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 2004  novembre 14 Domenica calendario

Forse manca un aggettivo al titolo della satira più famosa di Giovenale

• Forse manca un aggettivo al titolo della satira più famosa di Giovenale. Forse sarebbe stato più pertinente chiamarla ”Contro le donne ricche”. contro di loro infatti, più che contro le donne in genere, che si scarica il moralismo, certo pungente e feroce, ma forse ipocrita, del grande poeta di Aquino. La struttura dialogica dell’opera è intessuta di strali apparentemente tutti rivolti al passato, verso gli antenati più o meno lontani di quell’alta società a cui Giovenale non apparterrà mai, ma tra le cui fila allignano tutti i suoi benefattori. Eppure il poeta fa i nomi, riportando situazioni grottesche, pescando a fondo tra pregiudizi senza tempo, ancora attuali, mescolati con grande sarcasmo in versi, dall’impatto quasi visivo. uomini e armenti Per me la Pudicizia è scesa in terra, e c’è rimasta a lungo, solo ai tempi del re Saturno, quando una caverna umida e fredda era tutta la casa col focolare e i Lari, e racchiudeva nel suo buio, confusi, uomini e armenti. Vagabondando in cima alle montagne la donna preparava a terra un letto di paglia e frasche, e vi stendeva sopra le pellicce degli animali uccisi lì nei dintorni (diversa da te Cinzia, e da te cui la morte d’un passero velò gli occhioni splendidi!): una donna sempre occupata a porgere le poppe ad enormi marmocchi, mostruosa a volte più del suo omaccio ruttante ghiande [...].
• Meglio un ragazzino che una moglie. Sapessi quanto è vizio antico, Postumo, far saltellare il letto altrui, beffarsi del Genio che presiede al sacro talamo! L’età del ferro ci ha portato tutti i vizi immaginabili, ma già quella d’argento vide i primi adulteri. Eppure, in tempi come i nostri, tu combini un matrimonio, ed organizzi cerimonia e contratto; ti precipiti da un barbiere di vaglia, e forse forse già ti sei fidanzato con l’anello. Eri un ragazzo in gamba, caro Postumo, e prendi moglie! Dimmi, quale Furia ti sconvolge la mente? Preferisci una padrona quando ci son tante corde per impiccarsi, e poi finestre vertiginose, altissime, o magari a un passo ponte Emilio? Se nessuna di queste soluzioni è di tuo gusto, credimi è meglio che ti porti a letto un ragazzino. Almeno non fa scene in piena notte, non vuol regali, non si lamenta se risparmi il fiato e non vuoi scalmanarti a suo comando
• Quando le donne stanno con l’amante. Eppia, moglie d’un grande senatore, è corsa dietro a una scuola di scherma sino a Faro sul Nilo ed alle mura infami d’Alessandria: le mirabili prodezze dei romani scandalizzano la corrotta Canopo addirittura. Eppia dimenticò casa, sorella, marito, patria, lasciò i figli in lagrime e - cosa più incredibile - le gare del circo e il grande Paride. Sebbene abituata sin da bimba agli agi, solita riposare sulle piume in una culla filettata d’oro, disprezzò il mare, i suoi rischi, le sue durezze come aveva disprezzato l’onore (ma le nostre nobildonne non sanno cosa farsene, è notorio). Sopportò di gran cuore le tempeste del Tirreno, i clamori dello Ionio, passando imperturbabile da un mare all’altro. Valle a capire le donne! Se per caso si trovano in pericolo per un motivo serio, eccole lì gelide di paura, con le gambe che non le reggono, pronte a svenire: ma con quale coraggio invece affrontano i rischi nelle più turpi avventure! Se l’ordina il marito, ahi che fatica imbarcarsi: la stiva come puzza, il cielo come gira sulla testa. Se sono invece con l’amante, tutto funziona a meraviglia, testa e stomaco. Col marito rigettano, con l’altro mangiano allegre insieme ai marinai, corrono per il ponte, si divertono a maneggiare quei duri cordami. Ma sai Eppia di chi s’innamoro? Sai per quale spettacoloso fusto tollerò che la gente la chiamasse la «gladiatora»? Per Sergiuccio, un tipo mica di primo pelo, anzi già pronto quasi ad andarsene in pensione, tutte cicatrici sulle braccia. E aggiungi un mucchio di sfregi sulla faccia: un gobbo enorme sul naso, regalatogli dall’elmo, un occhietto un pò guercio, lacrimoso. Pure era un gladiatore: ecco che cosa fa di tutti costoro dei Giacinti, e li fa preferire a patria e figli, a sorella e marito! Amano il ferro queste donne. Fà un poco che Sergiuccio se ne vada a riposo e tu vedrai Eppia trovarlo brutto, quasi quasi peggio di quella spia di Veientone [Vissuto ai tempi dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), ndr].
