Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 10 maggio 1999
«Negli anni Trenta e Quaranta Germania e Giappone muovevano brutali guerre imperiali, conquistando nazione dopo nazione, cacciando popolazioni dalle loro case, e perpetrando genocidi
• «Negli anni Trenta e Quaranta Germania e Giappone muovevano brutali guerre imperiali, conquistando nazione dopo nazione, cacciando popolazioni dalle loro case, e perpetrando genocidi. Negli anni Novanta, la Serbia muove una brutale guerra imperiale, con l’intenzione di conquistare un territorio dopo l’altro, cacciando popolazioni non grate, e perpetrando genocidi. [...] In tutti e tre i casi, sia l’imperialismo, sia il brutale trattamento delle vittime sono stati avallati dalla stragrande maggioranza del popolo. In tutti e tre i casi, la maggioranza delle persone la cui nazione commetteva questi crimini atroci credeva di essere la vera vittima e pensava che il tentativo, come i bombardamenti, di fermare l’imperialismo e i genocidi fosse il vero crimine.
Le operazioni della Serbia sono diverse da quelle della Germania nazista soltanto per dimensione. [...] Alla fine del 1945 [...] Germania e Giappone furono obbligati dai vincitori ad adottare istituzioni democratiche e a riorganizzarsi, a liberare le loro sfere pubbliche dalle convinzioni nazionaliste, militariste e disumanizzanti. [...] Come per la Germania e il Giappone, la sconfitta, l’occupazione, la riorganizzazione delle istituzioni politiche e delle mentalità predominanti nella Serbia sono moralmente e, a lungo andare, fattivamente, necessarie. Con una Serbia occupata dagli alleati la regione potrebbe ritrovare la pace. [...] L’occupazione è il requisito indispensabile per una trasformazione democratica in Serbia e, più ampiamente, nell’ex Jugoslavia. [...] La maggior parte del popolo serbo, sostenendo o perdonando le politiche di eliminazione di Milosevic, si è resa sia legalmente sia moralmente incompetente a condurre i propri affari interni. Il loro Paese deve avere essenzialmente un’amministrazione controllata. [...] Il popolo serbo dovrebbe riprendere la piena sovranità soltanto quando potrà dimostrare di essere una vera democrazia».
• I fascisti italiani hanno dimostrato che ci sono limiti che nessun regime costringe a valicare. Cosa dovrebbero fare i serbi, immolarsi alla causa? Milosevic ammazza i giornalisti che si oppongono, mica li licenzia.
«Vorrei ricordare che le rivoluzioni, e in Europa ce ne sono state tante, si scatenano tutte contro regimi autoritari: la brutalità di Milosevic è paragonabile a quella di altri dittatori che sono stati destituiti del loro potere con la forza. [...] Durante il fascismo voi italiani avete dimostrato che ci sono limiti che nessun regime costringe a valicare. Anche dopo vent’anni di fascismo i cittadini italiani si opposero allo sterminio di massa. I vostri militari protessero gli ebrei della Croazia disobbedendo agli ordini di Benito Mussolini che li voleva consegnati ai tedeschi. E furono cittadini normali quelli che salvarono i loro vicini ebrei quando erano ricercati dalle truppe di occupazione naziste per essere deportati o assassinati» (Daniel Goldhaghen a Marco De Martino).
• I volenterosi carnefici di Milosevic. «Dopo essere stata cinque anni nella ex Jugoslavia come corrispondente e dopo aver cercato invano di carpire moti di rimorso dai centinaia di serbi che ho incontrato, mi sono convinta che [...] molti di loro sono in tutto e per tutto, per parafrasare Daniel Johan Goldhagen, ”i volenterosi carnefici” di Milosevic [...] La propaganda di Milosevic mira a rinfocolare e rinsaldare convinzioni che già esistono latenti nella personalità serba. E il concetto fondamentale di questa mentalità è l’idea che i serbi, e solo i serbi, siano le vere vittime nei Balcani».
• Quella contro i serbi è la prima guerra altruista cui assistiamo. Lei che idea si è fatto di questa guerra?
«Che è la prima guerra altruista a cui assistiamo. Una guerra combattuta con nessuna intenzione di conquiste territoriali, né economiche».
Questa è la tesi della Nato, specialmente di Clinton e Blair: ingerenza umanitaria.
«Esatto. E secondo me la ragione profonda è che l’Occidente, a 50 anni dallo sterminio degli ebrei, non abbia potuto reggere l’idea di un orrore che tornava a compiersi nel cuore dell’Europa: i bambini, le madri, i vecchi, le facce della deportazione» (George Steiner a Pino Corrias).
• Fare un’equivalenza fra deportazioni e genocidio significa relativizzare il nazismo. «Genocidio significa sterminio di una popolazione, soluzione finale. C’è una gradazione anche del male, e bisogna pur tenerne conto se si vuol capirne la natura».
