Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 9 gennaio 2005
Il carteggio D’Annunzio-Mussolini copre un lungo periodo, dal 1919 al 1938
• Il carteggio D’Annunzio-Mussolini copre un lungo periodo, dal 1919 al 1938. Si tratta, almeno all’inizio, di lettere frequenti, intense e senza formalismi. Tra i due, il più mite è Mussolini, in posizione quasi subalterna rispetto al poeta che lo consiglia, lo rimprovera, lo minaccia, lo insulta. Col passare degli anni, il 1926 è il vero spartiacque, D’Annunzio sceglie di isolarsi nel Vittoriale e di abbandonare ogni velleità politica, vedendo gli eventi allontanarsi dalle sue aspirazioni, e il suo caro compagno Mussolini, così lo chiama nelle lettere, diventare soltanto una delle tante autorità da incontrare durante qualche cerimoniale.
scotetevi, pigri
Mio caro Mussolini, Mi stupisco di voi e del popolo italiano. Io ho rischiato tutto, ho dato tutto, ho avuto tutto. Sono padrone di Fiume, del territorio, d’una parte della linea d’armistizio, delle navi; e dei soldati che non vogliono obbedire se non a me. Non c’è nulla da fare contro di me. Nessuno può togliermi di qui. Ho Fiume; tengo Fiume finché vivo, inoppugnabilmente. E voi tremate di paura! Voi vi lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abbietto truffatore che abbia mai illustrato la storia del canagliume universale (si riferisce al Primo Ministro Francesco Saverio Nitti, ndr). Qualunque altro paese - anche la Lapponia - avrebbe rovesciato quell’uomo, quegli uomini. E voi state lì a cianciare, mentre noi lottiamo d’attimo in attimo, con una energia che fa di questa impresa la più bella dopo la dipartita dei Mille. Dove sono i combattenti, gli arditi, i volontari, i futuristi? Io ho tutti soldati in uniforme, di tutte le armi. un’impresa di regolari. E non ci aiutate neppure con sottoscrizioni e collette. Dobbiamo fare tutto da noi, con la nostra povertà. Svegliatevi! E vergognatevi anche. Se almeno mezza Italia somigliasse ai Fiumani, avremmo il dominio del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell’eroismo, dove sarà dolce morire ricevendo un ultimo sorso della sua acqua. Non c’è proprio nulla da sperare? E le vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi opprime, e sgonfiatela. Altrimenti verrò io quando avrò consolidato qui il mio potere. Ma non vi guarderò in faccia. Su! Scotetevi, pigri nell’eterna siesta. Io non dormo da sei notti; e la febbre mi divora. Ma sto in piedi. E domandate come, a chi m’ha visto. Alalà.
Fiume, 16 settembre 1919
• Ecco le mie idee.
Caro D’Annunzio, si delineano delle soluzioni bastarde nel Consiglio della Corona. Nell’attesa di venire a Fiume - per il tempo sufficiente a intenderci - le mie idee sono queste. Primo: marciare su Trieste 2° Dichiarare caduta la Monarchia 3° Nominare un direttorio di governo [...] 4° Preparare le elezioni per la Costituente 5° Dichiarare - beninteso - l’annessione di Fiume 6° Mandare truppe fedeli a sbarcare in Romagna (Ravenna) e nelle Marche (Ancona) e negli Abruzzi, per aiutare la sollevazione repubblicana. Queste le mie idee [...]. Io lavoro.
Vi saluto.
Giovedì pomeriggio, 25 settembre 1919
• Il raid a Tokio.
Mio caro Comandante, da molto tempo non Vi scrivo, ma non dovete pensare a un intiepidimento del mio entusiasmo. Ho avuto un momento di dubbio, quando tutta Italia [...] era avviluppata in una rete di insidie che non risparmiò nemmeno Fiume, ma sono sempre con Voi e non passa giorno senza che il Popolo D’Italia levi la sua voce per sostenere la santa causa. stato, per me, quello recente un periodo di grandi amarezze: due dei miei redattori mi hanno abbandonato e potrei dire tradito! Bisogna ristabilire i contatti fra noi e in questo senso abbiamo preso accordi con De Ambris. Ora, voglio intrattenervi su un’altra faccenda che mi sta molto a cuore. Ne parlai già [...]. Desidero di essere il preferito fra i giornalisti che hanno chiesto di seguirvi nel raid a Tokio. Ho telegrafato all’Aeronautica e mi hanno detto che i postulanti sono molti, [...] che a Voi tocca il decidere. Chiedo a Voi l’onore alto e il rischio di seguirvi sino a Tokio. Io non sono l’ultimo venuto nel giornalismo italiano, ho difeso l’aviazione colla penna e volando in un momento di acuto disfattismo aviatorio e sono stato con Voi nell’impresa di Fiume e ci sono ancora, mentre tutti i giornalisti italiani segnano il passo col Corriere se non col Tempo. [...]. A Voi decidere, caro Comandante. Io attendo con fede. Con immutata devozione. Vostro Mussolini.
Milano, 10 gennaio 1920
• Superare il tradimento.
Mio caro Benito Mussolini, chi conduce un’impresa di fede e di ardimento, tra uomini incerti e impuri deve sempre attendersi d’essere rinnegato e tradito, «prima che il gallo canti per la seconda volta». E non deve né adontarsene né accorarsene. Perché uno spirito sia veramente eroico, bisogna che superi la rinnegazione e il tradimento. [...].
Fiume, 15 febbraio 1920
• Non abuseremo della nostra memoria.