• Messalina augusta puttana. [...] Senti Claudio cosa dovette sopportare! Non appena sua moglie [Messalina, ndr] lo vedeva addormentato, l’augusta puttana indossava un mantello col cappuccio e usciva, accompagnata da una sola fantesca, preferendo un pagliericcio da bordello al suo letto in Palatino. Coi capelli nerissimi nascosti da una parrucca bionda scompariva nel lupanare tiepido [...]. Sotto il falso nome di Licisca si distendeva nuda, [...] e scopriva il ventre da cui tu, generoso Britannico [figlio dell’imperatore Claudio 41-54 d.C.], avvelenato da Agrippina, [seconda moglie dell’imperatore, ndr], sei nato. Accoglieva i clienti con carezze e moine, intascava il suo salario. [...].
• La ricca che sposa un avaro è come vedova. Vuoi che parli dei filtri, delle formule magiche, dei veleni preparati per i figliastri? Sotto l’imperiosa spinta del sesso compiono delitti tanto gravi che la lussuria è il meno. Sono così le donne. «Ma perché a sentire il marito di Censennia lei almeno è perfetta?» Gli ha portato un milioncino di sesterzi in dote, per quella somma la trova perfetta. Non è mica la fiaccola di Venere a farlo dimagrire, ad incendiarlo, ma il fuoco della dote. S’è comprata la libertà Censennia: può far segni apertamente all’amico, rispondere ai suoi biglietti. La ricca che sposa un uomo avaro è come fosse vedova.
• Nessuna donna risparmia chi l’ama. Se non potrai voler bene a una donna che ti è stata promessa e fidanzata con tanto di pubblicazioni, dimmi perché devi sposarla? Per rimetterci il banchetto nuziale e i mostaccioli di cui si riempiono le tasche gli ospiti già abbuffati alla fine della festa; nonché il classico dono che si dà la prima notte, il vassoio prezioso con l’effige del Dacico e Germanico tutta in oro zecchino? Se ti prende il desiderio sciocco di sposarti, se hai dedicato il cuore ad una sola, china la testa e preparati al giogo. Nessuna donna risparmia chi l’ama; sia pure innamorata ci godrà a straziare il suo amore, a rovinarlo. Perciò una moglie è poco consigliabile all’uomo buono, al perfetto marito. Non puoi fare un regalo se madama non vuole; se si oppone non puoi vendere o comprare un bel niente. Sarà lei a controllare i tuoi affetti, a sbattere fuori casa quell’amico caro che già ti frequentava quando appena incominciavi a metter barba. Un pappa, un maestro di scherma, un gladiatore fan testamento in piena libertà: tu no, lei vorrà importi per erede i suoi parecchi amanti. «Crocifiggi quello schiavo!» «Che ha fatto di tremendo per meritare un simile supplizio? Chi l’ha visto? Chi l’accusa? Ascolta, quando ne va la vita di un uomo, nessuna esitazione è mai di troppo!» «Sciocco, è forse un uomo uno schiavo? E va bene, non ha fatto un bel nulla. Ma io voglio questa morte, te lo ordino; la mia volontà ti sia l’unica causale». Così regna sull’uomo. Ahimè, ben presto questo dominio l’annoia: lo lascia, cambia casato, getta a terra i veli nuziali. [...].
