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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Confessioni di un ottuagenario

• Onestà. «Né ricchezze né onore / con frode e con viltà / il secol mercatore / mercar non mi vedrà» (Giuseppe Parini).
• Proteste. «Karl Kraus protestava contro uno storico letterario che aveva dedicato un libro alla propria fidanzata, dicendo che già era contrario all’esistenza degli storici letterari, figuriamoci poi se proclamano pubblicamente la loro intenzione di riprodursi...».
• Lambrugo. Tra le fissazioni di Gadda, «c’era quella che Dio avesse assegnato Lambrugo (provincia di Como) agli ebrei come sede di villeggiatura».
• Agnostici. «Io mi considero agnostico, casomai ho peccato nel passato per eccesso di ottimismo».
• Nietzsche. «C’è una storia bellissima raccontata da Adorno: lui e Marcuse capitano a Sils Maria e indagano se ci sia ancora qualcuno che si ricorda del pensatore sassone [Nietzsche]. C’è, è il decano del villaggio, un droghiere di nome Luisìn. Costui era bambino quando a Sils Maria si aggirava quello strano personaggio inseparabile da un enorme ombrellone verde (i due filosofi moderni sospettano che se ne servisse come scudo contro l’emicrania che lo affliggeva) e da un plaid che teneva ripiegato su un braccio. Entrando in un negozio, appoggiava al muro l’ombrellone chiuso, del che approfittavano il Luisìn e gli altri bambini per ficcarci dentro dei sassi che piovevano addosso al filosofo non appena usciva dal negozio e apriva il suo ombrellone. Nietzsche, brandendolo, inseguiva invano i piccoli malfattori, che se l’erano già data a gambe».
• America. «Ernst Bloch dovette fare lo sguattero, facendosi mantenere dalla moglie...non fu certo uno sguattero eccellente, ma sarebbe stato peggio come chimico. Gli americani in questo sono molto più liberali di noi europei: per loro essere stati sguatteri è tanto poco disdicevole quanto l’essere stati chimici. Non c’è la prosopopea dell’intelletto e c’è un diverso rapporto con i lavori manuali. Una volta tanto: viva l’America!».
• Difetti. «Fortini era un’anima veterotestamentaria».
• Fedi. «Avevo scritto in non so quale contesto che Dio ”notoriamente” non esiste. La sua inesistenza mi pare tanto più notoria quanto più indecentemente si propaganda la sua esistenza. Siamo rimasti ormai in pochi a credere in quella notorietà. L’ultima ch’io sappia è Margherita Hack, che richiesta alla una di notte - ora dei ladri, degli amanti e degli astrofisici - se credesse nell’esistenza di Dio, rispose quietamente: ”No, non ci credo”».
• Einaudi. «Luciano Foà mi presentò a Giulio Einaudi, che era un personaggio già mitico. La sua casa editrice era la meta di chiunque cercasse un lavoro editoriale che non mirasse al puro lucro e fosse compatibile con gli interessi culturali».
• Commessi. «Mi vedevo già in porto, ma Einaudi era piemontese, ergo diffidente. Mi guardò con i suoi freddi occhi azzurri e dichiarò che bisognava mettermi alla prova nella libreria milanese della galleria Manzoni gestita da suo cognato Aldovrandi, detto Al. Ora altro è fare il redattore editoriale, altro il commesso in libreria; il primo spazia nel futuro, il secondo vegeta nel passato e nel presente».
• Antimilanesi. «In libreria mi annoiavo mortalmente, salvo verso sera quando entravano gli intellettuali capitanati da Elio Vittorini. Io prediligevo Alberto Cento e Giorgio Soavi, tutti e due antimilanesi».
• Umilianti perfezioni. «Per me il salto qualitativo avvenne grazie a una lettera di Thomas Mann. Einaudi gli aveva proposto (con una lettera redatta da me) di scrivere la prefazione alle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea. Mann rispose affermativamente, purché gli si traducesse in tedesco una ventina di lettere, ”ciò che dovrebbe riuscirLe tanto più facile - aggiungeva - in quanto Lei dispone di un collaboratore che padroneggia la lingua tedesca con perfezione umiliante”. Se si sentiva umiliato lui, figuriamoci! Da Einaudi evidentemente non sapevano che di Thomas Mann si diceva, come di Goethe, che l’essere lodato da lui equivaleva a un attestato di mediocrità. vero che io non ero lodato come letterato ma come stilista».
• Legge salica. «Da Einaudi vigeva una specie di legge salica che ammetteva le donne solo se imparentate coi maschi. Si attribuiva la misoginia a Einaudi, ma a lui si sarebbe potuta attribuire anche la misoandria. In realtà era lo snobismo intellettuale dominante che scartava le donne, indipendentemente dalle opinioni dei singoli».
• Sotto forma di auto-intervista, l’autore ripercorre con sarcasmo il suo itinerario intellettuale: dall’incontro con Lukàcs, il suo maestro, a quello con Thomas Mann, Musil e Benjamin. Sullo sfondo, l’intensa attività culturale svolta da Cases all’interno della casa editrice di Giulio Einaudi. Nato a Milano il 24 marzo 1920, caposcuola degli studi di germanistica in Italia, critico militante, professore nelle università di Cagliari, Pavia, Torino, Cases ha pubblicato La fredda impronta della forma: arte, fisica e metafisica nell’opera di Ernst Junger (La Nuova Italia 1997), Su Lukacs, vicende di una interpretazione (Einaudi 1985), Testimone secondario (Einaudi 1985) e Patrie lettere (Einaudi 1987).