La Stampa, 11 novembre 2016
L’India abolisce le 1000 rupie per battere la corruzione
La sera dell’8 novembre verrà ricordata in India per una doppia sorpresa. L’elezione di Donald Trump e l’apparizione repentina, in diretta tv, del premier Narendra Modi con un annuncio che ha subito spiazzato tutti: «Da questa mezzanotte le banconote da 500 e da 1000 rupie non hanno più alcun valore», ha sentenziato, spiegando che questa decisione è nell’interesse del popolo, dei poveri, dei più deboli, per difenderli da chi opera nel mercato nero, dalle potenze straniere (il Pakistan) che coniano rupie false, ma soprattutto dagli evasori fiscali, che in India sono una maggioranza quantificabile, basta raffrontare le spese dei beni di consumo e le dichiarazioni dei redditi. Così, quelli che hanno trafugato contanti si troveranno con un bel problema nel materasso.
Per due giorni, spiega il premier, i bancomat non funzioneranno. Poi si potranno cambiare le banconote nelle filiali bancarie o negli uffici postali. Ma per cifre limitate. E se no, si potrà pagare solo con tagli al massimo da 100 rupie, un biglietto che vale 1,30 euro. Nel frattempo, verranno coniate nuove banconote da 2000 e 500 rupie, disponibili da oggi, venerdì.
È il panico. Sì, perché oltre ai burocrati corrotti che tengono le mazzette in contanti e che non possono dichiarare i guadagni illeciti, ci sono milioni di contadini senza conti in banca che hanno appena incassato contanti dalla vendita dei raccolti e che dovrebbero comprare le sementi per ricominciare il ciclo agricolo. Ci sono milioni di piccoli e medi commercianti, con baracchini di cibo ai margini delle strade che nutrono eserciti di muratori e operai e operano solo in contanti, senza nemmeno l’elettricità per poter pagare con carte di credito che comunque nessuno ha, in questi ambiti. A poco serve lasciare i pedaggi autostradali aperti. Nessuno ha cambio, comunque.
È uno tsumani commerciale, economico, ma soprattutto umano. Le classi medio alte che ordinano consegne a domicilio sugli smartphone non sono colpite. Ma autisti e camionisti che s’accapigliano dai benzinai che non gli accettano più le banconote perché le banche sono chiuse sono danneggiati eccome, come anche chi fa la spesa al supermercato, chi lavora lontano da casa.
Una delle motivazione di questa manovra a sorpresa che colpisce un miliardo e 300 milioni di persone è individuare gli evasori. O azzerargli i guadagni. E c’è chi cerca subito l’inganno. Infatti già ieri sono iniziate le perquisizioni tra gioiellieri e agenti privati di trasferimento di denaro, gli hawala, a Mumbai, Delhi, Bangalore e in altre città, poiché si è scoperto che accettano pagamenti con banconote proibite, caricando fino al 40 per cento di commissione. Chi invece depositerà in banca più di 250 mila vecchie rupie che non combaciano con la dichiarazione dei redditi rischia multe fino al 200 per cento del valore.
Modi promette che questa operazione servirà nel lungo termine per metter fine a tante situazioni sommerse. Chiede pazienza. Ma per ora si sentono e vedono solo storie disarmanti, come il contadino costretto ad ammazzarsi la capra perché non può fare la spesa, o chi soffre la fame perché non riceve credito, chi si è fatto fregare per forza, per casta, per ignoranza, vittime ignare di quello che viene definito dai portavoce del governo «un attacco strategico contro il mercato nero». Ma il costo a breve termine, sembra essere un danno al commercio e ai ceti più sofferenti.
Quando ci provarono in Birmania, nel 1987, a fare una politica di demonetizzazione simile, iniziarono rivolte che sfociarono in un colpo di stato. Ora in India, la demonetizzazione si combatte a colpi di cause legali per far tornare il governo sui suoi passi. Ma con poche speranze.