Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 21 novembre 2004
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Biografia di Plinio il vecchio
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• Pompei si erge su una rada alla foce del fiume Sarno. Quel terreno piatto e fertile, ricco della vegetazione più rigogliosa, è un’antica piattaforma di lava, fuoriuscita dal Vesuvio in un’eruzione di cui si è persa la memoria. A fondare la cittadella erano stati gli oschi. Poi erano arrivati i greci, il commercio si era intensificato, la città era cresciuta. I tanti prodotti dell’entroterra arrivano grazie al Sarno, che è navigabile. Al porto non mancano mai navi che portano ovunque il pregiato vino delle zone e la salsa di pesce, di cui molti vanno ghiotti. Si fa anche un gran commerciare della pietra pomice di cui le pendici del Vesuvio e le campagne circostanti abbondano: serve per arrotare e pulire i metalli. Da subito i pompeiani hanno imparato a difendersi dai romani, sempre più minacciosi. La prima volta che Pompei compare in un documento di storia è proprio per via di un’aggressione militare da parte di Roma: nel 302 a.C., durante la seconda guerra punica, l’ammiraglio romano Publio Cornelio approda alla foce del Sarno e con le sue ciurme risale fino a Nuceria abbandonandosi a ogni tipo di ruberia. Dura poco, giusto il tempo che si formi un’alleanza tra gli aggrediti che respingono indietro i romani. Pompei entra nei confini di Roma nell’ottantesimo anno prima dell’era cristiana, ma i vincitori ricordano la forte resistenza dei vinti: un terzo delle terre appartenenti ai cittadini viene assegnato ai veterani romani, che s’insediano lì per evitare eventuali moti d’indipendenza.
• il nono giorno prima delle calende di settembre (24 agosto) dell’anno 79. Non credo esista delizia maggiore al mondo che godere di questo sole d’estate. Mi chiamo Gaio Plinio Secondo e ho cinquantasei anni. Tito è diventato imperatore poche settimane fa, ma a me la politica interessa poco adesso, anche se sono il comandante della base navale di Miseno, nella baia di Napoli. La vita di corte non mi è sconosciuta: tre anni fa, nel 76, ottenni da Vespasiano un incarico di responsabilità. Incontravo l’imperatore praticamente tutti i giorni. Più che la politica la mia vera vocazione è sempre stata la scienza. Ne ebbi la consapevolezza ormai venti anni fa, nel 59, quando mi capitò di osservare un’eclissi di sole, in Campania. D’altra parte fin da ragazzo i miei amici mi chiamavano scherzando ”sapientone”.
• Le strade lastricate di Pompei brulicano di gente e carri. Nel Foro c’è un mercato coperto che abbonda di ogni mercanzia: frutta e vini, pani, stoffe, pesci e carni. Lungo le vie, numerose botteghe. Ci sono anche i bar (’termopoli”) dove i passanti possono fermarsi un po’ per prendere cibi e bevande calde, contenuti in recipienti di bronzo incastonati nel bancone. In città i possidenti sono numerosi. Dedicarsi agli affari piace: sulla porta di casa sua un certo Sirico ha fatto incidere la scritta Salve lucrum, «Benvenuto guadagno». Ma il numero dei facoltosi cresce anche perché sono molti i romani benestanti che si stabiliscono a Pompei, desiderosi di fuggire la febbrile attività politica dell’Urbe (Campania felix si dirà allora). Tra questi anche i membri della famiglia imperiale. A tal proposito si ricorda un evento tragico capitato a Pompei nel 21, al tredicenne Druso, figlio dell’imperatore Claudio. Questi è intento a giocare con una pera, lanciandola in aria e riprendendola con la bocca, quando il frutto gli va di traverso e lo soffoca prima che i dottori riescano a salvarlo.
• Vivo a Miseno, dunque, con mia sorella Plinia e il di lei figlio, un ragazzo di diciotto anni che ha il mio stesso nome e che tutti chiamano Plinio il Giovane per distinguerlo da me. Non sono sposato e per lui provo un affetto di padre. studioso e coscienzioso, mi dà molte soddisfazioni. Osservando la dolcezza della spiaggia e di tutto il panorama, mi piace pensare ai miti che popolano questo luogo. Questo promontorio, Miseno, che prende il nome dal trombettiere di Enea scaraventato in mare dal dio marino Tritone, adirato dalla tracotanza dell’uomo che aveva osato sfidarlo nel suonare il corno. E Ulisse, che lungo questa costa veleggiò cercando di resistere al canto delle Sirene. Qui c’è serenità, anche se in questi giorni sembrano tutti spaventati. La terra pochi giorni fa ha tremato e forse più di qualcuno ha ripensato al terremoto che colpì queste terre sedici anni fa. Non nego che l’evento sia stato devastante, ma quel che è successo adesso non è paragonabile: nelle case qualche oggetto è caduto in terra, talvolta si son viste crepe nei muri, un paio di pozzi si sono seccati. Mi sembrano fenomeni di poco conto.
