Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 26 gennaio 2002
ìI segreti di New Yorkî
• Casa. «Quando si è vissuti a New York per un certo periodo e la città è diventata un po’ casa vostra, non si trova più un posto che sembri altrettanto bello. Qui c’è tutto, gente, teatro, letteratura, editoria, import, affari, omicidi, aggressioni, ricchezza e povertà. Tutto di tutto» (John Steinbeck).
• Statua della Libertà. Il 17 giugno 1885, stipata nella piccola nave ”Isère” (della marina militare francese), scortata dalla nave americana ”Uss Flore”, la statua della Libertà fa il suo ingresso nel porto di New York. In realtà la mano destra con la fiaccola già si trovava negli Stati Uniti, dal 1876, esposta al pubblico per raccogliere fondi necessari alla costruzione della statua.
• Simboli. Realizzata a Parigi dallo scultore Frédéric-Auguste Bartholdi, alta una cinquantina di metri, la statua della Libertà nel pugno stringe una torcia, simbolo della libertà degli americani che illumina il mondo. Sul capo, l’artista avrebbe voluto scolpire un berretto frigio, emblema giacobino durante la Rivoluzione francese (nell’antichità veniva donato agli uomini liberati dalla schiavitù). Bartholdi scelse poi di scolpire sette raggi di sole che s’irradiano nello spazio, partendo dalla testa della statua. Fonti d’ispirazione: il capo del ”Colosso di Rodi”, il monumento a Clemente XIII scolpito in San Pietro dal Canova, la dottrina speculativa della massoneria, alla quale lo scultore era affiliato: "Il Grande Architetto dell’universo ha dato al mondo il Sole per illuminarlo e la Libertà per sorreggerlo". Nella mano sinistra, la statua impugna il ”Gran libro della legge”, con incisa la data del 4 luglio 1776, giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti.
• Modelle. Secondo un senatore francese, contemporaneo di Bartholdi, a fare da modella per la realizzazione della statua fu la madre dello scultore, secondo altri la sua amante, Jeanne-Emilie Baheux, alsaziana, conosciuta negli Usa e sposata qualche anno dopo.
• Melting pot. New York, città cosmopolita in cui sono presenti quasi tutte le etnie del mondo. Gli americani chiamano la società multirazziale ”melting pot” (crogiolo) o ”salad bowl” (isalatiera). Nel 1909 il professor Ellwood Cubberley, docente di scienza dell’educazione a Standford, credeva che melting pot volesse dire "impiantare nei bambini degli immigrati le concezioni anglosassoni della rettitudine, della legge, dell’ordine e della democrazia, affinché possano fondersi nella razza americana".
• Whitman. Ai tempi in cui visse Withman (1819-1892) il ponte di Brooklyn non esisteva ancora. Per raggiungere Manhattan il poeta doveva salire su una piccola imbarcazione, e lungo il tragitto trovava ispirazione per le sue poesie.
• Pentolini. Nell’isola di Manhattan, tra Brodway e la Sesta Avenue, c’è la Ventottesima strada, abitata nell’Ottocento da editori ebrei e musicisti, soprannominata ”Tin Pan Alley” (’Viale dei pentolini”), a causa del rumore proveniente dai pianoforti pestati da compositori dilettanti.
• Cronache. Nelle cronache giornalistiche dei primi anni del Novecento, la descrizione degli italiani emigrati nei quartieri poveri di New York: visi olivastri, fronti basse e cappelli flosci, allegri e spensierati, gran lavoratori, inoffensivi come bambini, vivevano in poveri tuguri, "stanze dall’aria stagnante, impregnate da un forte odore di sudore e aglio", si lavavano una volta al mese, dormivano su pagliericci sistemati sul pavimento, per colazione mangiavano pane e maccheroni.
• Emigranti. Tra gli emigranti italiani a New York, Carlo Tresca, oratore anarco-sindacalista, editore del giornale ”Il Martello”, assassinato in mezzo a una strada; Mario Buda, anarchico, che il 16 settembre 1920 fece esplodere una bomba a Wall Street; Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, operai, sindacalisti, accusati di aver ucciso un ufficiale americano, condannati a morte senza prove il 23 agosto 1927, mentre un giudice francese, durante il processo, definiva gli italiani "razza di borsaioli".
• Chiesa. Nella Centoquindicesima Strada est, al centro di Harlem, sorge la chiesa italiana ”Our Lady of Mount Carmel” (Nostra Signora del Carmine). Nel suo studio ”The Madonna of 115th Street”, l’antropologo Robert A. Orsi riferisce che fino a qualche decennio fa, durante la festa della Madonna (16 luglio), gli italiani di New York trascinavano le loro donne fino all’altare costringendole a leccare il pavimento con la lingua. Gli americani giudicavano la pratica "rivoltante".
• Garibaldi. Al numero 420 di Tompinks Avenue, Rosebank, la casa-museo di Antonio Meucci. Qui, nel 1850, si fece ospitare Giuseppe Garibaldi, in fuga dopo la disfatta della Repubblica romana. Garibaldi si presentò dopo una lunga traversata sul vascello postale ”Waterloo”, malconcio, il corpo scosso dai reumatismi, un braccio immobilizzato: "Nella traversata per l’America fui assalito da dolori reumatici che mi tormentarono durante gran parte del viaggio, e fui finalmente sbarcato come un baule, non potendo muovermi". Tra gli oggetti esposti nella casa di Meucci, la camicia rossa indossata da Garibaldi durante la difesa di Roma nel 1849; lo zucchetto dell’Eroe, un suo bustino, donato al museo da Bettino Craxi.
• Attrazioni. Fra le attrazioni turistiche di New York, una parete del ristorante ”Umberto’s Clam House” (’Umberto il vongolaro”), dove sono visibili i buchi dei proiettili che il 6 aprile 1972 crivellarono il corpo di ”Crazy Joe” Gallo, mafioso italoamericano, intelligente, sempre ben vestito, lettore di Albert Camus.
• Fiducia. «New York è sporca, disordinata, non puoi mai fidarti che sia ancora lì il ristorante che ti è piaciuto la settimana prima, perché nel frattempo hanno distrutto l’intero fabbricato, o il blocco, ti possono accoltellare all’improvviso (ma non a ogni angolo, il bello di New York è che conosci persino le strade dove è difficile che ti accoltellino). Il cielo può essere di un azzurrino inebriante, il vento è eccitante, i grattacieli talora sfolgorano luminosi e sublimi come il Partenone, e qualsiasi cosa ci mettano in mezzo diventa bella» (Umberto Eco).