• «La soluzione Goldhagen, con la sua smisurata pretesa iper-giacobina di distribuire ex cathedra vizi e virtù sull’intero pianeta e di ridisegnare la carta del mondo secondo una visione manichea del Bene e del Male, rappresenta la prova più eloquente dello sfrenato ideologismo a sfondo eticizzante che sta alla base di un intervento militare dai contorni ”geo-politici” sempre più problematici. Far coincidere politica e morale nelle strategie internazionali è straordinariamente pericoloso, ma identificare politica e pedagogia porta soltanto alla febbre giacobina della ”rieducazione democratica”».
• Il bombardamento della ”Bastiglia”. Zlatko Dizdarevic, direttore del settimanale ”Svijet” di Sarajevo: «Oggi molte persone ”normali”, e in particolare alcune associazioni di giornalisti [...] condannano il bombardamento della televisione di Belgrado e dei civili che, dicono, non avevano alcuna colpa [...] Le persone che lavoravano alla tv di Belgrado, o almeno la maggior parte di loro, erano in un certo senso dei cecchini, incaricati di omicidi pianificati, eseguiti con un’arma molto sofisticata, il computer e la telecamera».
• Milosevic sta sacrificando la vita di altre persone di proposito, per poter dimostrare che altre vittime civili sono state uccise a Belgrado.
Dall’e-mail di un cittadino di Belgrado trasmessa dopo il bombardamento Nato della tv serba: «Quando le fonti Nato avevano annunciato che la televisione di stato serba era stata dichiarata ”un bersaglio legittimo”, i dipendenti avevano insistito per essere trasferiti in un luogo più sicuro, ma ricevettero l’ordine di restare lì. Quando, ironicamente, domandarono al signor Milosevic, capo esecutivo della televisione serba, il motivo per cui lui non fosse lì con loro per proteggere l’edificio, ricevettero una secca risposta, prima che andasse via: ”Fuck you” [...] Innocenti costretti a fare da scudi umani, ostaggi che vengono ricattati con l’incubo di essere giudicati dalla corte marziale, mentre coloro che costringono gli innocenti a morire sono al sicuro nei loro rifugi privati».
• Il popolo serbo non va colpevolizzato. Finora Milosevic è stato fermato in Croazia e poi in Bosnia, solo con le armi. Lei ritiene che ci potesse essere davvero un intervento militare dell’Onu?
«Forse non c’erano alternative all’intervento militare. Possiamo anche ammetterlo. Ma non questo intervento, non in questa forma scandalosa, tecnologica, che lo fa apparire un gioco di guerra. Trovo spaventoso l’eufemismo coniato per i bombardamenti: danno collaterale. Le ripeto, tutti sappiamo che Milosevic è un mostro, ma sappiamo anche che rappresenta una fede nazionalistica e brutale non estensibile all’intera popolazione. una violenza che appartiene a una parte della nazione e se guardiamo bene è dovunque, in tutti i popoli, dall’America all’Inghilterra dove i neonazisti mettono le bombe in un club omosessuale. anche presente nell’Uck quando parla di ”grande Albania”. Come si può pensare, oggi, a una possibilità di pacificazione?» (Luis Sepúlveda a Mario Baudino).
• Budapest sta diventando una piccola capitale del dissenso serbo. Almeno 100 mila cittadini jugoslavi si sono rifugiati a Budapest. Di questi, tantissimi sono membri dell’intellighenzija belgradese: scrittori, artisti, registi, musicisti, giornalisti, professori universitari, studiosi. Zelimir Zilnik, regista serbo: « l’Occidente il primo responsabile dello sfacelo della vecchia Jugoslavia. Noi dell’opposizione siamo stati totalmente ignorati: dov’era la cosiddetta comunità internazionale quando per settimane abbiamo dimostrato in piazza (nell’inverno 1996-97, ndr)? E adesso arrivano le bombe a distruggere gli ultimi brandelli di resistenza».
Vesna Nikolik-Ristanovic, presidente dell’Associazione ”Victimology” serba, che si occupa delle vittime del crimine, sia di quello ordinario che di quello di guerra: «Ho appreso delle prime bombe che ero ancora a Kiev [...] La delusione è grande, soprattutto per noi impegnati nella società civile: stavamo lentamente ricostruendo un sistema democratico, stavamo creando le infrastrutture di una società civile. Ora mi sembra di aver lavorato dieci anni per niente: come proporre i valori occidentali come modelli, se poi proprio l’occidente pretende di insegnarci la democrazia a colpi di bombe?».
Sarà possibile una vita in Serbia dopo la guerra?
Zilnic: «Che vita può essere possibile? Hanno distrutto tutto, sia sul piano materiale, sia sul piano intellettuale, hanno spinto la Jugoslavia verso l’Asia, lontano dall’Europa...».