• Nel 79 d.C. Pompei è ancora una città in via di ricostruzione. A mezzogiorno del 5 febbraio del 63, infatti, una forte scossa di terremoto aveva raso al suolo gran parte della città: era crollato il tempio di Giove coi suoi colonnati, come pure il tempio di Apollo e tutti gli edifici intorno alla piazza centrale, la Basilica, il tempio di Iside (si credeva che la divinità egizia proteggesse i naviganti). Inagibili i due teatri della città, di cui uno coperto. Malridotte le terme. Grazie però ai finanziamenti di Roma, la città pare rinascere ancora più lussuosa di prima, anche se nessuno s’interroga sulla causa della catastrofe. Aiutano nella ricostruzione di Pompei anche i cittadini più ricchi. Per esempio un facoltoso liberto, rampollo della gente Popidia (tra le più altolocate della città) fa ricostruire il tempio di Iside a sue spese, in nome del figlioletto di sei anni. Come ricompensa il fanciullo viene elevato dal senato della città, con la carica di consigliere municipale (si tratta di un riconoscimento onorifico, visto che il bambino avrebbe potuto ricoprire la carica solo all’età di trent’anni). I ricchi si fanno ricostruire case sempre più sfarzose e finemente affrescate, ogni stanza è decorata secondo l’uso: quelle dove si ricevono gli ospiti con scene mitologiche, atri e porticati che chiudevano i giardini con paesaggi e soggetti rustici, i triclini, dove si mangia, con nature morte di frutta e verdura.
• Ero appena tornato a casa dalla spiaggia, e stavo pensando di dedicarmi ai miei amati studi, quando un rombo fortissimo ha catturato la mia attenzione. Mia sorella pallida in volto è corsa da me per mostrarmi una cosa eccezionale, cioè quella enorme nuvola che si è formata al centro del cielo. Correndo su un’altura ho potuto vedere che aveva la forma come di un pino: un tronco altissimo, in cima una chioma candida macchiata qua e là da polvere e detriti portati in alto. Secondo me il fenomeno merita un’osservazione più attenta. Comunque ora non ho tempo. La mia amica Rectina, che ha una villa proprio alle pendici del Vesuvio, mi ha fatto sapere di aver bisogno di aiuto. Salperò con le mie quadriremi per andare a calmare lei e tutti quelli che, come lei, sono spaventati a morte. Ho chiesto a mio nipote se vuole venire con me, ma lui ha rifiutato.
• I magistrati hanno l’obbligo di offrire ai cittadini svaghi e divertimenti. I giochi possono essere di diverso tipo: corse con i carri nel circo (ludi circenses), rappresentazioni teatrali (ludi scaenici), spettacoli anfiteatrali (munera); combattimenti dei gladiatori. Il primo teatro costruito a Pompei ospitava fino a 5000 spettatori. Ma spettacolare era quello edificato nell’80 a.C. da Caio Quinzio Valgo e M. Porcio subito dopo la loro elezione alle più alte magistrature civiche. Capace di contenere circa 16.000 spettatori di cui 13.000 seduti, aveva un velario teso sopra l’arena e le gradinate per riparare gli spettatori dal sole. A quei tempi nemmeno a Roma c’era un impianto simile. Nel 59 dopo Cristo, lì si registra uno scontro tra i sostenitori dei gladiatori locali e quelli di Nocera. Prima uno scambio d’invettive tra fazioni opposte, segue un lancio di pietre, poi le armi: da un nonnulla (levi initio) si degenera presto in una carneficina (atrox caedes). Tra le due tifoserie ha la meglio quella di Pompei, degli altri «molti sono riportati a casa con il corpo mutilato per le ferite, e molti piansero la morte di figli e genitori» (lo racconta Tacito). In seguito, le autorità decidono la squalifica decennale per l’anfiteatro pompeiano, mentre l’organizzatore dei giochi e i capi dei violenti vengono condannati all’esilio. Comunque i gladiatori restano molto amati dalle folle e soprattutto dalle donne. In particolare ce n’è uno, tal Celado, che viene definito «sospiro delle ragazze».
