Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 marzo 2001
Come la Confindustra vuole cambiare il lavoro in Italia
• Come la Confindustra vuole cambiare il lavoro in Italia. A Parma, venerdì scorso, l’associazione degli industriali ha presentato il suo piano per rilanciare l’economia. Tra le proposte: meno tasse e burocrazia, più privatizzazioni e opere pubbliche, riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. La questione più controversa è però quella della trasformazione dei contratti. La Confindustria vuole superare il concetto di contratto nazionale a tempo indeterminato e chiede la liberalizzazione dei contratti a termine e di quelli part-time (detti ”atipici”, dai sindacati). Inoltre la Confindustria dice in sostanza: lasciateci licenziare anche senza giusta causa e studiamo formule di indennizzo. Posizione a cui la Cgil è contrarissima.
• Quali sono i contratti ”flessibili”. Nel 1997, con il ”pacchetto Treu”, il governo ha introdotto in Italia:
- il ”lavoro interinale” ovvero in affitto: il lavoratore è reclutato da una società privata che lo gira per un certo periodo a chi ne fa richiesta.
- i contratti di formazione. L’impresa assume giovani per un periodo limitato, li paga meno ma li addestra e, alla fine del periodo, può decidere di mandarli via.
- i contratti a termine. Cioè la semplice assunzione di qualcuno a stipendio pieno ma per un periodo limitato. I contratti a termine possono essere applicati solo in circostanze particolari e non possono superare il 10-12 per cento del totale dei contratti di ciascuna categoria.
• In Italia ci sono circa 1,5 milioni di contratti a termine, il 7,3 per cento di tutti i lavoratori. In Spagna sono il 48,6 per cento, in Francia il 16,2 e in Germania il 15. In Italia più della metà delle assunzioni avviene a tempo determinato, il 38 per cento dei lavoratori a termine ottiene poi un’assunzione permanente, più spesso gli uomini delle donne, però.
• Perché si sono bloccate le trattative sui nuovi contratti a termine. Esiste una direttiva europea (1999/70/CE del 28 giugno 1999) per regolamentare il lavoro a tempo determinato che, tra l’altro, fissa alcuni principi per evitare la trasformazione di questo contratto (attraverso un uso ripetuto) in un impiego di fatto senza limiti certi. I governi nazionali hanno tempo fino a luglio per stabilire le ragioni, il numero e la durata massima degli eventuali rinnovi. Finora nessuno Stato ha applicato questa direttiva, tranne la Germania. In Italia il governo ha aperto un anno fa una trattativa con imprenditori e sindacati per trovare un accordo (un ”avviso comune”, secondo il metodo della concertazione) prima di fare il decreto. Ma all’inizio di marzo la Cgil ha abbondonato i negoziati perché gli industriali hanno rifiutato di affidare ai contratti nazionali, invece che alla legge, il potere di fissare il numero massimo di assunzioni a termine. Gli altri sindacati, Cisl e Uil, e le altre 17 organizzazioni padronali hanno comunque deciso di continuare a trattare perché sono d’accordo su quasi tutto. Il ministro del Lavoro, Cesare Salvi, ha però preferito rinviare la soluzione al prossimo governo.
• Come hanno funzionato finora i contratti a termine in Europa. Esistono tre modelli. In Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, Paesi ai primi posti nelle classifiche dell’occupazione, non esistono vincoli alle assunzioni a tempo determinato. Nella maggioranza dei Paesi, invece, la legge fissa alcune condizioni piuttosto generiche. In Italia e in Spagna, infine, oltre alle limitazioni di legge, possono essere stabiliti altri vincoli all’interno dei contratti collettivi.
• Sul ritiro della Cgil. Secondo Paolo Cantarella, amministratore delegato della Fiat, il problema è soprattutto di metodo. «Il rischio è che si produca una paralisi. Oltretutto, sui contratti a termine, a gennaio l’accordo era stato raggiunto. Fra tutte e venti le parti. E adesso dovremmo rinunciarvi perché una di loro si alza e dice no?». Per Sergio Billè, presidente della Confcommercio, «non servono comunque accordi a metà perché poi le imprese dovrebbero gestire i rapporti con gli iscritti della Cgil».
• «La Cisl e la Uil [...] hanno mostrato di comportarsi da sindacalisti e la regola è, appunto, mai alzarsi dal tavolo» (il sociologo Aris Accornero).
• «Le ragioni della spaccatura tra Cgil, Cisl e Uil sono classicamente sindacali e cioè attengono a questioni di competizione, rappresentatività e tutele. Quando si è capito che l’unità non era più una speranza è nuovamente scattata la logica della competizione che poi ha dato luogo alla spaccatura tra le sigle. Questo del tempo determinato è un caso tipico di competizione. il contesto, però, che ha portato questa drammatizzazione: a differenza del passato, il sindacato si trova a fare i conti con il vuoto della politica e su questo vuoto si sono dovuti adattare. La Cgil, in questo senso si è assunta l’onere di rappresentare la sinistra sui temi sociali e politici esercitando un ruolo di surroga» (Aris Accornero).
• «Credo che la rottura abbia travalicato il merito. Sulla direttiva, la mia interpretazione è che sul primo contratto le causali devono essere le più generiche possibili mentre criteri più rigorosi vanno applicati sui rinnovi. Anche sui tetti mi pare fuori luogo ogni preoccupazione: siamo al 9 per cento di contratti a termine e non al 20 per cento della Spagna» (Tiziano Treu a Lina Palmerini).
• A proposito delle paure degli impreditori e dei sindacati. Cantarella teme che la resistenza sindacale sui contratti a termine abbia come obiettivo «lo scardinamento di ogni forma di flessibilità»: «Già ora alcuni ne parlano come di ”contratti atipici”... Ma atipici perché, se sono regolati da leggi dello Stato?». Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil, rimprovera invece agli impreditori di puntare allo «svuotamento della funzione del contratto nazionale».
• Perché Cofferati si è irrigidito. Cantarella, impegnato nel rinnovo del contratto integrativo alla Fiat, ha proposto di modificare l’attuale doppio livello di contrattazione, nazionale e aziendale. In futuro, nel primo si dovrebbe discutere solo la normativa, mentre nel secondo esclusivamente gli stipendi. «Non ci possono essere due livelli per discutere degli stessi argomenti, per esempio del trattamento economico».
• Pierluigi Bersani, ministro dell’Industria: «L’economia italiana ha bisogno di «un menù più ricco di soluzioni contrattuali», senza però «pensare a 20 mercati del lavoro, regione per regione». Giulio Tremonti: «Bisognerebbe fare un patto con la Cgil sugli ”atipici”, concordando una nuova forma di contratto con legittimità pari a quello collettivo. Già adesso ci sono circa quattro milioni di lavoratori atipici più un equivalente di grigio e nero. una massa enorme che lavora fuori dallo schema del contratto collettivo, proprio perché manca la fabbrica e, con questa, manca la dimensione collettiva». Roberto Colaninno, presidente di Telecom, insiste che il sindacato «è in ritardo, perché non ha percepito i cambiamenti o non li vuole percepire: siamo passati dalla catena di montaggio a una nuova organizzazione del lavoro, ma l’innovazione e la tecnologia fanno paura».