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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Biografia di Amadeo Giannini, il banchiere del popolo

• Amadeo Giannini (1870-1949), il banchiere del popolo. Il Sole 24 Ore 25 luglio 2007. «Lei cerca di metterci fuori mercato e non ci riesce. Nessuno della vostra banda – tuonò – ci riesce». Amadeo Peter Giannini era dal 1945, con la sua Bank of America, il primo banchiere al mondo per depositi e giro d’affari. In 40 afabitantinni, partendo dal nulla e da North Beach, il quartiere italiano di San Francisco, aveva battuto Chase National, la banca dei Rockefeller e altre stelle di New York. Gli restavano solo pochi mesi di vita quando, nel febbraio ’49, lanciò questa sfida a Marriner S. Eccles, mormone dello Utah e presidente del Board del Federal Reserve System. Cioè governatore della Banca centrale. Eccles aveva deposto davanti a una Commissione accusando la holding di Giannini, Transamerica, di una «pericolosa e ingiustificata espansione». Chiedeva lo smembramento. Poi Eccles passò vicino al vecchio Giannini. Erano entrambi banchieri, Eccles e la sua famiglia in Utah ed entrambi con il New Deal, cosa rara nella finanza. «Non c’è nulla di personale, sia chiaro», disse Eccles allungando la mano, respinta dal ruggito del vecchio leone.
Fu l’ultima battaglia di uno dei massimi protagonisti della scena economica americana del 900 e di un grande innovatore del modo di fare banca. Formalmente una battaglia persa, dieci anni dopo, da Transamerica e Bank of America, che dovettero separarsi dopo la legge bancaria del 1956. In realtà, una battaglia vinta a partire dagli anni 80 con la deregulation, da Giannini sempre auspicata.
Amadeo Peter Giannini, AP per tutti nella Baia, è l’inventore della banca retail, convinto che tanti piccoli clienti danno più forza di pochi grandi. Aveva trasformato in clienti e piccoli azionisti centinaia di migliaia di agricoltori, bottegai, pescatori, operai, italiani e poi altri, sino ai cinesi, tutta gente che mai aveva visto uno sportello, una cassaforte e un cassiere. Una storia americana di fiducia nel common man vissuta dal figlio di immigrati di Favale di Malvaro (Genova), nato a San José nel 1870, diventato banchiere a 32 anni. Per caso e per sfida. Deciso a dimostrare che nella California degli anni migliori una banca doveva dare fiducia a uno sguardo leale e una mano forte e callosa.
Quello che Henry Ford fece con l’auto, portandola a tutti, Amadeo Giannini lo fece nel credito, inventando tra l’altro il credito al consumo e gli anticipi, ad esempio, per una Ford Model T. Combattendo prima contro le leggi americane che proibivano quasi ovunque il branch banking - l’apertura cioè di sportelli - limitando così ogni banca a un affare locale per gli happy fews, proprietari e clienti. E combattendo poi, dal 1931-1932, contro l’establishment e il grande capitale di New York - il mondo dei Morgan e dei loro alleati soprattutto, tra i quali il quarantenne finanziare francese Jean Monnet, futuro padre dell’Europa comunitaria - irritati da questo italiano che non aveva mai chiesto loro un finanziamento e che cresceva, troppo, a loro dispetto. Un Morgan della piccola gente, con pochi confronti come caratura se non con John Pierpont Morgan stesso. E ben diverso: chiunque voglia una fortuna personale superiore al mezzo milione di dollari - diceva Giannini - dovrebbe andare dallo psichiatra. I suoi nemici, nel 1932 a New York, dichiararono che Giannini, ufficialmente senza compensi, otteneva in realtà somme notevoli, oltre a scaricare sulla banca i propri costi privati. Lasciò comunque alla morte nel 1949 un patrimonio personale di poco inferiore ai 500mila dollari, circa quattro milioni di oggi, poco per un banchiere della sua stazza.
Era certo un uomo di cappa e spada. Le intercettazioni di Thomas "the Cork" Corcoran, grande lobbista al Congresso per Roosevelt dal 1933 al 1941, e poi in proprio fino al 1981, non risparmiano Giannini. Truman – amico di Giannini, tra l’altro - non si fidava di Corcoran, e J. Edgar Hoover dell’Fbi controllava i telefoni del primo lobbista moderno americano. Fallita un’operazione per finanziare i democratici, Corcoran si rivolge a Giannini nel dicembre 1945, dopo aver strappato ad Eccles la promessa del via libera all’acquisto di due o tre istituti, da un pacchetto di 25 banche. L’affare in cambio di dollari ai democratici. Ma andò male. «Il grosso pirata scatenato - raccontava Corcoran al telefono - ha picchiato il pugno sul tavolo e ha detto: se me ne puoi dare due me le puoi dare tutte e 25, e le voglio». E non sganciò un dollaro.
È difficile separare la storia di Giannini, e della sua Bank of Italy (così si chiamava fino al 1927), da quella della California. E dalla tragedia che colpì San Francisco alle 5,12 del 18 aprile 1906, con 28 secondi di terribili scosse e quattro giorni di incendi che distrussero una città di 400mila abitanti.
Giannini aveva aperto da due anni la sua minuscola Bank of Italy a North Beach, con 150mila dollari messi insieme con il patrigno Lorenzo Scatena, già suo socio in un’impresa di catering navale, e altri 10 soci. Due ore dopo il terremoto, salvò 86mila dollari dalla banca e il 19 aprile, sul molo del porto, sotto un cartello Banking as usual - Open for business, Giannini imprestava denaro. E ne raccoglieva da chi si fidava di lui. Nel 1909 faceva la prima acquisizione, una piccola banca in difficoltà a San José.
