Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 3 luglio 1999
Ho ucciso Giovanni Falcone
• Giovanni Brusca ha confessato di aver commesso e ordinato personalmente oltre 150 delitti.
• Nel 1962, quando Giovanni Brusca aveva 5 anni, il padre Bernardo era rinchiuso all’Ucciardone. La madre, per farli incontrare, infilò il bambino nella "buca", una specie di piattaforma rotante utilizzata dai parenti per passare ai detenuti i sacchi di biancheria pulita. Con la complicità di un secondino, il padre di Brusca riuscì a vedere il figlioletto.
• Dopo la quinta elementare Giovanni Brusca non volle più andare a scuola. Il padre, per convincerlo a continuare gli studi, lo mandò a fare il muratore dal cugino Vito Brusca, che aveva il compito principale di "farlo soffrire". Lui, però, non si diede per vinto. Allora il padre, pensando di avviarlo alla pastorizia, gli affidò un gregge di cento pecore. Lui uccise le bestie una ad una, poi, profittando del fatto che il padre era al confino in Toscana, mandò al macello l’intero gregge.
• anni Giovanni Brusca aveva il compito di portare da mangiare ai latitanti. A 18 anni commise il suo primo delitto: in tre andarono a uccidere, a Piana degli Albanesi, un certo Riolo.
• Abitudine di Brusca di tornare sul luogo di ogni suo delitto per spiare il lavoro degli inquirenti.
• Brusca diventò uomo d’onore nel maggio del 1976. La cerimonia si svolse intorno a una tavola rotonda: al centro un’immagine sacra detta "santina", una pistola e un pugnale. Riina e gli uomini d’onore punsero un dito di Giovanni con un ago, fecero uscire il sangue, macchiarono di sangue "la santina". Riina diede fuoco all’immagine sacra e costrinse Giovanni a tenerla in mano: "Se tradisci Cosa nostra le tue carni bruceranno come brucia questa santina".
• Giovanni Brusca viene arrestato la prima volta nel 1982 con l’accusa di essere un piromane. Rimane in carcere per venti giorni. Il secondo arresto risale al 29 settembre 1984: nel carcere di Busto Arsizio, rinuncia all’ora d’aria per prendere lezioni da un terrorista nero che ha studiato all’università e parla tre lingue. Impara a scrivere, ma solo a stampatello. La sua latitanza comincia il 31 gennaio 1992, quando la Cassazione conferma le sentenze del maxi-processo: da allora non lascia mai la Sicilia, passeggia tranquillo per le vie di Palermo, cambia casa cinque o sei volte.
• Quando comprava vestiti, Brusca spendeva ogni volta dai 10 ai 15 milioni (in tutto, un centinaio di milioni l’anno). I gioielli non gli piacevano, però collezionava orologi: Rolex, Cartier, Lucien Roché. Andava in giro d’abitudine con un paio di milioni in tasca.
• Brusca giura che in libertà era capace di rintracciare un’auto rubata in mezz’ora. Se la macchina era già stata smontata, il derubato che aveva chiesto aiuto a Cosa Nostra riceveva in cambio un’auto "taroccata", cioè identica a quella sparita, con i numeri di telaio modificati.
• Secondo Brusca la decisione di uccidere Giovanni Falcone venne presa nel 1982, addirittura un anno prima dell’omicidio Chinnici. Nel 1984, mentre Brusca era in carcere, si pensò di eliminarlo con un bazooka. I mafiosi, sperimentando l’arma in aperta campagna, scoprirono però che l’effetto vero del bazooka non è l’esplosione ma il calore (fino a 3mila gradi), quindi uccide bruciando. La cosa non li convinse, decisero di cambiare strategia. Nell’89 gli agenti di scorta di Falcone scoprirono che la sua borsa da sub era piena zeppa di esplosivo.
• Per la ”strage di Capaci” (maggio 1992), Brusca usò 300 chili di esplosivo: li aveva infilati nel cunicolo che passava sotto all’autostrada scivolando a pancia in giù su uno skateboard.
• Durante le indagini sull’omicidio di Falcone i giornalisti scrissero che sul luogo dell’attentato erano stati trovati, a decine, mozziconi di sigaretta fortemente masticati. La nipote di Antonino Gioé a Brusca: «Hai visto zio, quello che ha ammazzato Falcone ha il tuo stesso vizio». I mozziconi erano stati raccolti dopo ogni sopralluogo, ma non dopo l’attentato.
• Il sequestro di Giuseppe di Matteo durò 2 anni e 3 mesi: dai primi del novembre 1993 al gennaio 1996, quando il ragazzino venne strangolato e sciolto nell’acido. Suo padre, Mario Santo di Matteo, arrestato a metà del giugno del ’93, diventato collaboratore della polizia, aveva raccontato tutto sulla strage di Capaci. Il figlio venne rapito mentre andava al maneggio dei Vitale, a Villabate. Brusca spediva di continuo alla famiglia biglietti, foto e videocassette del ragazzo. La sera dell’11 gennaio 1996 la televisione diede la notizia della sentenza per l’omicidio di Ignazio Salvo: ergastolo per Brusca e Bagarella, anche grazie alla testimonianza di Salvo di Matteo. Brusca, fuori di sè dalla rabbia, ordinò l’esecuzione del piccolo prigioniero.
• Per far sparire un cadavere ci vogliono 50 litri di acido. Il corpo si scioglie
lentamente, in tre ore circa: le ossa del cranio si deformano, a volte restano intatti i denti o il bacino (a San Giuseppe Jato i pezzi che non si scioglievano venivano buttati in un torrente). Prima, fino agli anni Ottanta, i cadaveri venivano eliminati bruciandoli su una graticola: per un corpo ci volevano 7/8 ore e un intero camion di legna.