• Chi insegna a cavare i soldi dalle tasche. Finché vive tua suocera rinunzia alla concordia familiare. Lei insegnerà alla figlia a divertirsi cavando soldi al povero marito; l’aiuterà a rispondere con arte maliziosa ai biglietti d’un corrotto dongiovanni; farà fesse le guardie o le corromperà. Quando la figlia è sana come un pesce chiama il medico Archigène, fa togliere le coltri troppo spesse. Frattanto in un cantuccio segreto della tua casa, l’amante attende venga il suo turno [...]. E che, forse t’aspetti che sua madre le inculchi sani principi, diversi dai propri? Trovo logico il contrario: una vecchia puttana non potrà tirare su che una figlia puttana. In tribunale non si fa una causa senza una donna di mezzo. [...].
• La cattiva coscienza delle donne. Il letto coniugale non conosce che liti e accuse reciproche, e poco si riesce a dormirvi. Ma una moglie non è mai tanto tremenda (più ancora di una tigre che ha perso i propri cuccioli) come quando nasconde la cattiva coscienza sotto un pianto finto, ed ora ce l’ha con gli schiavetti, ora piagnucola per una amante inesistente. Tiene una riserva di lacrime pronte a gocciolare a suo comando: tu te ne dispiaci, tu lo credi amore, asciughi con le labbra quelle lacrime[...]. Fesso, trovassi aperta la ribalta di quella poco di buono che fa la gelosa ne leggeresti bigliettini dolci e lettere! Ma coglila sul fatto, abbracciata a uno schiavo, a un cavaliere. «Dì pure, Quintiliano mio, colora a modo tuo l’episodio!» l’affronta. «Parla tu, invece, ti ascolto». «E va bene - replica lei - noi s’era pur d’accordo nel fare tutti e due i nostri santi comodi! Starnazza quanto ti pare, metti sottosopra il mare e il cielo: anch’io sono di carne». Non c’è nulla di peggio d’una donna colta sul fatto, la sua stessa colpa la riempie di coraggio e di furore.
• Chi guarderà le guardie? Vi sento, vecchi amici miei, da un pezzo predicarmi: «Chiudila a catenaccio, non farla uscire!» Ma chi guarderà le guardie? a loro che una moglie furba penserà in primo luogo. Ora, la libidine è uguale per tutti, sia plebe sia nobiltà: quella che frusta a piedi il nero lastricato non è meglio di quella che si fa portare a spalla da marcantoni siri. Per andare ai giochi, Ogulnia prende a nolo veste, corteo, lettiga, guanciale, compagne, balia e biondina per le commissioni; ciò che resta del gruzzolo paterno, fino agli ultimi vasi, lo regala a imberbi atleti. Molte donne vivono in ristrettezze, ma di ciò non hanno alcuna soggezione e non s’adattano al metro imposto dalla povertà. E mentre gli uomini talvolta vedono dove sia l’utile, temono il freddo, la fame, imparano dalle formiche, la donna spende e non si rende conto che il patrimonio sfuma. Quasi i soldi crescessero da soli nella vuota cassaforte e lei vi potesse attingere sempre a livello massimo, la donna non bada a spese per i suoi capricci.
• In palestra. C’è la ricca signora che fa prendere i suoi vicini, povera gente, e li fa battere a sangue, incurante di qualsiasi preghiera. Se un latrato rompe il suo sonno profondo: «Portate qui subito le verghe!» grida, ed ordina col volto pieno d’odio [che paura incontrarla!] di bastonare il cane e prima ancora il suo ignaro padrone. Costei fa il bagno di notte, di notte mobilita le bacinelle e tutti gli attrezzi suoi, fa dello sport, ci gode a sudare con chiasso. Finalmente quando non ne può più, quando le braccia crollano sotto il peso dei manubri, passa al massaggio, e lì l’operatore che la sa lunga le preme il grilletto con le dita finché su dalle cosce non esce un gemito affannoso. Intanto i suoi poveri ospiti la aspettano travagliati dal sonno e dalla fame. Arriva rossa in faccia, piena di sete tanto che berrebbe tutto [...].