Giannini girava in calesse, e poi con la sua Packard nera, la stupenda campagna della Baia e della penisola, punteggiata di frutteti italiani, finanziava l’agricoltura, arrivando a donare a Berkeley 1,5 milioni di dollari nel 1928 per un centro di economia agricola (fra i primi borsisti, uno spilungone canadese a nome John Kenneth Galbraith) e per la Giannini Hall. Tuonava contro i big interests che lo osteggiavano e pretendevano per le rimesse degli emigranti commissioni esorbitanti. Non frequentava, a differenza degli altri banchieri di San Francisco, il Pacific Union Club in cima a Nob Hill, un mondo diverso da quello di AP. E cresceva. Nel 1910 le sue banche gestivano 6,5 milioni di dollari, ormai ne aveva due e presto cinque, nonostante la California non incoraggiasse e nemmeno formalmente permettesse fino al 1927 il branch banking, proibito quasi ovunque. Arrivava a 157 milioni nel 1919, anno in cui la First National di New York fu la prima a doppiare il miliardo. E superava il miliardo nel 1929, quando le banche della famiglia Eccles, in Utah, si vantavano di avere 50 milioni di dollari e incominciavano a temere la forza del "verduraio siciliano", come di lì a poco il giro dei Morgan avrebbe ribattezzato, a New York, Giannini, arrivato nel 1928 sull’Hudson deciso a fare con Brooklyn quanto aveva realizzato nella Baia. Non erano anni facili. Il sindaco di New York, il repubblicano Fiorello La Guardia, veniva pubblicamente insultato, in risposta ad alcune critiche politiche, dal presidente repubblicano Herbert Hoover: «Lei ritorni da dove è venuto... Gli italiani sono la maggioranza dei nostri assassini e trafficanti d’alcol...»
«Il little fellow, la persona qualunque, è il cliente migliore che una banca possa avere - dichiarava Giannini nel 1930 a una Commissione del Congresso - perché resta con voi. Incomincia con voi e rimane sino alla fine. Mentre il pesce grosso resta con voi solo fino a quando può trarre qualche vantaggio, e poi vi abbandona». Geograficamente differenziate, le banche di Giannini avevano resistito ai fallimenti del ’29-30. Con alcune mosse, a New York, aveva preparato la crescita continentale. Una holding – Transamerica sia il nome sia il programma – controllava le due Bank of America, californiana e newyorkese. Un alleato, utile pensava Giannini, venne trovato in Elisha Walker e nella sua Blair & Co., una delle più note banche d’affari di Manhattan, che Transamerica acquistò.
Di colpo Giannini, alla vigilia dei 60 anni, si ammalò gravemente. Venne in Europa e lasciò le redini a Walker, che aveva chiamato come stretto collaboratore Jean Monnet, già agente di Blair & Co. in Europa. Restavano a guardia il figlio Lawrence Mario, preparato ma delicato di salute (morirà nel 1952), e il fratello minore Attilio Henry Giannini, medico da tempo passato alla banca (morirà a 68 anni nel 1943). Attilio aveva seguito gli investimenti nel cinema prima a New York e poi a Hollywood finanziando tra l’altro la United Artists - di cui sarà eletto presidente nel ’36 - di David W.Griffith, Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks e Mary Pickford e film come Il Monello dello stesso Chaplin, un folle azzardo da 500mila dollari nel 1920. Nel 1937 avrebbe fornito a Walt Disney, disperato, i due milioni di dollari necessari per finire Biancaneve. Di fronte al board della banca, sarà AP in persona ad insistere per i nuovi fondi a Disney, già indebitato per quattro milioni.
Questo succedeva dopo che AP aveva incontrato, nel perfetto banchiere newyorkese Elisha Walker educato a Yale e al Mit, la sua "strega cattiva". Ed era riuscito nel ’31-32, risanato e galvanizzato dalla lotta, con forse la più epica battaglia d’assemblea della storia americana, a salvare l’impero che Wall Street voleva smembrare e digerire. Poi vi fu la battaglia con Henry Morgenthau, ministro del Tesoro di un Roosevelt che pure Giannini, unico fra i grandi banchieri, appoggiava; una lunga e aspra disputa con la Sec; poi nel ’49 quella con la Fed di Eccles. E alla fine Transamerica, con le attività non bancarie, e la Bank of America furono costrette al divorzio. Dopo alterne e complesse vicende, una lunga crisi negli anni 80 e tra l’altro la vendita nell’86 della controllata italiana creata dal 1919 - la Banca d’America e d’Italia, ora Deutsche Bank -, l’impero che Giannini aveva lasciato con 7 miliardi di asset e 526 sportelli in 300 città americane arrivava all’inizio del terzo millennio a 4.200 sportelli in 21 Stati americani, una forte presenza internazionale, ed era la seconda banca d’America, e fra le prime al mondo.
«Era un uomo più grande della vita stessa», lo salutò l’amico regista Frank Capra. Il Jimmy Stewart di La vita è meravigliosa, storia di un blue-collar banker amico della piccola gente, era in realtà il mitico AP. In piena depressione, nel 1932, AP aveva sottoscritto con 6 milioni di dollari un quarto del prestito per il contestatissimo Golden Gate Bridge, boicottato dalle altre banche, e che solo così potè vedere il via dei lavori. «San Francisco ne ha bisogno», aveva detto.
Mario Margiocco