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 2005  luglio 11 Lunedì calendario

Londra - Ore 8

• Londra. Ore 8.51. L’ora di punta. Linea gialla della London Underground, quella che lambisce la City. Un’esplosione colpisce la più antica metropolitana del mondo, groviglio colorato di 12 linee per 400 km sotterranei. Ma Londra ancora non sa. Alle 9 e 40 il sito della Bbc riferisce di un fragore tra le stazioni di Liverpool Street e Aldgate East, al confine con l’East End, dove convergono quattro linee di metropolitana e una ferrovia. Più tardi si chiarirà che le esplosioni sotterranee sono state tre, la prima a Liverpool Street; la seconda, alle 8 e 56, tra King’s Cross e Russell Square, sulla linea Piccadilly; la terza, alle 9 e 17, a Edgware Road. Alle 9 e 54 il servizio della metropolitana è sospeso. Il dipartimento dei Trasporti parla di ”interruzione di corrente”. Gli edifici attorno a Liverpool Street sono evacuati, centinaia di persone si riversano per strada. Alle 10 e 14 un comunicato di Scotland Yard parla di ”incidente di grandi dimensioni”. Alle 10 e 32 un giornalista di Sky news dice di aver visto un bus rosso a due piani col tetto squarciato, nei pressi di Russell Square, nell’elegante quartiere di Bloomsbury. Si tratta di un autobus tipico londinese, quello dei souvenir, numero 30. Scotland Yard parla di ”onde d’urto” in corrispondenza di diverse stazioni. Più tardi la conferma dell’esplosione: ore 9 e 47, autobus 30, Tavistock Place, vicino a Russel Square. Alle 10 e 35 fonti dell’autorità per i Trasporti ammettono che le esplosioni sono state provocate da un ordigno esplosivo. Alle 10 e 43 la Bbc riferisce che due treni sono bloccati a Edgware Road. Alle 10 e 55 sono sospesi i servizi di trasporto in tutta la zona 1, il centro. Gli automobilisti sono esortati a non dirigersi verso la City. Alle 10 e 59 la polizia riferisce di ”alcuni morti”, si diffonde la voce di altri autobus colpiti, Scotland Yard conferma quella di Russel Square. Si rincorrono dubbi anche sul numero delle esplosioni sotterranee: 3, 4, 6, 7, di nuovo 3. L’esercito a Covent Garden Alle 11 e 20 un portavoce del governo parla di ”20 morti”, una fonte medica ne ipotizza 90, secondo la polizia le vittime sono 50. Vengono dislocati militari al Covent Garden, in pieno centro, distretto dei teatri. Alle 11 e 30 Ian Blair, capo della polizia, dalla Bbc esorta la popolazione a restare dov’è e a non chiamare i servizi d’emergenza, se non per ragioni gravissime. Alle 11 e 45 Sky news riferisce che a Stockwell è stato ritrovato un pacco sospetto.  sospeso il servizio di treni ”London Docklands light railway” e l’’Heatrow express service” per l’aeroporto. Alle 11 e 50 Scotland Yard ammette che le esplosioni sono riconducibili a ”un attacco terroristico di grande portata”. Le compagnie telefoniche dichiarano ”problemi nelle comunicazioni”. Alle 12 Tony Blair parla da Gleneangles, dove si sta svolgendo il G8, poco dopo torna a Londra. Un sopravvissuto racconta di aver visto un treno ”spaccato in due” a King’s Cross, altri di aver rotto i vetri con l’ombrello per fuggire. Gli automobilisti che lasciano la città sono invitati ad aiutare i pendolari a tornare a casa. Il sindaco Ken Livingstone, a Singapore per l’assegnazione delle Olimpiadi 2012, si dice ”sgomento e incredulo, è un omicidio di massa”. La regina si dichiara ”profondamente scioccata”. Alle 12 e 40 Sky news parla di ”attentato suicida su un autobus”. Alle 12 e 45 si comincia a parlare di una rivendicazione di al Qaida su internet. Il Royal London Hospital riferisce di 133 persone ricoverate, ma i feriti, saliranno a più di 700, tra cui due italiani. Alcuni vengono trasportati a bordo degli autobus, staff medici delle regioni vicine arrivano a Londra. Dall’Essex, dal Berkshire e dal Surrey giungono 30 ambulanze. Alle 15 e 20 riaprono le stazioni di Victoria, Euston e Paddington. Alle 16 Scotland Yard parla di 33 morti. Gli spettacoli nel West End vengono cancellati. Alle 18 e 10 è evacuata Victoria Station per il ritrovamento di un pacco sospetto. Il bilancio ufficiale dei morti alle 20 e 30 sale a 44, le bandiere sventolano a mezz’asta a Buckingham Palace.