• Governano come un tiranno siciliano. Val la pena sapere di che cosa s’impicci in tutto il giorno. Se la notte il marito ha dormito e le ha voltato la schiena, son dolori per le addette al guardaroba e per la governante, e lo schiavo liburno sente dirsi d’essere giunto in ritardo e gli tocca pagare lui perché l’altro dormiva. Uno rompe i bastoni con la groppa, uno si arrossa per le scudisciate, l’altro sotto il flagello. Certe donne hanno un carnefice a stipendio. Frustano e lei si trucca, riceve le amiche o ammira il bordo d’oro d’una veste ricamata e di là frustano, guarda le lunghe somme dei conti del giorno e di là frustano; finché non grida agli aguzzini ormai sfiniti: «Fuori!» con voce orribile; giustizia è fatta. Il modo in cui governa la sua casa è quello di un tiranno siciliano. Quando ha un appuntamento, e si vuol fare bella più del consueto, e ha fretta, e già l’aspettano ai giardini - o meglio al tempio d’Iside, dea ruffiana - l’infelice Pseca deve acconciarla. Coi capelli arruffati, le spalle e il petto nudi, la pettina. «Non vedi? Questo ricciolo è troppo in alto!» Una nerbata subito scende a punire il crimine, il misfatto d’un capello mal messo. Cosa ha fatto di tanto grave Pseca? colpa sua se a te non va il tuo naso? [...] intanto se ne frega del marito e delle spese che gli accolla. Vive nella sua casa come un’inquilina e ti accorgi che c’è solo per l’odio che nutre per gli amici e per gli schiavi di lui, per il passivo del bilancio.
• La saccente. Ancora più noiosa la saccente che, sedutasi a tavola, comincia a lodare Virgilio, a trovar scuse per il suicidio di Didone, e pone a confronto i poeti: su di un piatto della bilancia Marone, sull’altro Omero. I professori di grammatica depongono le armi, gli oratori si dichiarano vinti, tutti tacciono; sta zitto l’avvocato, il banditore, persino ogni altra donna, tanto fiume scorre impetuoso di parole, simile a un tintinnio di piatti e campanelli. [...]. necessario porre un limite anche alle cose più giuste: se vorrà goder fama di buona parlatrice o di scienziata, dovrà comportarsi punto per punto come un uomo, andare in vestiti succinti, macellare un maiale a Silvano, frequentare bagni da quattro soldi. [...].
• I profumi son fatti per gli amanti. Una donna non si rifiuta nulla, non trova vergognoso nulla quando può cingersi la gola di smeraldi e stirare le orecchie con enormi pendenti d’oro. Nulla è insopportabile quanto una milionaria. Ripugnante a vedersi, ridicola, la faccia spalmata e gonfia di mollica, puzza delle untuose pomate di Poppea alle quali s’invischiano le labbra del povero marito. Dall’amante ci va a pelle lavata; e quando mai ha interesse a sembrare bella in casa? I profumi son fatti per gli amanti, per loro manda a comprare le essenze spediteci dai gracili indiani. Finalmente si scopre il volto, toglie il primo strato, in modo che incominci a riconoscerla, poi si lava bene col latte per il quale condurrebbe interi greggi d’asine con sé dovesse andare in esilio nell’Artico. Ma una faccia coperta e medicata con sempre nuovi impiastri, intonacata di cataplasmi di farina cotta, la si deve chiamare faccia o piaga?
• E sono pure credulone. Chi più di tutti merita gli onori supremi è il sacerdote che scorrazza per la via tra un corteo di zucche calve e vestiti di lino, mascherato da Anubi, e sotto sotto se la ride della credulità del popolino. Sta a lui chiedere grazia ogni qualvolta la moglie è andata a letto col marito in giorni sacri, proibiti: il serpente d’argento ha mosso il capo, lo si è visto, chi ha peccato dovrà pagarla cara. [...]. All’indovino armeno, o nato a Commagene, basta frugare in un polmone di colomba ancora caldo per predire un giovane amante o la sontuosa eredità di un ricco senza figli. Tutto quanto dice l’astrologo le donne se lo bevono come scaturisse dalla fonte d’Ammone; poiché Delfo è muto, non dà più nessun oracolo, e la nebbia che avvolge l’avvenire è la tortura dell’umanità. [...].