Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 3 maggio 1999
Quanto potrà resistere la Jugoslavia senza luce, acqua, carburante? «La domanda è legittima
• Quanto potrà resistere la Jugoslavia senza luce, acqua, carburante?
«La domanda è legittima. La risposta non la so. So che i serbi sono gente orgogliosa. E so che abbiamo ragione noi. Sarà terribile, ma anche gli aggressori non saranno in posizione comoda. Dovranno spiegare alle loro genti perché, per permettere alla Nato di entrare nel Kosovo, ci sono voluti i bombardamenti, nei quali si fanno morire i bambini albanesi, serbi e delle altre nazioni jugoslave. Cedimenti possono esserci da molte parti, in molti paesi: non è detto che i serbi cedano per primi» (Borislav Milosevic, ambasciatore della Jugoslavia a Mosca, fratello di Slobodan, a Giulietto Chiesa).
• I serbi non sono così temibili. «Nel 1916, l’intero esercito serbo, rotto dal primo scontro serio contro gli austriaci, scappò fino all’Adriatico, e fu salvato da navi italiane. In questi nove anni di guerra da loro provocata, i serbi si son sempre ritirati di fronte a forze armate determinate. Nel ’91 bastò agli sloveni abbattere due elicotteri e colpire pochi carri armati perché le mamme serbe invocassero il ritiro dell’armata jugoslava. Nel ’94, quando i croati (addestrati e armati dagli Usa) furono in grado di sferrare il primo attacco alla pari contro i serbi, riconquistarono la Krajna con una decina di perdite, perlopiù sulle mine: i serbi fuggirono subito da quel territorio che avevano proclamato ”sacro”. A Sarajevo, dopo tre anni di assedio a una città inerme, bastò qualche cannonata ben mirata della Nato per farli cedere. I tagliagole di donne e bambini, i pezzi da galera che fanno meraviglie a cannoneggiare casali coi polli nell’aia, non sono, e non possono esserlo, buoni soldati davanti a un nemico armato. Dunque, sin da ora, ci siamo lasciati suggestionare dal mito del loro eroismo, peraltro da loro stessi proclamato a ogni piè sospinto. Allo stesso modo, andrà sottoposto a revisione l’altro mito duro a morire: la fatale capacità dei Balcani di accendere conflitti enormi. Agli scolari i serbi insegnano ufficialmente, ascrivendolo a loro merito, che la Serbia fu capace di innescare la Grande Guerra: istruttivo sintomo di una sorta di complesso di Efialte (dal nome del vile che, per passare alla storia, non trovò di meglio che incendiare il faro di Rodi, una delle meraviglie del mondo). Un complesso, sarà bene ricordarlo, di storica inferiorità: incapaci di costruire, ci vantiamo, come nazione, di saper incendiare i Balcani, zona sismica d’Europa».
• Veran Matic, ex direttore di ”Radio B92”, emittente dell’opposizione serba e primo firmatario, insieme a altri 27 intellettuali di una lettera contro il regime di Milosevic. La vostra lettera è sembrata un segnale all’opinione pubblica internazionale. Il segno che c’è una società civile che si oppone.
«Sì, ma c’è anche una compattezza della gente contro i bombardamenti. Ho paura che a trarne vantaggio sia ancora Milosevic. L’intervento Nato sta distruggendo le nostre fatiche di una vita e dimostra una totale ignoranza delle cose in Jugoslavia. Anziché aiutare la democrazia ci hanno mandato le bombe. I media indipendenti sono stati distrutti dal regime, quelli statali bombardati dalla Nato. Alla fine la gente ascolterà solo la radio dei bombardieri e la Voice of America». [...]
Resta il fatto che senza l’intervento Nato, l’esercito serbo sarebbe ancora padrone del campo.
«Oggi non ha più senso discutere di questo. Può darsi che non ci fossero alternative militari. Andavano cercate prima le alternative politiche. Nel ’92, quando Milan Panic perse le elezioni per poche migliaia di voti, c’erano soltanto 30 osservatori internazionali. In Bosnia ne mandarono a migliaia. In questi anni, a Belgrado, giornali e radio dell’opposizione sono spuntati come funghi, ma nessuno in Occidente ha sorretto la società civile. Dalla disintegrazione della Jugoslavia, la comunità internazionale ha sempre sostenuto le forze centrifughe e radicali: Tudjman in Croazia, Izetbegovic in Bosnia, Milosevic in Serbia, l’Uck in Kosovo. Per questo l’Occidente comincia ad assomigliare a Milosevic: si creano problemi per aver gli alibi per risolverli. Ma così si creano solo disastri, e per noi, come per i kosovari, non c’è speranza».