• Oro. C’è stato qualche segnale che preannunciava l’attacco? «Nei giorni scorsi il valore dell’oro è schizzato alle stelle».
• Borsa. «Scoppiano le bombe nella metropolitana di Londra? I titoli Isonics - freschi di presentazione di un dispositivo che svela la presenza di esplosivi in borse e pacchetti - mettono il turbo e guadagnano fino al 20%. E la Mace, maggior produttore di sofisticati impianti tv a circuito chiuso per il controllo dei luoghi pubblici, piazza uno spunto del 22%. Volano le quotazioni di Magal (sistemi di riconoscimento elettronici) e quelle di Identix (macchine per l’identificazione facciale)».
• Prevalebunt. «Questi attacchi si situano nel contesto molto più sanguinoso di una grande guerra civile che essi cercano di scatenare all’interno del mondo islamico, in particolare in Irak e in alcuni altri Paesi arabi, per assumere il controllo diretto di quelle risorse umane, tecnologiche e soprattutto economiche che potrebbero aprire loro la strada per esercitare un vero potere politico. Purtroppo l’involuzione della situazione in Irak e i ritardi registrati nella stabilizzazione dell’Afghanistan offrono ai terroristi un terreno favorevole d’azione e di reclutamento».
• Petrolio. «Ieri il timore di negativi riflessi sull’economia mondiale ha convinto diversi fondi d’investimento a realizzare velocemente i guadagni precedenti. Ma nel pomeriggio un graduale recupero ha limitato le perdite a mezzo dollaro e ha fatto chiudere il Wti a 60,73 e il Brent a 59,28. Resta arduo collegare questi valori elevati con i cosiddetti fondamentali, come domanda, offerta e scorte. La disponibilità infatti abbonda, e i margini delle raffinerie sono mediocri rispetto a quelli eccezionali dei mesi scorsi. L’Orso dovrebbe dominare il campo almeno fino a metà agosto. «Se ciò non avviene è per la preponderante forza della comunità finanziaria, pesantemente esposta sul greggio (all’acquisto) e nient’affatto propensa a riversare sul mercato il diluvio di contratti cartacei di cui dispone, tanto più che la situazione politica mediorientale non garantisce rifornimenti sicuri, almeno da alcune aree. Speculatori, ma anche major petrolifere, banche d’affari e case commerciali, contribuiscono quindi a tenere alti i prezzi e, forse, a facilitare indirettamente il finanziamento delle attività sovversive”.
• Alberghi. «Migliaia di pendolari rimasti senza metropolitana non solo si sono trovati costretti a dormire in albergo, ma anche a pagare prezzi esorbitanti per la loro stanza. Secondo la Bbc e altre fonti, alcuni alberghi giovedì sera avrebbero raddoppiato, o addirittura triplicato, le loro tariffe. La tragedia è diventata un business per il settore, e gli alberghi londinesi erano quasi pieni. Un imprenditore di Manchester ha dichiarato di aver pagato circa 320 euro per una stanza il cui prezzo normale è 110. Non tutti gli hotel hanno però approfittato della situazione: alcuni hanno offerto lenzuola e l’uso delle docce gratis ai paramedici impegnati nei soccorsi. L’hotel Hilton situato vicino alla stazione Edgware Road ha persino accolto nel proprio atrio molti dei feriti. Giovedì mattina, due ore dopo la prima esplosione, il sito www.lastminute.com già avvertiva i viaggiatori dell’aumento dei prezzi».
• Internet. «I soldi non si muovono quasi mai fisicamente: i trasferimenti e i movimenti consistono in messaggi di posta elettronica all’apparenza innocui che dànno istruzioni su come debbano essere impiegate le somme. in quel sistema di comunicazioni che dobbiamo poter intervenire». In che modo? «Per esempio eliminando l’approccio punitivo che abbiamo ora nei confronti di un capitale umano di straordinaria competenza, superiore a qualsiasi alternativa noi come istituzioni si possa pensare di creare: il mondo dell’hacking. Oggi un hacker rischia pene magari superiori a chi compie una rapina a mano armata. Al contrario dovremmo cercare di trarre vantaggio dalla loro abilità informatica per controbattere la minaccia che ci sovrasta».
• Fondi. Nel suo best-seller La nuova economia del terrorismo (Marco Tropea Editore) lei ha studiato i meccanismi di finanziamento del terrore. Dal 2001 è stato fatto qualcosa per bloccarli? «No, dopo l’11 settembre sono stati congelati i fondi di alcune organizzazioni per 121 milioni di dollari. Poi più nulla. Non un solo processo». Chi finanzia i gruppi che hanno preso il posto di Al Qaeda? «Non hanno alcun bisogno di finanziamenti esterni: attentati come questi costano molto poco, o magari i proventi della piccola criminalità».
• Bin Laden. I killer a suo parere hanno ricevuto l’ordine di effettuare i loro attentati da Osama Bin Laden? «Credo proprio di no. Il loro capo spirituale avrebbe grandi difficoltà a comunicare con loro. Inoltre lo stato maggiore di al Qaeda è braccato. Ha difficoltà nei movimenti e nelle comunicazioni. I servizi segreti angloamericani sono molto attivi nel tentativo di localizzarli. Io penso invece che la cellula terroristica di Londra è fatta di uomini cresciuti e forse nati qui in Inghilterra, motivati da fanatismo religioso di carattere individuale». Ma come tali dovrebbero essere meno pericolosi. Meno capaci di colpire perché appunto limitati nei mezzi e nella capacità di operare di concerto con gli altri terroristi islamici. «Al contrario. proprio perché le loro bombe sono poco potenti che è più facile fabbricarle e per meno denaro. Possono essere collocati in autobus, carrozze di treni e metropolitane. Se non esplodono il loro costo è facilmente sopportabile anche per la loro cellula» (Frederick Forsyth a Paolo Filo della Torre).
• Moschee. «La moscheizzazione, ovvero l’uso dei luoghi di culto come centri di indottrinanemento, è ormai un fenomeno accertato e difficile da combattere senza ferire la libertà religiosa, come difficile in generale è battere il terrore con l’uso delle leggi correnti».
• Musulmani. «In tutto il Regno Unito vivono ufficialmente 1,6 milioni di musulmani, la più grande minoranza religiosa del paese che ha nell’Mcb, il Muslims Council of Britain, il massimo organismo rappresentativo a cui sono affiliate circa 380 fra comunità, moschee, organi professionali e associazioni culturali operanti in Inghilterra, Scozia, Galles. La comunità islamica di Londra, la più numerosa, conta circa 1 milione di persone, su un totale di 11,22 milioni di abitanti della Greater London, l’area metropolitana. In base all’ultimo censimento, nel 2001, metà della comunità, allora composta da 607 mila persone, era originario del subcontinente indiano - Pakistan 22%, India 7%, Bangladesh 24% - mentre l’altra metà aveva provenienze diverse di cui solo il 5% era nato in Gran Bretagna. In particolare la capitale inglese conta almeno un centinaio fra moschee e centri islamici ed è il centro politico, mediatico e finanziario delle maggiori correnti radicali dell’Islam mondiale, tanto da essersi guadagnata il nomignolo di Londonistan. A Londra escono due quotidiani in lingua araba Al Quds Al Arabi e Al Hayab e hanno loro rappresentanze numerose emittenti satellitari del Medio Oriente oltre a banche, istituzioni finanziarie e associazioni umanitarie islamiche. Qui si trova anche il principale punto di riferimento per i musulmani ”inglesi”, il Centro Culturale islamico di Regent’s Park, fondato nel 1944, che comprende la Moschea centrale di Londra e funziona da tramite con il governo, le autorità locali e gli organismi ufficiali. Negli ultimi vent’anni il numero dei musulmani in Gran Bretagna è più che raddoppiato. Mentre l’emigrazione tradizionale era soprattutto quella di origine indo-pakistana, eredità del Raj, i nuovi arrivi provengono in maggioranza dai Paesi arabi».
