Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 4 ottobre 1999
Il più grave incidente nucleare dopo Cernobyl
• Il più grave incidente nucleare dopo Cernobyl. L’incidente di giovedì scorso nell’impianto di trasformazione Jco di Ishigami, dove viene trattato l’uranio usato come combustibile nella vicina centrale nucleare di Tokaimura (poco più di cento chilometri da Tokyo), ha provocato la fuoriuscita di radiazioni nucleari 20.000 volte superiori al livello normale. Decine di operai e residenti nei pressi della centrale sono stati contaminati. Oltre trecentomila abitanti della zona sono stati invitati a restare in casa. I tre tecnici dello stabilimento hanno assunto in pochi attimi una radioattività pari a quella provocata da una bomba atomica (cioè 8 millisievert). Il professor Nanao Kamada, dell’Istituto per le radiazioni di Hiroshima, prevede che «circa la metà delle persone esposte a oltre 4 millisievert rischiano di morire entro 30 giorni».
• Secondo i dirigenti della Jco si è trattato di un errore umano: gli operai della centrale che stavano miscelando acido nitrico a uranio hanno messo troppo uranio arricchito (16 chilogrammi invece dei 2,4 previsti), provocando una reazione nucleare a catena.
• L’emergenza nucleare è cessata venti ore dopo l’allarme per l’intervento di diciotto volontari che sono entrati nell’impianto, esponendosi alle radiazioni, e hanno bloccato la fuga radioattiva. I tecnici ora rischiano la vita: le tute speciali non sono in grado di arrestare tutti i raggi mortali.
• Il Giappone è al terzo posto nel mondo per il numero di centrali nucleari (54) dopo gli Stati Uniti (107) e la Francia (59). Privo di materie prime e fortemente dipendente dal petrolio, il Giappone soffrì più di altri la crisi petrolifera del 1973, tanto che l’intera nazione si mobilitò per ridurre la dipendenza dal greggio, con la conversione di impianti e industrie. Oggi le centrali nucleari forniscono più del 30% del fabbisogno industriale di energia. Oltre alle centrali, il Paese ha altri impianti legati al nucleare per il trattamento di scorie e di Mox, composti ossidati di combustibile atomico esausto, che potrebbero essere usati per la costruzione di armamenti.
• Nel febbraio ’91, nella centrale di Mihama lo scoppio dei tubi dell’acqua di raffreddamento provocò l’entrata in funzione del sistema di sicurezza e la fuoriuscita in mare di 20 tonnellate d’acqua con alti tassi di radioattività; nel dicembre ’95, a Monju, avvenne una massiccia perdita di refrigerante in un reattore autofertilizzante; nel marzo 1997 scoppiò un incendio nell’impianto per il trattamento di scorie nucleari sempre di Tokaimura (l’impianto per la produzione di uranio combustibile venne poi chiuso per il timore che fosse stata raggiunta la massa critica, cioè la soglia della reazione nucleare).
• L’esplosione del 1986 nella centrale di Cernobyl ha causato la morte di 22.000 persone. A 13 anni da quell’incidente intorno all’impianto si coltivano pomodori, insalatina di campo e patate che i contadini vendono al mercato. Nelle nove centrali nucleari civili in funzione in Russia ci sono stati negli ultimi anni più di trenta incidenti ”seri” (con un numero di morti imprecisato) e circa ottomila guasti ”minori” (oggi dieci milioni di persone vivono in aree contaminate). Solo nella penisola di Kola, nell’estremo nord a pochi chilometri dalla Norvegia, ci sono 50 sottomarini nucleari in disuso ma con reattore ancora ”carico” e 600 milioni di metri cubi di scorie nucleari, tra le quali una discarica a cielo aperto; il lago di Karaciai, vicino alla città ”nucleare” di Celiabinsk-65, è intasato di materiale radioattivo, ecc. Secondo le rivelazioni fatte da due ufficiali di Marina divenuti ecologisti convinti solo la flotta di sottomarini atomici comporta per la Russia di oggi «un rischio equivalente a 100 Cernobyl».
