La Stampa, 11 novembre 2016
Quei levrieri nati sul Lago più veloci di Usain Bolt
Adelchi Lionello ha solo 3 anni ma è più veloce di Usain Bolt. I suoi antenati sono stati la compagnia preferita dei nobili d’un tempo e molte opere di artisti famosi li ritraggono accanto ai loro inseparabili padroni. Lionello è un Piccolo levriero italiano, affettuoso e sensibile. Intorno agli Anni 20 la sua razza è stata ricostruita dal conte Emilio Cavallini nella sua villa a Solcio di Lesa. E oggi, proprio al Lago Maggiore, si devono i natali del prodigioso velocista che ha trionfato agli ultimi mondiali.
Campione di salute
Con lo sport, anche il Piccolo levriero italiano cresce più sano e forte. Ne è convinto il veterinario di Meina, Angelo Anselmi, appassionato allevatore della razza: «Erroneamente, è considerata fragile e poco sana. Per questo ho puntato sullo sport. L’attività fisica migliora notevolmente la salute genetica». Lionello ha vinto l’anno scorso il campionato europeo di racing a Hunstetten in Germania e quest’anno a Tolosa è diventato campione ai mondiali di racing per PLI riconosciuti dalla Federazione cinofila internazionale, fissando il record assoluto. Con i suoi circa 40 km orari (il suo primato è di 27,8 secondi sui 350 m), sfreccia più veloce del giamaicano Usain Bolt, il più grande sprinter di tutti i tempi che corre a 37,5 km orari.
Il campioncino del Lago Maggiore, 38 cm di altezza e 6 kg di peso, ha regalato diverse soddisfazioni al suo padrone: «Non c’è un ritorno economico, anche se i premi possono dare lustro al mio allevamento “Adelchi”». L’obiettivo principale del veterinario-trainer è un altro: «Da quando, a fine Anni 80, ebbi in affidamento il mio primo levriero, mi sono impegnato ad alleviare i problemi di salute, iniziando a selezionarli con lo sport per portare avanti cani forti, sani e quindi più adatti alla compagnia, che è poi la loro vocazione».
La rinascita a Lesa
I levrieri di villa Cavallini vivevano nel lusso più sfrenato, al primo piano della nobile dimora di Lesa. Oggi riposano attorno al corpo centrale dell’edificio e alla fontana, dove restano decine e decine di lapidi con tanto di pedigree scolpiti: nome, genitori, caratteristiche, causa di morte: «Il cimitero è una testimonianza unica per la cinofilia di un periodo storico irripetibile», sottolinea Anselmi. È la prova di un impegno assiduo e all’avanguardia del conte Emilio a partire dagli Anni 20, opera che dopo la sua morte proseguì la sorella Adelaide: «Cinque addetti, tra cui tre veterinari, si occupavano solo dei loro cani. Fu il conte con il suo lavoro a fissare la razza antichissima così come è oggi : ormai la “levrette” stava assumendo dimensioni simili a un chihuahua con tendenze al nanismo. Grazie alla selezione del conte tornò alle caratteristiche originarie».
Nel testamento i nobili Cavallini chiesero al Comune di continuare ad accudire i cani, ma la Seconda guerra mondiale ha portato alla loro decimazione: alcuni vennero barbaramente gettati nel lago. Nonostante tutto, un po’ del Dna di Lesa è sopravvissuto in tutti gli attuali Piccoli levrieri italiani. Pure in Lionello, valoroso pronipote.