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 2001  maggio 21 Lunedì calendario

Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi

• Appello agli elettori. «Elettori italiani, siate saggi: andate, se volete, cauti nel credere a tutto ciò che potrà dirvi il partito moderato: ma chiudete le orecchia alle grida del partito smoderato» (Ciro D’Arco, 1860).
• Indennità. I deputati di una volta prestavano la loro opera gratuitamente (articolo 50 dello Statuto). Ruggero Bonghi (1865): «Chi si vuole occupare di politica non ne deve campare». Francesco Domenico Guerrazzi, nel 1860, nota però che a questa maniera i ”poco bene stanti” non metteranno mai piede alla Camera. Nel maggio del 1912, essendo venuta all’ordine del giorno la questione, il deputato socialista Pietro Chiesa, eletto a San Pier d’Arena, s’alzò e raccontò che campava grazie a un contributo di venti centesimi al giorno che gli facevano arrivare i suoi compagni di lavoro.
• Le prime elezioni dell’Italia unita (ma ancora senza il Veneto e senza Roma) si svolsero il 27 gennaio del 1861. Il sistema era il cosiddetto ”uninominale a due turni”: i candidati si presentavano e se uno di loro raccoglieva più del 50 per cento dei suffragi era subito eletto, altrimenti si andava al ballottaggio tra i due che avevano avuto più voti. Per votare, bisognava avere 25 anni, saper leggere e scrivere e pagare tasse per almeno 40 lire l’anno. Gli ammessi al voto, su una popolazione di una ventina di milioni di persone, erano perciò poco più di 400 mila, cioè il 2 per cento. Di questi andarono effettivamente alle urne la metà.
• Analfabeti. Non esistevano schede prestampate e per votare si scriveva semplicemente il nome del candidato su un pezzo di carta. Questo faceva sembrare materialmente impossibile l’ammissione al voto degli analfabeti. Nel 1912, quando il voto si estese a tutti i maschi di 21 anni e agli analfabeti di 30, si ammise che chi non sapeva nè leggere nè scrivere avrebbe potuto presentarsi al seggio con la scheda già pronta, da infilare in una busta speciale, detta "busta Bertolini" dal nome del deputato che l’aveva inventata.
• Votometro. Il votometro e il votografo, aggeggi inventati nel ’12 per consentire il voto meccanico.
• Ottocento. Il profilo elettorale dell’Italia ottocentesca era inverso a quello dell’Italia attuale. Il Centro-Nord era l’area della Destra, il Sud della Sinistra. La partecipazione al voto era più alta nel Mezzogiorno, più bassa nel Settentrione, bassissima al Centro. L’astensione fu comunque sempre notevole: la punta massima di partecipazione fu raggiunta nel 1882 col 60,7 per cento dei votanti.
• Destra-Sinistra. «Io credo che al punto in cui sono le cose sia molto difficile discernere i limiti che separano la Destra dalla Sinistra; ma vi ha di più, Destra e Sinistra sono disciolte; e se qualcuno grida: viva la Sinistra, muoia la Destra! non otterrà per ciò che la Sinistra vivrà, che la Destra morrà. Sinistra e Destra sono disfatte. Tutto ciò che si può dire a sostegno della Sinistra e della Destra, non può mutar la condizione delle cose» (Antonio Di Rudinì, Discorso agli elettori pronunziato a Noto il 25 settembre 1882).
• Trasformisti. «Nel collegio di Alessandria IV, Carlo Borgatta corre sia con i progressisti che con l’Associazione Costituzionale; a Cagliari II, Salvatore Parpaglia corre sia con l’Unione liberale monarchica che con i progressisti; a Cuneo I, Giolitti entra sia nella lista dell’Associazione costituzionale che in quella progressista; a Milano IV, Maiocchi è presente sia tra i radicali che tra i progressisti; a Novara I, vi è una lista di conciliazione dove compaiono Ricotti, Serazzi, Franzi e Franzosini, ma il Franzi è presente anche nella lista moderata, mentre il Franzosini è in quella progressista».
• Nelle elezioni del 1882, a Napoli, una lista si ”Lista trasformista”; in quelle del 1900 corsero anche le ”liste clericoanticlericali”.
• Professionisti. Il trucco, denunciato nel 1912, di vendersi il voto e soprattutto di venderlo all’ultimo momento, in modo da spuntare un prezzo più alto.
• I francesi hanno introdotto il suffragio universale maschile nel 1848, i tedeschi nel 1871, l’Italia nel 1912. Nel 1919, lo stato italiano abbandona il sistema maggioritario per il proporzionale. Durante il fascismo, con la legge Acerbo, si stabilì che alla lista più votata (almeno il 25 per cento delle preferenze) andassero in premio i due terzi dei seggi. I primi a parlare di suffragio femminile, rimanendo però inascoltati, furono i deputati Giuseppe Marcora e Saladino Saladini, nel 1880. Nel 1944 col governo Bonomi le donne acquisiscono il diritto di voto, ma diventano eleggibili solo nel 1946. Papa Pio IX definì il suffragio universale ”menzogna universale”, "piaga distruggitrice dell’ordine sociale".
• Si va a votare, come risulta dal dibattito sulla riforma elettorale del maggio 1912, per tre ragioni: «O in ossequio al padrone, votando secondo le sue indicazioni; o mettendo in condizioni di non votare, con l’uso della violenza, i sostenitori del candidato avversario; o lucrando su quel diritto, malamente acquisito, aspettando a votare all’ultimo momento quando il prezzo per la vendita del proprio consenso è sensibilmentre aumentato».
• «A poco a poco, bisogna stabilire l’equilibrio su condizioni vere e non fittizie, ottenere una camera che sia quello che dev’essere, che rappresenti la cosa che deve rappresentare, cioè il paese reale, e non il saper fare, e gli imbrogli di qualche classe o di qualche setta» (Massimo d’Azeglio, Agli elettori, 1865).