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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

"Vorrei che le cose che ho dipinto fossero viste non come quadri, ma come campi da gioco" (Robert Rauschenberg)

• "Vorrei che le cose che ho dipinto fossero viste non come quadri, ma come campi da gioco" (Robert Rauschenberg)
• "L’opera d’arte finita non esiste" (Rauschenberg)
• "Non sono un artista che ha delle idee. Le detesto, le idee. Se poi mi capita di averne una, vado a fare una passeggiata per farmela passare" (Rauschenberg)
• "Ho bisogno dell’incertezza, di non sapere. Un po’ come quando ci si esibisce davanti a un pubblico. Prima di cominciare non si può sapere come andrà. Ecco perché quando entro nel mio studio preferisco essere come un foglio bianco. Il guaio è che molte volte lo sono anche al momento di uscirne" (Rauschenberg)
• "Qualche tempo fa ho ricevuto un premio per l’uso che ho saputo fare della mia dislessia. L’hanno avuta anche altri, tra cui Tom Hanks. Ne ero fierissimo, tanto che ho telefonato a mia madre. Ma lei non conosceva Tom Hanks, e quanto alla dislessia, ha detto solo: ’Ah, adesso la chiamano così. Per noi eri semplicemente un po’ scemo" (Rauschenberg).
• "Io provengo da una condizione comune. Perché non dovrei manifestarlo? Ho ancora una mia foto di quando avevo otto anni: stavo dietro la nostra casa, che somigliava piuttosto a una capanna, e tutt’intorno non c’era altro che rifiuti e i resti di stoffa di mia madre. In un certo senso è vero che già allora avevo l’anima del rigattiere. Possedevo tante scatolette in cui mettevo qualunque cosa riuscissi a racimolare: gli scarafaggi, ad esempio" (Rauschenberg) (segue).
• "Ho scelto la strada dell’arte per caso. Ero in servizio in Marina, a Los Angeles. lì che ho cominciato a darmi da fare con i disegni. I commilitoni me li chiedevano per mandarli a casa, ai genitori o alla ragazza. Ho fatto il ritratto a tutti. Solo allora ho cominciato a comprendere che saper disegnare non è da tutti. L’avevo sempre considerato come una cosa normale, che chiunque saprebbe fare. In seguito ho lavorato in una fabbrica di costumi da bagno: ero addetto agli imballaggi. Più tardi una mia amica mi ha dato la spinta. Le pareva che avessi sempre l’aria abbattuta; e mi ha chiesto come mai non avessi di iscrivermi a un istituto d’arte; mi è sembrata un’idea assurda. Ma lei mi ha convinto a seguirla a Kansas City, e lì ho frequentato la scuola d’arte." (Rauschenberg)(segue).
• "Ero stato anche a Parigi. Ma di quel periodo ho dimenticato quasi tutto. Ricordo solo di aver mandato a casa alcuni studi femminili, ma quando tornai a cercarli scoprii che mia madre li aveva colorati, aveva rivestito le nudità con biancheria intima" (Rauschenberg)(segue).
• "Albers era inesorabile: dipingeva in camice bianco, spesso in guanti bianchi, mentre a me piaceva dipingere con le mani e schizzare i colori dappertutto. Spesso mi rimproverava, mi dava del fallito. Pretendeva che mi tagliassi i capelli, che portavo lunghi. A me però serviva quella disciplina: avevo bisogno di scontrarmi con una resistenza per trovare me stesso" (Rauschenberg)(segue).
• "Albers diceva: ’L’arte è un imbroglio’. Per un certo periodo ho dipinto quadri monocromi, alla maniera di Albers. Anche se la mia passione di rigattiere non mi ha mai lasciato. Quand’ero al College mi offrivo di guidare il furgoncino dei rifiuti: ero sempre alla ricerca di qualche oggetto utilizzabile. Praticamente ho spennellato su tutto quello che mi capitava sotto mano. Una volta, non avendo più tele, ho dipinto su una trapunta, con un po’ di smalto per le unghie e un dentifricio a righe bianche e rosse" (Rauschenberg)(segue).
• "Non mi faccia domande così dirette" (Rauschenberg)(segue).
• "Fare l’artista non è poi male. Anche se a mia madre la cosa non è mai andata a genio. Le piacevano le feste e i ricevimenti, ma non apprezzava i miei quadri. Alcuni anni fa c’è stato un uragano, e ho telefonato per chiederle se avesse preso le misure necessarie per proteggere la casa. ’Naturalmente’, mi ha detto: ’Ho tappato tutte le finestre con tavole di legno. Ma siccome mi seccava spendere 25 dollari per il compensato ho usato i tuoi vecchi quadri’. E io: E per quale verso li hai messi? ’Rivolti all’interno, naturalmente. Non penserai mica che volessi far vedere ai vicini quello che hai combinato?" (Rauschenberg)(segue).
• Continua a guardare spesso la televisione? "In quasi tutte le stanze ho un televisore acceso ventiquattr’ore su ventiquattro" Ma perché? "Ne ho bisogno. Se si spegnessero sarebbe un po’ come la morte. Sarei tagliato fuori da tutto. Mi resterebbe solo l’arte" (Rauschenberg)(segue).
• L’intervista a Robert Rauschenberg si è svolta in Florida, nell’isola di Captiva, su una terrazza che guardava il mare. Rauschenberg è semiparalizzato e viene spinto su una carrozzella. Il colloquio con l’inviato di Zeit, Hanno Rauterberg, è durato tre ore, e l’artista, che all’inizio pareva stanco e svogliato, si è rianimato dopo aver mangiato e bevuto una paio di bicchieri di vino. Ha ricordato la sua decisione di non concedere mai più interviste e ha spiegato di aver fatto eccezione, questa volta, perché il cognome dell’intervistatore somiglia a quello dell’intervistato. Spiritosamente, Rauterberg gli ha chiesto allora se sia mai andato a Rauschenberg e Rauschenberg gli ha risposto: "Intende dire quel luogo all’interno della Germania? Sì, una volta ci siamo andati qualche anno fa. E’ curioso vedere il proprio nome su un cartello, a grandi lettere, all’entrata di un abitato". Ha detto che deve la sua irrequietezza a sua nonna, indiana Cherokee e che vede "qualcosa di morboso in chi guarda all’arte come a un’ideale di bellezza, a qualcosa di finito, di concluso. Ognuno dei miei quadri potrebbe essere completamente diverso". Mister Rauterberg non lo dice, ma Rauschenberg ha 81 anni.