Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
8 settembre 1943
• 8 settembre 1943. «Quella sera stessa e il giorno successivo ho dovuto prendere, nell’interesse della ditta e dello stato italiano, l’iniziativa di fermare tutti vagoni di merce acquistati e in viaggio verso l’Italia; e ciò allo scopo di evitare che le merci (bestiame vivo, carne in scatola, pollo in scatola, fegato d’oca) transitando in territorio germanico venissero dichiarate preda bellica».
• Spettacoli. «Lo spettacolo dei treni deportati era veramente impressionante e tanto strazio rafforzò in me la volontà di fare quanto era nelle mie possibilità per aiutare quella disgraziata gente; il bestiame che la mia ditta caricava a Sopron era trattato meglio dei deportati».
• Opinioni. «Era opinione diffusa dei capi nazisti ungheresi che la sconfitta sarebbe stata meno dura se al momento del crollo definitivo quasi tutti gli ebrei fossero morti».
• Necessità. «Qualcuno ha detto e scritto che per ottenere ciò io avrei dato ai ministri e capi nyilas (nazisti magiari, ndr) i passaporti per fuggire in Spagna o altrove. Non è vero: nessun ministro o gerarca nyilas ne ha mai fatto richiesta, ma non esito ad affermare che se per salvare delle vite umane fosse stato necessario rilasciare dei passaporti non avrei esitato un solo istante a farlo».
• Mani protese. «Spesso venivano dai noi elementi che volevano comperare la nostra protezione; a me più d’una volta si presentò gente con le mani protese piene d’oro e altri valori; ma nulla fu mai accettato se non elargizioni a favore dei nullatenenti e sempre dopo avere concesso la protezione».
• Forza. «Può darsi che in quell’epoca io avessi la forza di ammansire i cattivi».
• Case e bastoni. «Avevo creduto di capire che il miglior mezzo per assicurare una efficace protezione ai nostri ebrei era il continuo, ostentato interessamento. Perciò facevo due volte al giorno il giro delle nostre case intrattenendomi a lungo in ognuna. Per rendere più appariscente la visita mi recavo con una grande auto Ford sulla quale sventolava una adeguata bandiera spagnola; mi intrattenevo con gli agenti di servizio ai quali facevo anche regali. Dalla polizia ebbi anche un omaggio: un elegante bastone da passeggio con un’artistica impugnatura raffigurante una testa di negro scolpita in ebano».
• Pignolerie. «Appena firmato il documento chiesi un colloquio privato al Nunzio e gli esposi la mia situazione; in un primo tempo non voleva credere ma poi si dimostrò divertito del tiro che stavo giocando ai nazisti e fu felice di sapere che ero suo compatriota e lombardo di nascita come lui. Disse che a scopo di bene questi imbrogli sono ammessi, ma mi raccomandò di non dirlo al suo segretario monsignor Verolino il quale con la sua pignoleria gli avrebbe levato il sonno».
• Danubio. «La notte dal 29 al 30 avvenne nella Liszt Ferenc tér e nella stessa Eotvos ut un orrendo massacro di ebrei tratti dal ghetto. Noi sentimmo le grida e le invocazioni di aiuto, oltre che gli spari che tolsero la vita a centinaia di persone. Appena giorno mi recai a constatare che i morti erano per la maggior parte donne e bambini. [...] Tutto il tratto di riva prospiciente l’Hungaria e il caffè Negresco aveva la neve arrossata dal sangue e nello specchio d’acqua corrispondente galleggiavano centinaia di cadaveri nudi trattenuti dai blocchi di ghiaccio; erano stati uccisi durante la notte e fatti precipitare nel Danubio».
• Nuca e nudità. «Le vittime avevano fatto circa due chilometri a piedi sulla neve, completamente nudi, legati per i polsi a due a due, fatti inginocchiare sulla riva e poi uccisi con il classico colpo alla nuca. Una giovane ragazza si era salvata perché caduta in acqua senza essere colpita; venne raccolta più tardi da una pattuglia di soldati. L’ufficiale me la consegnò e la portai in legazione».
• Connazionali. «Verso la mezzanotte, sempre del 29 (novembre ’44, ndr), avevo incontrato un connazionale, un certo B., il quale mi diede del traditore in quanto avevo cambiato cittadinanza e proteggevo gli ebrei nemici dell’Italia».
• 31 dicembre 1944. «La notte di San Silvestro si placarono i combattimenti e cannoneggiamenti e la città piombò in un perfetto silenzio, allora facemmo un po’ di salotto e anche ballammo: a mezzanotte sturammo alcune bottiglie e io proposi un brindisi per il generale Franco e per il popolo spagnolo».
• Arrivano i nostri. «Tutti i soldati russi si fermarono in Mussolini tér (piazza Mussolini, ndr) mentre avrebbero potuto occupare in un’ora tutta Pest. I russi si dedicarono tutto il giorno a sfondare negozi e uffici, e a violentare donne di tutte le età».
• Un memoriale sollecitato da Jeno Levai, storico dell’antisemitismo ungherese, e scritto da Perlasca in una prosa semplice e sintetica. In esso rivive l’eroismo e l’astuzia del commerciante di carni che, senza porsi troppe domande, salvò oltre cinquemila ebrei dimostrando agli occhi di chi vi assisteva stupefatto che al Male era possibile opporsi.
Giorgio Perlasca nasce a Como nel 1910. Combatte in Spagna coi franchisti. Soggiorna per affari in località dell’Europa dell’Est, in ultimo Budapest, per conto della Saib (Società an. importazione esportazione bestiame). Lì lo sorprende l’8 settembre. Internato con altri italiani fedeli al re quando la Wehrmacht invade il paese, fugge e si rifugia nell’ambasciata spagnola il cui segretario, Sanz Briz, gli rilascia un certificato di cittadinanza e una sorta di mandato a occuparsi degli ebrei di origine iberica presenti nella capitale. Presto il numero dei "protetti" si allarga. Trattando in modo poco diplomatico con le autorità magiare, aiutato dal funzionario d’ambasciata Zoltan Farkas, riesce a salvarli nonostante gli assalti e le pressioni dei miliziani magiari nazisti. Tornato in Italia spende il resto della vita a Padova, dove muore nel ’92. A Gerusalemme, nel parco dei Giusti delle Nazioni un albero porta il suo nome.
Giorgio Perlasca, ”L’impostore”, il Mulino
Pagine 193, 9,30 euro