Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 24 ottobre 2005
In Italia il modernismo nasce all’inizio del XX secolo, dall’esigenza di conciliare il cattolicesimo con la cultura e la società moderna
• In Italia il modernismo nasce all’inizio del XX secolo, dall’esigenza di conciliare il cattolicesimo con la cultura
e la società moderna. Parte fondamentale di questo movimento sono sacerdoti e intellettuali cattolici,
che si fanno portavoce di un’esigenza di rinnovamento presso le alte sfere vescovili.
Per loro la fede è il risultato di un’esperienza individuale, della propria coscienza, e deve armonizzarsi col progresso scientifico. Tuttavia con queste opinioni si attirano gli strali di papa Pio X che, nel settembre del 1907, dedica loro l’enciclica Pascendi dominici gregis, Sugli errori del modernismo, in cui ribadisce il suo odio contro tutto ciò che è novità, creando un clima di chiusura, intransigenza e ostilità verso ogni posizione innovatrice che durerà a lungo, ma che alla fine risulterà sconfitto.
Introduzione.
L’ufficio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore, fra i primi doveri imposti da Cristo, ha quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome.
La quale provvidenza del supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: perché, per opera del nemico del genere umano, non mancarono mai uomini di perverso parlare (Act. XX, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Timo III, 13). Nondimeno è da confessare che, in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo [...].
Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo [...] a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima [...].
Ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi, quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore.
• Il filosofo modernista. Cominciando dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, cioè di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per questo essa non può innalzarsi a Dio, né conoscerne l’esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia, non deve mai considerarsi come soggetto storico [...]. Come poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con quale logica dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere, si passi a spiegare tutto nella storia medesima, ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo dica chi può. Ma tanto è: per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano essere atee [...].
• Il credente. [...] Il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in sé stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo qual fondamento abbia tale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se si differenziano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestanti e dei pseudo-mistici. [...] Con siffatte teorie [...] i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente, altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere [...]. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno [...].
• Il teologo. [...] Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina, ora un’altra; cosicché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto ad arte; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. [...]. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente, dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo onore di seguire le orme di Lutero, fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico; e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede deve soggettarsi alle scienze, criticano di continuo ed apertamente la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra il ciarpame la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta conforme ai deliramenti dei filosofi è [...]. Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da assoggettarsi allo Stato [...].
• primi tre canoni di questi storici o critici sono [...] l’agnosticismo, il teorema della trasfigurazione delle cose per la fede e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento [...]. Dall’agnosticismo si ha che la storia, non meno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divino nelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Perciò se si tratta di cosa in cui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano, come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersi e sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino, alla fede [...]. Di poi questo stesso elemento umano, che vediamo lo storico prendersi per sé, quale esso si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevato dalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tutte le aggiunte fattevi dalla fede [...]. Di più, per il terzo principio filosofico, pur quelle cose, che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandando parimente alla fede tutto ciò che, secondo essi, non entra nella logica dei fatti e non sarebbe adatto alle persone [...]. Come poi la storia riceve le sue conclusioni dalla filosofia, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Questo perché il critico, seguendo gl’indizi dati dallo storico, fa due parti di tutti i documenti. Tutto ciò che rimane [...] lo assegna alla storia reale: il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna [...].
• L’apologista. L’apologista, nei modernisti, dipende anch’esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo; poi direttamente, accettando dal filosofo i principi e i giudizi. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo, che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche [...].
• Il riformatore. Restano da dire per ultimo poche cose del modernista in quanto si atteggia a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rosi questi uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicesimo.
a) Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminari, sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia insieme cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica vera e rispondente ai nostri tempi.
b) Volendo riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la filosofia moderna. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi.
c) Anche la storia chiedono che si scriva e s’insegni con metodi loro e precetti nuovi.
d) Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbono accordarsi con la scienza e la storia.
e) Per il catechismo, esigono che nei libri catechistici s’inseriscano solo quei dogmi che siano stati riformati e che siano a portata dell’intelligenza del volgo.
f) Circa il culto, gridano che si devano diminuire le divozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché, a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti.
g) Strepitano a gran voce, perché il regime ecclesiastico deva essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente per il disciplinare e per il dogmatico. Perciò, pretendono che dentro e fuori si deva accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perciò dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato e discentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro.
h) Le congregazioni romane si devono svecchiare; e, in capo a tutte, quelle del santo Officio e dell’Indice.
i) Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, così che essa si tenga estranea dai civili ordinamenti, ma pure vi si adatti per penetrarli del suo spirito.
l) In fatto di morale, poi, danno voga al principio degli Americanisti, che le virtù attive devono anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio con prevalenza su queste.
m) Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo.
n) Finalmente non mancano coloro che, obbedendo molto volentieri ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato [...].
• [...] Ora, se quasi con un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà che Noi lo definiamo la Sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non sarebbe mai potuto riuscire a far meglio di quello che hanno fatto i modernisti. Questi, anzi, tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non solo hanno distrutto il cattolicesimo, ma qualunque altra religione [...w.
• Le cause del modernismo. [...] Come cause remote Noi ne riconosciamo due: la curiosità e la superbia. La curiosità, se non è saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni sorta di errori [...].
Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di sé stessi e si ritengono e si presentano come norma per tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza [...]. Per la superbia ricusano ogni soggezione e pretendono che l’autorità debba accostarsi alla libertà. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri [...].
• parimente ufficio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano, se sono già pubblicati, o, se non lo sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverebbe, non sarebbe minore di quello delle letture immorali, sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano [...].
E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non vendano merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, i Vescovi li privino del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quelli di vescovili, che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica [...].
• Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; bisogna impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che a seconda della Costituzione Officiorum esigono l’autorizzazione dall’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode Noi diamo a siffatta istituzione di censura: e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi [...].
Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di non permettere mai che alcunché si pubblichi dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha alcun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo.