Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 11 Venerdì calendario

La censura di Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi De Gasperi, ad alcuni film tra il 1947 e il 1953 (documenti trovati nel deposito del Dipartimento Spettacolo, ufficio revisione cinematografica) al film "Ladri di biciclette"

• La censura di Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi De Gasperi, ad alcuni film tra il 1947 e il 1953 (documenti trovati nel deposito del Dipartimento Spettacolo, ufficio revisione cinematografica) al film "Ladri di biciclette". E’ il 1950. Alcune organizzazioni americane fanno pressioni perché il film non sia immesso nel grande circuito. Chiedono l’eliminazione della scena della casa di tolleranza e di quella in cui si vede il piccolo interprete che fa pipì al muro. Andreotti scrive al ministro degli Esteri Sforza affinché svolga «la più energica opera» per risolvere l’«increscioso incidente». E’ una lettera prudente e insidiosa a difesa di un film che in un altro documento definisce «un capolavoro». Si comincia con il far presente, sia pure attribuendolo al regista De Sica, che «la nobile e religiosa città di Bruxelles ha dedicato a un bambino e ad analogo gesto di quello censurato, una delle più graziose fontane che formano oggetto di visita da parte di tutti i turisti del mondo senza che ne sorga il minimo scandalo». Si prosegue notando come il film, pluripremiato, «pur trattando un problema sociale e svolgendosi in ambiente di povera gente, è uno dei più umani e sprovvisto di acrimonia». Infine - ed è la precoce malizia andreottiana - consiglia Sforza di informare gli americani che ogni loro divieto viene qui «sfruttato dalle opposizioni a scopo propagandistico contro gli Stati Unitiª
• La censura di Giulio Andreotti al film "Totò e i re di Roma". Il film di Steno e Monicelli (1952) è bocciato in prima istanza, perché offende il prestigio dei pubblici funzionari e il sentimento religioso. Il produttore Amati, disperato, raggiunge Andreotti in vacanza a Montecatini e chiede aiuto. Istigato da altri produttori, Totò non vuole più lavorare. A questo punto Andreotti guida un complesso negoziato di «alleggerimento» dei testi. «Quel che nel film è irriverente in senso assoluto - scrive ai suoi funzionari - è la rassicurazione del Padre Eterno (nelle spoglie da colonello a riposo). Il resto passa, anche senza quella umoristica ribattezzatura in Olimpo dall’al di là dove vanno le anime dei morti». Si raggiunge un compromesso, sanzionato in un biglietto in cui il Sottosegretario garantisce: «L’ultima stesura è accettabile. A parte la censura, i produttori toglieranno l’accenno all’on. De Gasperi sostituendolo con una battuta su Bartali».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Persiane chiuse". E’ un film del 1951 sulle case di tolleranza, a proposito del quale si verifica un assalto del ministro dell’Interno all’amministrazione guidata da Andreotti: una lettera riservata di Scelba che dimostra come il giovane sottosegretario addetto alle commissioni di censura risulti non solo più aperto, ma abbia da fronteggiare le accuse di «condiscendenza» da parte di democristiani ben più intransigenti di lui. Il titolare del Viminale richiama «la necessità di una più efficace tutela della moralità contro i subdoli ritrovati di produttori, sceneggiatori e registi che, sotto lo specioso pretesto di svelare ed approfondire le radici di scottanti problemi sociali, intendono sostanzialmente attuare, a scopo di cassetta, effettiva propaganda di vizio e di miseria spirituale».
• La censura di Giulio Andreotti al film "I pompieri di Viggiù". In realtà, Andreotti ha già tutelato Scelba - e i suoi fremiti moralizzatori - nella buffa vicenda di un film di Vanzina e Mattoli del 1949. Oltre alla canzonetta («la cui diffusione - si legge in un appunto - è suscettibile di menomare il prestigio del Corpo dei Vigili del Fuoco e ha già generato sfavorevoli ripercussioni sul morale del personale dei servizi antincendi»), oltre a «vari dettagli di ballerine in costume succinto», si riferisce chiaramente al clima creato da Scelba la battuta che la Commissione ha tagliato per concedere il sospirato visto: «La misura del costume da bagno deve essere di 30 cm, che poi se ti fanno un rimpasto con un ministro diciamo così un po’ scapocchione, allora può darsi che la portino a 25 cm, ma per ora è a 30 cm».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Umberto D". Questione storica, giacché proprio a proposito di questo film di De Sica (1952) Andreotti aprì la sua polemica sul neorealismo e «i panni sporchi vanno lavati in casa». La commissione dà via libera a Umberto D., ma a condizione che sia soppressa la battuta con cui una servetta incinta rivendica a due uomini la paternità del bimbo che ha in grembo. Rileva inoltre il presidente l’opportunità che sia ridotta la scena in cui, durante la recitazione del rosario, «e precisamente al momento di Gloria Patri, uno dei malati, vicino al letto del protagonista, sembra mostrare disinteresse alla preghiera». Intervento a mano di Andreotti sul dattiloscritto: «Che vuol dire questa formula? E’ tagliata o no? Non è esatto "disinteresse", è vero e proprio scherno. Attenti alle motivazioni».
• La censura di Giulio Andreotti al film "La tratta delle bianche". Una vera e propria recensione a questa pellicola di Comencini (1952); uno straordinario documento, scritto a mano, in cui il sottosegretario dà il suo «voto» e per tre pagine svolge delle considerazioni su un film che promette molto scandalo, ma in realtà ne concede poco, «tanto che forse qualche spettatore suggestionabile dal titolo finirà col tirare le somme con un giudizio di delusione». Tra le scene da tagliare Andreotti pone: «L’accoppiamento, stile cani da cortile, del ballerino con la sua focosa ammiratrice. Si tratta di due sole parole e di pochi fotogrammi. Vedrà il produttore di rimuovere anche la successiva scena del "crollo" dei due maratoneti - qui la prosa si fa ironico-allusiva - a seguito delle energie altrimenti spese: in verità questo crollo può rimanere e lo si attribuirà alla stanchezza». Va poi tolta, «in ispecie, la visione di una Pampanini in trasparenza non indispensabile funzionalmente». Formula molto andreottiana. E tuttavia, «a mio avviso, il film può anche avere un risvolto educativo» sostiene prima di esporre quello che suona come una specie di canone estetico e morale a futura memoria: nessuno dei cattivi «è messo in luce simpatica e in atmosfera da eroe». Inoltre, «i giovani che rotano (sic) attorno al brutto e terribile deus ex machina sono fuorviati da quelle attrazioni ambientali proprie di un’età e di certi ceti: scommesse, disoccupazione non sempre inevitabile, vita al fuori del controllo familiare». E «si trova una nota di bene non spento anche in mezzo agli affiliati al turpe mercato: l’episodio di Giorgio e Linuccia - esemplifica il sottosegretario - è un piccolo ma significativo fiore che sboccia nel campo di fango...Di più: il campanello d’allarme per i secondi fini di certe gare di ballo, di talune case di moda e simili non potrà suonare utilmente per molte ragazze inesperte e generose? Sotto questo profilo a me pare che non sarebbe utile inibirne la visione ai minori». Oltre tutto «arriva poi la polizia e l’ordine si ristabilisce».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Miss Italia". Di Lattuada e Lizzani (1952). Un biglietto avverte: «Indicazione dei tagli da approntare al film stilata dall’on. Andreotti». A macchina. Ecco dunque: via la battuta «Assaggiatemi e diverremo amici». In quanto «alla battuta sugli idioti della politica - si legge più sotto - lasciamo il toglierla alla...cortesia degli interessati». E poi «Eliminare il primo piano della ispezione minuziosa delle gambe» (le ultime tre parole sottolineate). Commento finale, a mano: «In sostanza, senza danneggiare il film, si deve togliere il legame tra il premio e la ricostruzione della chiesa che getta una luce di materialità sconcertante sul sacerdote. E non si dica - aggiunge Andreotti - che la censura è severa o bigotta...ª
• La censura di Giulio Andreotti al film "Togliatti è tornato". Film documentario di Lizzani (1948), realizzato nel giorno della riapparizione del leader comunista dopo l’attentato. Qui, invece di frizzi o nudità, la censura passa a un vaglio molto severo la propaganda politica, accanendosi su frasi e immagini (camionette, lancio di lacrimogeni, Scelba e De Gasperi, titoli dei giornali «Piombo sui comunisti», «La bomba atomica su Mosca»). Se vuole ottenere il nulla osta, il film deve anche fare a meno della scena «raffigurante l’allegoria della Giustizia che si tiene in gabbia l’Italia e la costituzione» (con la minuscola). Altrimenti niente visto. Pajetta non ci sta. Andreotti gli risponde privatamente, ma senza cedere di un’unghia: «Per mio conto penso che alcuni tagli siano essenziali».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Rimmel la volpe del deserto". Stavolta sono i partigiani e i partiti di sinistra a richiedere la sospensione di un film americano che nel 1951 suona indulgente nei confronti del nazismo. Davanti ai cinema, i prefetti segnalano lo scoppio di incidenti a Roma, in Veneto, Trentino, Emilia, Sardegna. «E’ la prima volta che capita una questione del genere - nota Andreotti rivolgendosi al suo fido direttore De Pirro -. Non sarebbe meglio che la società lo ritirasse spontaneamente?».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Non c’è pace tra gli ulivi", di Giuseppe De Santis (1950). Dopo le dovute peripezie sul copione, il film va sostanzialmente bene, si tratta solo di eliminare l’affermazione «che in Ciociaria - come si legge in un appunto - la gente è spesso costretta ad agire persino contro la legge per avere ragione». Oltre che la terra di De Santis, la Ciociaria è il feudo elettorale di Andreotti. Senza quell’accenno geografico il regista comunista si impunta e minaccia di disconoscere il film. «Prepararlo per domenica sera - annota il sottosegretario sotto il comunicato in cui si dà conto dell’imminente giudizio di secondo grado. Spero di potere».
• La censura di Giulio Andreotti al film "Montelepre" (poi "I Fuorilegge"). Ancora vivo il bandito Giuliano, è in preparazione un film che ha come titolo il nome del paese che gli ha dato i natali. Insorge preventivamente il presidente della regione Sicilia, Restivo: l’isola, «che conosce le sue piaghe ed è impegnata a risanarle, non può sopportare di essere data in spettacolo al Paese e al mondo come un’appestata d’eccezione». Anche il Viminale, con Scelba, fa fuoco e fiamme e sequestra il manifesto. Andreotti media con la produzione, e alla fine pilota garbatamente la faccenda verso il cambio non solo del titolo (il film si chiamerà "I fuorilegge"), ma anche della localizzazione.