomba collocata da un uomo. Poi le famiglie delle vittime rivelarono che nella scuola gli scolari fabbricavano fuochi d’artificio, cosa che l’altro ieri ha ammesso anche il premier Zhu Rongji, in una eccezionale diretta tv in cui ha chiesto scusa per la morte dei bambini. Shijiazhuang ora è una città blindata. Controlli alle auto in uscita, posti di blocco, transenne intorno ai luoghi delle esplosioni. Tensione tra la polizia e i residenti per la proibizione di tornare in quel che resta dei palazzi semidistrutti. Tra la gente, c’è chi attribuisce le esplosioni all’atroce vendetta di alcuni lavoratori licenziati dal cotonificio. Il bilancio di sangue è destinato a salire: secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua, che in un primo tempo aveva parlato di 8 morti, le vittime sarebbero 108. «Non credo alle stime ufficiali», ha detto all’agenzia Reuters l’infermiera in pensione Liu Guyiou, che abita a poche decine di metri dal dormitorio n. 3. «Questo è un atto contro il governo. Il partito è troppo corrotto». Il dormitorio n.3 è a un isolato dal quartier generale del Partito comunista: l’esplosione ha aperto uno squarcio largo 8 metri e alto 5 piani. Citati dalla Cnn, giornalisti locali ricordano che di recente è stato esautorato "per crimini economici" il sindaco della città, sede di industrie tessili oggi in declino. Nel settembre scorso, i l capoluogo della provincia di Hebei era stato teatro di altre quattro esplosioni (14 morti). L’ uomo condannato e giustiziato per quella vicenda, Li Yonghui, secondo le autorità aveva ricattato il governo minacciando attentati e chiedendo un milione di dollari.