Dragan Velik, il più importante scrittore jugoslavo scappato a Budapest, da tempo nella lista nera di Milosevic: «L’Occidente in tutti questi anni non ha visto altro che Milosevic. Ne ha fatto un uomo famoso, importante, l’unico interlocutore, sperando di fare come il dottor Frankenstein: un essere docile, al suo servizio. E invece è venuto fuori il mostro, fuori controllo. Un grigio apparatschik qual era Milosevic fino al 1989, sta in qualche modo entrando nel mito, che in Serbia è legato anzitutto alla sindrome da martirio: il presidente può presentarsi, con un certo successo, come i martiri serbi della leggendaria battaglia del Kosovo nel 1389. L’Occidente deve capire che tanto più grande sarà la sconfitta di Milosevic, tanto minore sarà la vittoria della Nato. la pace, non la guerra, che il presidente teme».
• Il Pentagono, Clinton, la Nato, chiedono ogni giorno di incriminare per reati contro l’umanità generali dell’esercito serbo, estremisti di Belgrado, lo stesso Milosevic. Louise Arbour, procuratore generale del Tribunale dell’Aja sui crimini di guerra: «Pagheranno tutti i loro crimini. Sia i massacratori che i mandanti non sfuggiranno a questo tribunale. solo una questione di tempo, ma alla fine pagheranno» [...].
Milosevic non può non sapere quello che sta avvenendo in Kosovo. Non è già un gravissimo reato il suo non intervento?
«Certo. Stiamo lavorando molto su questa parte omissiva delle sue colpe. Milosevic sostiene di aver dato disposizione di reprimere ogni forma di violenza. Francamente non ci credo».
• Milosevic ha liberato Rugova con lo scopo di creare una miccia destabilizzante nel futuro del Kosovo. «Spera in uno scontro aperto tra Rugova e l’Uck. E ha scelto l’Italia, come ventre molle della Nato e come governo fragile dell’Occidente, per il suo ultimo gioco. Sa che sta perdendo sul piano militare perciò abbandona il confronto e torna all’intrigo» (Naritan Ceka, leader dell’Alleanza Democratica albanese al governo).
• I combattenti dell’Uck non hanno nessuna intenzione di deporre le armi. Arian Konomi, esperto di geopolitica albanese, inviato nei Balcani di ”LiMes”: «In questi due mesi molte cose sono cambiate. Atrocità come massacri e deportazioni prima di Rambouillet non erano ancora stati commessi [...] Nessun albanese ora può pensare di rientrare in Kosovo e restare sotto amministrazione serba».
Rugova però sembra favorevole a un accordo con Milosevic.
«Ogni accordo firmato esclusivamente da Rugova sarebbe nullo. Non solo: sarebbe la base di altri conflitti, una disgrazia per il Kosovo. Sarebbe come mettere in letargo la questione albanese aspettando che si svegli di nuovo magari tra qualche anno. Rugova è un uomo con cui si può dialogare, ma non ha più alcun potere. Inoltre anche per la Nato scaricare l’Uck sarebbe una marcia indietro dopo averlo legittimato a Rambouillet».
E allora come se lo spiega oggi il silenzio occidentale sul ruolo dell’Uck, dopo che a Rambouillet era stato promesso di integrare i guerriglieri in una forza di polizia a base etnica albanese?
«Vorrei fare una riflessione, forse un po’ provocatoria: il piano del G-8 è solo un escamotage della comunità internazionale. Gli occidentali sanno che Milosevic non lo firmerà mai, ma hanno voluto mostrare al mondo che loro sono per la trattativa, al contrario di Belgrado. Così fallirà anche questo tentativo, e potranno dire di essere stati messi con le spalle al muro, e la guerra continuerà fino in fondo. Che è esattamente quello che vuole l’Uck».
• L’Europa quasi tutta a guida socialdemocratica, che insegue la ”terza via” come modello di società per il prossimo secolo, non è riuscita a impedire la guerra del secolo che finisce. «Mai unita quando si doveva costruire la pace, in Bosnia come in Kosovo, o disarticolare con le armi della democrazia i nazionalismi balcanici, ha rafforzato le sue attuali leadership con la coesione nell’Alleanza militare.
Nella Serbia sotto le bombe e nei Balcani destabilizzati muoiono anche le speranze di far parte del Vecchio Continente. Si è dovuto ricomporre qualche coccio del Muro di Berlino perché la Russia ritrovasse ruolo diplomatico e iniziativa di mediazione. La ”terza via” (e l’euro) non scorrerà lungo il Danubio, almeno per le prossime generazioni di ”peace-keepers” che sverneranno nei Balcani. Con Milosevic al potere, sulle macerie del suo Paese».