• Hamas. «Ecco cosa succede ai Paesi che sostengono gli Stati Uniti. Il governo di Tony Blair ha mandato le sue truppe in Iraq assieme a quelle americane. vero o no? Non c’è tanto da stupirsi allora se oggi si ritrova gli attentati in casa. Se i soldati inglesi non fossero andati a Bassora o a Bagdad, anche Londra oggi sarebbe stata risparmiata». Lei è dunque d’accordo con gli attentati? «Non ho mai detto questo. Lo ripeto, in via di principio l’Islam è contrario agli attentati contro i civili. Ma cerco anche di spiegare i motivi degli attentatori. E trovo una risposta molto elementare: esiste nel mondo un vasto movimento popolare che condanna l’egemonia arrogante degli americani. Lo abbiamo visto anche dalle manifestazioni di massa ogni volta che si riuniscono i Paesi del G8. I potenti della Terra, con i governi di Bush e Blair in testa, dovrebbero stare più attenti alla voce dei Paesi più poveri». Ma non crede che davanti a questo terribile massacro la sua condanna dovrebbe essere più netta? «Mi sarei atteso una condanna più forte dal cosiddetto mondo civilizzato quando il 10 settembre 2003 gli israeliani cercarono di assassinarmi a colpi di missile e uccisero invece mia moglie e uno dei miei figli» (Mahmud al-Zahar, leader di Hamas).
• Chi siamo. «Non possiamo dialogare con nessuno se non sappiamo chi siamo e che cosa vogliamo. Il dialogo avviene fra un io che sostiene una tesi e un tu che ne sostiene un’altra. Ma se, fin dall’inizio, io sostengo che quello che dici tu vale quanto quello che dico io e la tua tesi è buona quanto la mia, perché non c’è verità né metro comune di confronto e giudizio fra le nostre tesi, allora il dialogo scompare e cede il posto alla resa” (Marcello Pera).
• Qualcosa. «A pensarci adesso, la cosa più impressionante è che quasi nessuno di noi, delle persone che alla vigilia del vertice di Edimburgo si erano cimentate con qualche previsione, aveva messo nel conto che potessero verificarsi episodi di terrorismo. E sì che le condizioni - prima tra tutte il bersaglio: Tony Blair - erano lì evidenti davanti ai nostri occhi. Ma, diciamoci la verità, pensavamo ad altro, tutt’al più alle manifestazioni no global. Ci eravamo dimenticati che l’11 settembre del 2001 avevamo preso con noi stessi l’impegno di considerarci in guerra. Ricordate? Solo 24 ore dopo l’attacco alle Torri Gemelle invocammo, noi europei, l’applicazione dell’articolo 5 della Nato a norma del quale l’attacco verso un Paese aderente al trattato implica che gli altri intraprendano «immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione giudicata necessaria, ivi compreso l’impiego della forza armata». Ed era stata la guerra ”condivisa” dell’Afghanistan. Poi però era venuto il momento dell’Iraq e lì parte consistente dell’Europa - Francia e Germania in testa - aveva dissentito dagli Stati Uniti, ciò che noi del Corriere considerammo più che giustificato. Ma - e questo non è affatto giustificabile - da quel momento l’Europa di cui stiamo parlando trasformò un comprensibile dissenso in un sostanziale disimpegno dalla lotta al terrorismo. Da quei primi mesi del 2003, in questa parte del nostro continente nessuno si è davvero impegnato nell’elaborazione di una diversa ma efficace strategia militare per battere il terrorismo. Molte chiacchiere, zero sostanza. Da quel momento il fanatismo armato si è accanito sull’Europa: l’anno scorso in Spagna, quest’anno in Inghilterra, domani chissà... Facciamo questi discorsi non solo per richiamare l’attenzione sull’eventualità (probabile, purtroppo) che la prossima volta tocchi all’Italia ma per dire, anzi, che a parer nostro nessun Paese europeo dovrebbe sentirsi tranquillo. E che - pur continuando, chi crede, a dissentire dalle politiche statunitensi - dovremmo ”ritrovare l’Europa” anche e soprattutto mettendo in campo un progetto politico militare per sconfiggere il terrorismo. Niente nervosismi, per carità, nessuna forma di repressione indistinta contro le comunità islamiche, contro genti che sono qui per vivere e lavorare. Ma nemmeno questi sonni prolungati che si interrompono un mattino quando ci accorgiamo che c’è del sangue sul selciato e per qualche giorno ci abbandoniamo all’invettiva. Altro che referendum sulla Costituzione europea: la disfatta della Ue comincia dall’aver accettato di essere il tallone d’Achille dell’Occidente al cospetto del terrorismo. Faccia pure l’Europa qualcosa di diverso dall’America. Ma faccia qualcosa». (Paolo Mieli).