• La situazione è molto più grave di quanto si potesse supporre. Mentre mi avvicinavo con le navi alla casa di Rectina, una parte della montagna è franata impedendoci non solo di avvicinarci alla riva, ma anche solo di pensare di poter salvare le persone che si trovano lì. Spaventato eppure convinto che la fortuna aiuta gli audaci, ho puntato le quadriremi verso Stabia, proprio dalla parte opposta del Golfo rispetto a Miseno. Lì si trova il mio amico Pomponiano: l’ho trovato che aveva già caricato le navi con tutti i suoi averi, trattenuto a riva dal solo vento contrario. Intanto dappertutto è cominciata a cadere una cenere calda e densa, come se nevicasse. Poi anche pietre nere roventi. Il mare sembra ritirarsi, lasciando sulla sabbia pesci agonizzanti. Il mio carissimo Pomponiano era fuori di sé, ho cercato di calmarlo raccontandogli che quei bagliori lontani che si vedevano lungo il fianco del Vesuvio potevano essere le case incendiate dai contadini prima di abbandonarle. Questa fuliggine rende difficile il respiro, ma ho cercato lo stesso di mostrarmi tranquillo. Addirittura mi sono seduto alla tavola del mio amico e ho cenato. Poi ho detto d’essere stanco e mi sono ritirato nella camera degli ospiti.
• I pompeiani hanno una vera passione per le scritte sui muri. Per esempio con le scritte sui muri si dà notizia degli spettacoli dei gladiatori, ma si fa anche campagna elettorale: «Venere pompeiana vi sarà propizia se voterete Numerio Barca, un galantuomo», «Caio Ateio Capitone ha l’appoggio degli indigeni e degli immigrati», «O Trebio, scuotiti e fa edile il giovane Lollio Fusco che è un uomo onesto». Per sabotare le elezioni gli avversari scrivono cose come: «Votate Marco Cerrinio Vazia: tutti i beoni nottambuli sollecitano il voto per lui». Dopo il voto, imbianchini stipendiati dagli eletti passano per la città a togliere le frasi (talvolta sono loro a scrivere subito dopo aver pulito: «Sosio ha scritto, Onesimo ha di nuovo ripulito la pietra»). Poi c’è chi se la prende con l’oste: «Possa tu morire annegato nella tua brodaglia infetta. Ci vendi acqua e ti bevi vino puro». Ci sono tante scritte d’amore: «Chi non ha visto la Venere dipinta da Apelle guardi la mia ragazza che è altrettanto bella», «Meriterei di morire se volessi essere dio senza di te», «Marcello ama Prenestina, ma non è ricambiato». Altre scritte: «Mi meraviglio, o muro, che tu non sia ancora crollato sotto il peso di tante stupidaggini» (contro gli slogan elettorali). «Avete, utres sumus» («Salute, beviamo come otri»). «Sono per la distribuzione del tesoro municipale; il comune ha troppi soldi».
• All’alba del 26 agosto, quando alla fine poté vedersi di nuovo la luce del sole, Plinio il Vecchio fu trovato sdraiato sopra un lenzuolo che un tempo doveva essere stato bianco. Il volto sereno come di chi dorme, addosso i vestiti che aveva l’ultima volta che lo videro ancora in vita. Pompei non esisteva più, sepolta sotto sette metri di cenere e lapilli.
• «Ma finalmente la nuvola che ci avvolgeva si rischiarò; poi, come fumo, si dissipò e il vero giorno ritornò. Si vedeva anche il sole, ma livido, come durante un’eclissi. E allora ai nostri occhi, ancora pieni di spavento, tutto sembrò cambiato» (Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20).
• La storia dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse Ercolano e Pompei è conosciuta grazie a due lettere di Plinio il Giovane (61-114 d.C.) all’amico Tacito. Una cronaca attenta della catastrofe che travolse anche suo zio Plinio il Vecchio. «[...] Poco dopo quella nube calò sulla terra e ricoprì il mare. Mi volto indietro: una fitta oscurità ci incombeva alle spalle e, riversandosi sulla terra, ci veniva dietro come un torrente si fece notte, non però come quando c’è la luna e il cielo è ricoperto a nubi, ma come a luce spenta in ambienti chiusi. Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni dei bambini, le urla degli uomini taluni, per paura della morte, si auguravano la morte; molti innalzavano le mani agli dei, nella maggioranza però si formava la convinzione che ormai gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima del mondo [...]”. (Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20).