• Dopo la guerra la Nato si troverà a dover proteggere i Serbi. «Alla fine di questo conflitto, soprattutto se si prolungherà ancora per qualche settimana o addirittura per mesi, potremmo accorgerci che la Nato, o la Comunità occidentale e i grandi organismi internazionali, dovranno preoccuparsi di proteggere la Federazione Jugoslava dai nemici agguerriti che la circondano. Popoli che son animati da antiche e radicate inimicizie, e che già ora premono alle frontiere della Serbia in attesa della sua completa rovina. Se i bombardamenti continueranno con questi ritmi, tutte le infrastrutture che caratterizzano un paese moderno saranno state distrutte. Il duro Slobodan Milosevic che dice di non temere una guerra totale, ha dovuto ammettere a metà aprile in un’intervista al quotidiano dell’esercito russo ”Stella Rossa” che ”i missili e gli aerei della Nato hanno arrecato alle infrastrutture dell’economia jugoslava un danno superiore ai cento miliardi di dollari”. Da allora altri blitz, ancora più micidiali hanno continuato a cancellare fabbriche, ponti, viadotti, ferrovie, complessi industriali di ogni tipo, facendo regredire la Serbia, dal punto di vista del potenziale economico, ad uno stato preottocentesco e preindustriale. Che cosa succederà quando, una volta finito il conflitto, la Belgrado del dopo Milosevic dovrà fare i conti con le distruzioni subite?».
• Gli Stati Uniti hanno una sorte di hegeliano ”diritto assoluto” senza limiti rappresentati da altri poteri perché essi sono il potere egemone alla fine di questo secolo. Sono stati non solo i vincitori di tre guerre mondiali, ma i vincitori dalla parte dei valori della libertà e della democrazia. Il loro potere assoluto è dunque storicamente meritato. Il che costringe a essere filoamericani, senza alternative almeno fino a quando l’Europa non avrà una sua politica estera e una sua forza miltare autonoma.
«Come americano, eviterei argomenti di questo genere. Ma li avverso anche come filosofo che respinge ogni versione del diritto assoluto hegeliano. Una pax americana non sarebbe la cosa peggiore che possa capitare al mondo, ma non è il nome che do alle mie aspirazioni. La mia speranza a breve termine punta verso un equilibrio di poteri di stile classico, possibilmente senza guerre fredde o rivalità nucleari. E la prospettiva più immediata è che il potere degli Stati Uniti sia bilanciato dall’Europa. Per questo avrei voluto vedere a suo tempo un intervento europeo in Bosnia, senza l’iniziativa o la leadership americana. [...] Ma in assenza di un’Europa indipendente, noi della sinistra dobbiamo appoggiare gli interventi congiunti Stati Uniti-Europa dovunque siano necessari ed efficaci. In generale, certo è meglio se i valori umani sono difesi da più di un solo agente» (Michael Walzer, filosofo della politica, a Giancarlo Bosetti).
• Perdite ”di terra”. «All’inizio la Nato aveva calcolato una percentuale dell’otto per cento della forza d’attacco. Nelle ultime settimane la stima è stata ritoccata al dodici per cento. L’Apocalisse. E questo per una ragione semplice. Cinque settimane di bombardamenti stanno riportando la Jugoslavia a un’era pre-industriale con la distruzione di fabbriche, raffinerie, strade, ponti, ferrovie, comunicazioni, centri decisionali. Bill Clinton ha detto che sono già stati inflitti danni per 100 miliardi di dollari, mentre a fine aprile è stato annunciato l’inizio della campagna acquedotti, per distruggere la rete di distribuzione dell’acqua (gli jugoslavi cominceranno a bere l’acqua del Danubio e i neonati moriranno a migliaia, falcidiati dalla dissenteria, schema sperimentato e ancora applicato in Iraq). Ma sul fronte strettamente militare l’onnipotente aviazione alleata non ha prede da esibire: qualche aereo abbattuto, una sola batteria missilistica distrutta, qualche carro armato, qualche radar. Niente. L’armata serba è intatta, protetta in caverna com’è da 50 anni, con depositi ben colmi di armi, carburanti, cibo. E pronta a battersi a oltranza su un terreno impervio che ogni combattente serbo conosce a menadito, non appena qualcuno tenterà l’invasione. Questa è la verità dopo cinque settimane di guerra. Il resto è propaganda».
• pubblicità l’arrivo in Albania di 24 elicotteri anticarro Apache. «Ogni esperto militare sa che in un terreno di quel genere saranno abbattuti come le mosche da qualunque soldato nascosto in una buca. Sono pubblicità le cartine con le freccette che partono dall’Albania in direzione del Kosovo: l’Albania è tutta una montagna senza strade; impossibile farci la guerra. Poi sono arrivate una serie di batterie dette in termine tecnico Mlrs: sono le vecchie, care Katiusha, razzi che sparano a 20 chilometri e partono a 24 per volta. Però vanno dove dicono loro e non è possibile mirare. Ammesso che riescano a sparare, perché sarà impossibile portarle alla frontiera; sulle strade albanesi non passano. Ed è anche pubblicità l’annuncio dell’embargo petrolifero alla Serbia. La misura fu già attuata nel 1991-95, al tempo della guerra di Bosnia, e originò un contrabbando capillare che si snodava per tutte le viuzze, i fiumetti, i porticcioli attraverso i quali la Serbia venne rifornita da Ungheria, Bulgaria, Macedonia, Grecia. Fu in quell’occasione che il generale Franco Angioni, all’epoca comandante della Forza mobile della Nato, disse ” difficile bloccare un’isola. Figuriamoci un paese che ha cinque frontiere terrestri e un fiume grande come il Danubio”. Quattro anni dopo la situazione è la stessa».
• La ricostruzione della Serbia richiederà almeno 25 mila miliardi. I ministri del tesoro dei paesi Nato non sono preoccupati dai costi della guerra: circa 400 miliardi al giorno, una somma molto piccola rispetto alla ricchezza prodotta ogni anno dai paesi occidentali. I timori riguardano i danni provocati alle economie della regione e le possibili conseguenze per l’Europa. Se la guerra dovesse fermarsi oggi ci vorrebero almeno 25 mila miliardi per ricostruire l’economia serba.
• Piano Marshall. «Si sta lavorando attorno a uno scenario a tre stadi: un altro mese di stretta militare e il serrarsi di un embargo che tagli il grosso degli approvvigionamenti primari all’economia serba per provocare il rovesciamento di Milosevic, come prodromo di un grandioso piano d’intervento finanziario e industriale da estendere all’intera regione balcanica. Un ”patto occidentale” aperto a Romania, Bulgaria, Croazia, Albania, Bosnia e Macedonia che getti solide e durature basi di alleanza con Turchia, Polonia e Repubblica Ceca già in Stand-by per entrare a far parte a pieno titolo dell’Unione Europea. [...] Durante i quattro anni, tra il 1948 e il 1952, in cui il primo ”Piano Marshall” fu attivo, le economie dei 16 paesi europei che ricevettero i fondi americani crebbero del 30 per cento e la loro produzione industriale salì del 40 per cento rispetto al periodo preguerra. Cosa accadrebbe oggi se le anemiche economie europee contribuissero a finanziare, con stanziamenti degli Stati, tassi di crescita così impetuosi in una vasta area di mercato confinante?».
• Servizi segreti. «Se qualcuno per esempio dicesse che tutti i guai della Serbia derivano dalla dittatura di Milosevic, e che se i servizi segreti occidentali riuscissero a uccidere Milosevic tutto si risolverebbe in un giorno, questo qualcuno criticherebbe la guerra come strumento utile per risolvere il problema del Kosovo, ma non sarebbe pro-Milosevic. D’accordo? Perché nessuno adotta questa posizione? Per due ragioni. Una, che i servizi segreti di tutti il mondo sono per definizione inefficienti, non sono stati capaci di ammazzare né Castro né Saddam ed è vergognoso che si consideri ancora giusto sperperare per essi pubblico denaro. L’altro è che non è affatto vero che quello che fanno i serbi sia dovuto alla follia di un dittatore, ma dipende da odi etnici millenari, che coinvolgono loro e altre etnie balcaniche, il che rende il problema ancora più drammatico».
• Monsignore, si può esercitare l’amore in guerra?
«Sì, ma non è facilmente riconoscibile. Mi spiego, un militare che va a soccorrere i profughi è un evidente esempio di carità. Un militare che va a sminare i campi minati perché civili non vi inciampino è un esempio un po’ meno appariscente di carità. Un esempio ancora più nascosto di carità è quello del soldato che, armato fino ai denti, pattuglia le strade di Sarajevo perché le diverse fazioni non riprendano a uccidersi. Anche questa è carità. E poi c’è la carità dell’ultimo tipo, quella più difficile da interpretare».
Quale è, monsignore, l’ultimo tipo di carità?
« la carità del pilota che va a bombardare. Lui si porta dentro la sofferenza, bombarda e sa che, oltre alla fabbrica di armi, può colpire vite umane. Uccidere. il dramma del cristiano».
E bombardare è carità?
«Io dico che accogliere i profughi e i deportati è carità. Ma far sì che non ci siano profughi e deportati è ancor più grande carità. In altre parole, la guerra è sempre ingiusta, ma delle volte è l’unico modo per fermare ingiustizie ancora più gravi» (Monsignor Giuseppe Mani, ordinario militare per l’Italia).