Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2005
Lumache - "Contro la vita dinamica proponiamo la vita comoda
• Lumache. "Contro la vita dinamica proponiamo la vita comoda. Contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di un’adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati da un praticarsi in lento e prolungato godimento. Da oggi i fast food vengono evitati e sostituiti dagli slow food, cioè da centri di goduto piacere [...] D’altra parte sappiamo da millenni che il piè veloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga, la quale esce vittoriosa dalla corsa. Con bella lezione non solo matematica ma morale. Ecco, noi siamo per la tartaruga, anzi, per la più domestica lumaca, che abbiamo scelto come segno di questo progetto" (dal manifesto del movimento Slow Food, fondato nel 1986 da Carlo Petrini, col nome Arci Gola, pubblicato nel 1987, sulla prima pagina del Gambero Rosso, anno II numero 11).
• Sveltine. "Il manifesto dello Slow Food in fondo è il sogno di stringere fra le braccia, con il petto contro le poppe, la vecchia cucina antica, in un lento abbraccio" (da La paura della sveltina, articolo pubblicato da Antonio Porta sul numero 11 di Gola, nel 1987).
• Presidî. Istituiti nel 1999 dal movimento Slow Food, per salvaguardare produzioni agricole a rischio di estinzione, rispondono ai requisiti di territorialità, tradizionalità, eccellenza gastronomica: "L’appello ai consumatori era duplice: mettere una mano sul cuore e una sul portafoglio, accettare di pagare questi prodotti qualcosa di più. Per produrre il cardo gobbo di Nizza Monferrato, una delle verdure principi della bagna cauda, la piantina viene piegata a mano sotto terra, in modo che rimanga bianca e tenera. Hanno tutt’altro gusto se si usano i teli neri di plastica. Per tenere in ordine un campo da un ettaro, occorrono giovani ”cardaroli” con vecchi contadini che facciano loro da maestri" (Carlo Petrini). Slow Food, individuato il prodotto da proteggere, riunisce i produttori e coinvolge le istituzioni locali per costituire un comitato promotore del presidio e infine una struttura produttiva vera e propria, una cooperativa o un consorzio tra aziende, che si deve attenere a un disciplinare di produzione che garantisca la tracciabilità e la qualità del prodotto.
• Gusto. Il giornalista americano Corby Kummer, food writer dell’Atlantic Monthly di Boston e autore di The Pleasures of Slow Food: "Fu Pietrini a spiegarmi per primo, in modo molto chiaro, ciò che avevo intuito quando raccontavo ai miei lettori americani i pasti rurali d’un tempo, semplici e gustosi: i ricchi erano disposti a pagare molto per mangiare come i poveri di tanti anni fa. I poveri invece erano costretti a comprare il junk food del supermercato".
• Manna. Dolcificante usato fino agli anni Sessanta dall’industria farmaceutica per le sue proprietà lassative e depurative, si ricava dalla resina biancastra dei frassini che stilla col caldo dalla corteccia incisa d’estate, e si fa rapprendere fino a formare i cosiddetti ”cannolicchi”. Si produce ancora nel Palermitano, mentre i frassineti della Calabria, del Gargano, del Casertano, intorno ai castelli romani e nella Maremma Toscana sono spariti alla fine del Settecento. "Vendo la manna cannolo, che chiamiamo ”manna eletta delle madonie”, cioè la più bella, a cento euro al chilogrammo: sono confezioni da cinquanta grammi. A Castelbuono un’azienda artigianale produce il mannetto, un piccolo panettone con glassa di cioccolato e manna".
• Barolo. "Tu sei giovane... e non sai che tre nasi sono quel che ci vuole per bere il Barolo..." (Cesare Pavese, Il compagno).
• Ur-Paarl. Pane dell’Alto Adige, per un quinto di farina di farro e un quarto di segale, con l’aggiunta di spezie della Val Venosta (come la trigonella, il cumino e il finocchio), considerato in passato ”il pane degli sposi”, perché aveva la forma a otto e si poteva spezzare esattamente a metà. Unico depositario della ricetta originaria era Fratel Alois Zöschg, l’ultimo fornaio del convento di Monte Maria, sopra Burgusio, che poi la tramandò a una decina di fornai, che oggi vendono il pane a 5-6 euro al chilogrammo. In origine era infornato due, tre volte all’anno e si consumava secco, inzuppandolo in minestre, latte e caffè.
• Filindeu. Pasta di semola di grano duro, letteralmente ”fili di Dio”, preparata a mano per la festa di maggio al santuario di San Francesco di Lula, Nuoro. La sa fare solo Paola Abraini: "Lavoro a mano l’impasto di farina e acqua. Partendo da una massa grande come un pugno la divido ripetutamente tra le mie dita fino a creare fili sottilissimi. un tipo di lavorazione quasi matematico: infatti ogni volta i filamenti raddoppiano nelle mie mani. Lo faccio per otto volte, ottenendo una massa di 256 filindeu". Per ottenerne un chilo ci vuole un’ora. La signora Abraini lavora tre o quattro chili di semola al giorno, inizia a gennaio e finisce ad aprile, per un totale di circa un quintale.
• Moleche. I granchi durante una breve fase della loro vita, quando sono in muta e abbandonano la corazza, o carapace, il che avviene due volte all’anno, in primavera e in autunno. Oggetto di raccolta nella laguna di Venezia, si mangiano dopo averle infarinate vive e passate in padella. "Non esistono metodi scientifici: c’è un’antica tradizione che distingue i granchi boni, come diciamo noi, pronti a lasciare il carapace dopo tre settimane, da quelli spiantani, che lo lasciano in tempi più brevi, entro due giorni, e dai matti, che non muteranno più durante la stagione. Su un pescato di mille chili, ne rimangono nelle casse dieci, quindici chili: la selezione si fa velocemente, ma richiede comunque attenzione e abilità" (Gigi Boscolo, responsabile del Presidio ”Moleche di Chioggia”). Ogni molecante può raccoglierne al massimo tre chili al giorno, ricavando cinquanta euro al chilogrammo.
• Zolfino. Fagiolo prodotto in Valdarno, Toscana, così chiamato per il colore giallino. Coltivata in appezzamenti collinari, dove non si possono usare macchinari, la pianta è molto delicata, perché il fiore rischia di morire per il caldo proprio quando deve trasformarsi in baccello. "I miei fagioli si possono gustare al meglio cotti al fiasco e con un giro d’olio, magari con un morso di cipolla. Sconsiglio di mangiarlo con qualcos’altro: sono buoni da soli. E poi rappresentano un pasto completo, con tutte le componenti nutritive che hanno; bastano 15 litri d’acqua per far crescere i fagioli e ottenere la stessa quantità di proteine contenuta in un hamburger, per il quale sono stati necessari 5.000 litri d’acqua, considerando tutta la filiera alimentare" (Luigi Giovannozzi). Costo, una volta confezionati: 28 euro al chilogrammo.
• Oscypek. Pecorino prodotto in Polonia, sui Monti Tatra, tra Cracovia e la Repubblica Ceca, dai batza, capi pastori che a maggio portano le pecore sui pascoli tra gli 800 e i 1.500 metri, dove restano fino a ottobre. Per produrre una forma di sette etti si usa il latte munto da venticinque pecore, tre volte al giorno (essendo animali di montagna ogni mungitura dà appena un bicchiere di latte). Guadagno del pastore per ogni chilo di formaggio: quattro euro.