• Gaio Plinio Secondo nacque nel 23 o 24 d.C. a Como. Apparteneva a un’agiata famiglia dell’ordine equestre, costituito da ricchi proprietari, uomini d’affari, appaltatori di lavori pubblici. Da ragazzo amava andare in cerca di erbe con cui fare gradevoli infusi, ma anche stare coi suoi coetanei, insieme ai quali andava a pescare nel lago di Lario (com’era chiamato il lago di Como), specialmente nel mese di maggio, quando era facile prendere strani pesci dalle squame aguzze come chiodi. Poi fu anche a Roma, dove esercitò l’avvocatura. Agli ordini di Pomponio Secondo, scrittore di tragedie e comandante militare, Plinio restò in Germania prestando servizio militare dal 46 al 58. Vero modello di funzionario imperiale, ricoprì anche importanti incarichi amministrativi durante i regni di Vespasiano e Tito. La sua massima opera è la Naturalis Historia, testo scientifico enciclopedico in 37 libri. Leggeva di continuo e per non lasciare inutilizzati i momenti del pranzo e della cena, come quelli del bagno e delle passeggiate, si faceva accompagnare da uno schiavo che gli leggesse qualcosa a voce alta o prendesse appunti su ciò che egli diceva (era solito ripetere: «Non c’è nessun libro così spregevole da non poterne ricavare qualcosa»). Una volta, assistendo a una lettura con altre persone, uno dei presenti fermò il lettore per fargli ripetere alcune parole pronunciate male. Al che Plinio disse: «Ma tu le avevi capite queste parole?»; quando quello rispose di sì, aggiunse: «Perché allora fargliele ripetere? Per questa tua interruzione abbiamo perso la lettura di altre dieci righe». Il suo sapere pressoché sconfinato fa mostra di sé nella Naturalis Historia, dove Plinio tratta di astronomia e geografia, zoologia e botanica, mineralogia, storia dell’arte e architettura, senza dimenticare la fisiologia e la botanica. Per capire come riuscisse a legare insieme gli argomenti si può considerare il passo in cui esamina il colore degli occhi umani. Da qui parte una descrizione degli occhi degli imperatori: quelli di Tiberio potevano vedere anche di notte, Augusto li aveva azzurri e con la cornea più grande del normale. Quelli di Caligola erano fissi e stralunati, quelli di Nerone erano blu e miopi. Poi seguivano considerazioni psicologiche «Gli occhi dell’uomo più di quelli degli altri animali esprimono la moderazione, la clemenza, la misericordia, l’odio, l’amore, la tristezza, la letizia».
• Quella del 79 d. C. descritta in due lettere di Plinio il Giovane (61-114 d.C.) a Tacito, è l’eruzione più conosciuta della storia, tanto che fenomeni simili sono definiti dai vulcanologi ”pliniani”. Particolarmente violenta e distruttiva, l’eruzione rase al suolo Pompei e Ercolano. Molte altre città furono fortemente danneggiate. L’eruzione sarebbe iniziata nella mattinata del 24 agosto e terminata intorno nel pomeriggio del 25. All’epoca, come oggi, il Vesuvio non era considerato un vulcano attivo e sulle sue pendici c’erano parecchie città. L’eruzione ebbe tre fasi: la prima, iniziata nella tarda mattina del 24 agosto, fu caratterizzata dall’interazione magma-acqua con l’eruzione accompagnata da una serie di forti esplosioni. Poi, nella notte si formò una colonna di gas, ceneri, e pomici bianche e grigie alta circa 15 km, e ci furono frequenti terremoti. I volumi di magma emessi nelle due fasi delle pomici, che a Pompei formano un deposito con spessore di circa 4 m, ammontarono rispettivamente a 1 e 2.6 km3. Durante la notte molte persone, approfittando della calma apparente, fecero ritorno alle proprie case, ma il 25 ci fu il collasso completo del vulcano con flussi piroclastici che si distribuirono radialmente, spazzando via tutto. In seguito si formò una nuova grande nube rovente di vapore acqueo e cenere che si riversò verso valle a altissima velocità devastando e incenerendo il poco che era rimasto in piedi. Durante l’eruzione uscirono dal vulcano 4 km3 di magma.