• A tutt’oggi non esiste un solo reattore nucleare al mondo in grado di garantire la sicurezza assoluta, intrinsecamente impossibile. Francesco Grianti di ”Avvenire”: «Se in una centrale a carbone accade un incidente, la prima cosa che si fa è quella di non caricare più il carbone; nei reattori nucleari, invece, l’uranio non si carica gradualmente, deve essere già tutto lì, precaricato e ammassato secondo una particolare geometria (la famosa pila atomica) dove si controlla solo la ”fiamma” (il flusso dei neutroni). Se per qualche motivo il controllo salta, non è più possibile togliere l’uranio incombusto, e tutto evolve come già successe a Cernobyl».
• Jessica Stern, 39 anni, professoressa di Harvard, ex direttore della task force della Casa Bianca per l’anti-terrorismo, sostiene che il pericolo non sono le centrali nucleari, che hanno un grado di sicurezza più che soddisfacente, ma il terrorismo. Per fermare la minaccia dei tecno-terroristi la Stern ha organizzato l’’operazione Sapphire”, che quattro anni fa mise in salvo mezza tonnellata di uranio arricchito kazako che i terroristi avrebbero usato per costruire ordigni atomici artigianali (il fatto ispirò gli sceneggiatori del film The Peacemaker).
• Il nucleare fornisce circa il 5 per cento dell’energia a livello globale. «Ma l’aumento dei costi di sicurezza, l’oneroso smantellamento degli impianti che cominciano a invecchiare, la minaccia rappresentata dalle vecchie centrali dell’Est a cui nessuno osa mettere mano, il moltiplicarsi di incidenti dovuti al ”fattore umano” rappresentano un peso che potrebbe risultare insostenibile».
• Nel 1998 erano attivi 429 impianti nucleari, uno meno di cinque anni prima. Sempre nel ’98 è stata avviata la costruzione di cinque nuove centrali (due in India, due nella Corea del Sud, una in Gappone): meno di quelle che occorrerebbe rimpiazzare. Negli Stati Uniti dalla fine degli anni Settanta, e in tutti i paesi industrializzati dall’inizio dei Novanta, non sono stati firmati nuovi ordini d’acquisto. Il settore rischia il dimezzamento in vent’anni: un’intera generazione di impianti sta diventando obsoleta e non ci sono progetti di sostituzione.
• Il mondo ha davvero bisogno del nucleare? Tullio Regge, fisico, ex parlamentare europeo: «Se non si trova qualche modo per evitare l’effetto serra connesso ai combustibili fossili, del nucleare avremo bisogno. Magari di un altro nucleare, più sicuro, progettato in modo diverso rispetto ai reattori attuali. Se oggi in Europa chiudessimo di colpo tutte le centrali nucleari causeremmo una crisi economica gravissima».
Giorgio Salvini, fisico, ex ministro della ricerca, ex presidente dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare, dice che il nucleare prima o poi dovrà diventare la nostra principale sorgente di energia, a causa dell’esaurimento dei combustibili fossili.
• In Italia dodici anni fa un referendum bandì il nucleare. Oggi sul nostro territorio ci sono quattro centrali dismesse e oltre 23 mila metri cubi di scorie radioattive. In attesa di decidere come sistemarle (una certa quantità mantiene la radioattività per trecento anni, il resto per millenni) sono state inscatolate in enormi piscine blindate a Casaccia (vicino Roma) e Trisaia (Basilicata) e in container di calcestruzzo a Saluggia (Vercelli). L’Italia ha mantenuto in funzione una rete di rilevamento costata 6 miliardi di lire, che potrebbe essere utile in caso di nubi radioattive provenienti, ad esempio, dalle centrali dei paesi dell’Est, le più insicure.
• Abbiamo fatto bene a uscire dal nucleare? Tullio Regge: «Secondo me no. Potevamo tenerci qualche centrale, chiuderle in anticipo tutte non è stato saggio. La prematura fine dell’atomo non ha avuto finora conseguenze gravi perché il prezzo del petrolio si è mantenuto basso. Ma ora la musica cambia [...] Non volete l’atomo? D’accordo. Ma allora bisognava anche chiudere metà delle centrali Enel, ormai vecchissime e perlopiù del tipo ”policombustibile”, che finiscono per bruciare male tutto». [13]