la Repubblica, 11 novembre 2016
L’amaca di Michele Serra
DOPO avere detto – ed è giusto dirlo – che la sinistra sbaglia tutto; che la signora Clinton odora di vecchio establishment lontano un miglio; che il politically correct ha rotto; che se non indichi uno sbocco giusto alla crisi, la crisi troverà da sola uno sbocco purchessia; che bisogna governare l’immigrazione se si vuole evitare che le paure della ordinary people si trasformino in panico, e il panico generi mostri; che i lavoratori bianchi hanno ottime ragioni per essere incazzati, magari non perché sono bianchi ma perché sono sottoccupati; che gli editorialisti dei quotidiani delle grandi città sono dei fichetti con la Volvo che non capiscono niente della vita e dei problemi di quelli che guidano il pick-up in Arkansas o in Arizona…
Insomma, dopo avere snocciolato l’intero rosario dell’inadeguatezza, della colpevole inettitudine e dei “signora mia come siamo ridotti, noi di sinistra”, mi sento in diritto di aggiungere che considero Trump una persona dalla biografia ripugnante, dai modi ripugnanti e dalle idee ripugnanti; la sua vittoria sintomo solo in parte di nuovi disagi, e in parte molto cospicua della revanche anti-Obama del peggior vecchiume reazionario di una tragica, deprimente America bigotta, ignorante e maniaca delle armi; e che l’esultanza simultanea, in tutto il mondo, dei fascisti di ogni ordine e grado, dice, dell’accaduto, se non tutto, moltissimo.