Mio caro Comandante, le ultime notizie consacrano il nostro trionfo. L’Italia di domani avrà un governo. Saremo abbastanza discreti e intelligenti per non abusare della nostra vittoria. Sono sicuro che Voi la saluterete come la migliore consacrazione della rinata giovinezza italiana. A Voi! Per Voi! Mussolini
Roma, 28 ottobre sera 1922
• Mi ridò intero alla mia arte.
Mio caro compagno, [...] io ho risoluto - oggi, 16 dicembre - di ritirarmi nel mio silenzio e di ridarmi intero alla mia arte, che forse mi consolerà. Il meglio di me, offerto alla Patria, in tanti anni di pena volonterosa, oggi è falsato o rinnegato o calpestato. Le testimonianze d’amore e di fede non m’illudono. L’Italia d’oggi non m’ama e non crede in me. L’esilio sarà il castigo della mia lunga e intiera devozione. Lo so. Accetto il fato, e gli sono pari. [...].
D’Annunzio 16 dicembre 1922
• Io sono il solo conduttore di me stesso.
Mio caro compagno, il tuo telegramma ha quel tono singolare che forse è fondamentale nel «fascismo» ma che resta interamente estraneo alla mia vita interiore. Anche tu ignori fino a qual punto sia affinata la mia sagacità, e fino a quale altezza sia giunta la mia libertà mentale. Infatti mi parli di «categorie», che era meglio lasciare tra le innumerevoli malignità dei gazzettieri o di certi eroi immemori che la vanità rende ciarlieri. Nessuno può influire - di alcun sesso - sopra la minima delle mie opinioni e delle mie risoluzioni. Fin dalla nascita, io sono il solo conduttore di me stesso. Un esempio eroico della mia volontà invincibile e indecomponibile porta la data del dicembre 1919, quando solo salvai il confine giulio. [...]. Accogli nel tuo animo, per sempre, queste parole sincere. E risparmiami l’offesa del sospetto, della diffidenza, dell’incertezza. E cerca di liberarti, tu, dei partigiani che ti falsano o ti deviano. Respingi da te coloro che, per esempio, nelle Marche conducono la più tetra reazione contro gli uomini della trincea e nella Puglia avversano poliziescamente ogni forma di spiritualità - ohibò! - dannunziana. Ma, nel movimento detto «fascista», il meglio non è generato dal mio spirito? [...]. Come posso io dunque essere il tuo avversario? e come dunque puoi tu essere il mio? [...]. E, poiché sei un buon cristiano, soffri ch’io termini con le parole del discepolo prediletto: «Et haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra».
Il tuo D’Annunzio
Romitorio di Cargnacco, 9 gennaio 1923
• Virtù cristiana.
[...]. Secondo mio convincimento profondo ciò che sembra dividerci è risultato azione elementi estranei. [...]. Invidio stato di perfetta virtù cristiana in cui ti trovi [...]. Fraternamente Mussolini.
12 gennaio 1923
• Un penoso travaglio.
triste, per un cuore leale e ardimentoso come il mio, questa esitazione nel dare l’antico nome di compagno a colui che un tempo sembrò accettarlo e pregiarlo. Non so più qual nome darti in così dubbioso e penoso travaglio. Ma forse - non parla se non l’estrema speranza - forse non è venuta l’ora in cui debba io darti, da lontano o da vicino, il titolo cerimoniale. Lascio oggi la scelta all’oscuro destino. Avevo deliberato di non scriverti più. Poni anche questa lettera nel mucchio, come un peso fermo. In quelle anteriori è la storia verace delle nostre «posizioni» nei riguardi del Patto Marino, nei riguardi della Gente di mare (il Patto Marino tra la Film, federazione italiana lavoratori del mare, dominata da amici e ammiratori di D’Annunzio, e gli armatori, appoggiati dal partito nazionale fascista, ndr). [...]. D’Annunzio.
Il Vittoriale, 24 gennaio 1924
• Patto marino.
Io, invece, voglio cominciare collo scrivere queste parole: mio caro Compagno. [...]. Per me l’importante e l’essenziale non è il più o meno vasto cambiamento di uomini in seno alla Fed.; l’importante è di venire ad una conclusione sul Patto marino. [...]. Ti abbraccio, tuo Mussolini
Roma, 26 gennaio 1924
• Attendo un rigo di compiacimento.
Mio caro Compagno, ti scrivo a una giornata di distanza dalla firma del Patto, che ho strappato con molta fatica, poiché gli egoismi umani sono durissimi. Sono contento e spero di averti liberato da questa tortura. Attendo un rigo tuo di compiacimento. Quanto al tuo candidato spero di introdurlo nella lista siciliana. Te beato che non ti occupi di elezioni. In questi giorni tutto il marciume del fondo viene a galla e mi fa - scusa! - vomitare, letteralmente. [...]. Ti abbraccio, tuo Mussolini
Roma, 14 febbraio 1924
• Una grandissima italiana.
Mio caro compagno, credo nel tuo dolore verace per la morte di una grandissima Italiana (Eleonora Duse) che, non avendo mai avuto pace nella vita, non ebbe pace neppure nell’agonia. Ci siamo abbracciati, per un’ombra; e ora conviene che ci diciamo addio, senza rimedio. [...]. Gli uomini stamani mi forzano ancora a giudicare la «beffa marina» (il Patto Marino voluto da D’Annunzio venne cambiato, ndr). Se tu sai tutto, se nulla ti fu nascosto, puoi anche tu giudicarla, scendendo incoronato dal Campidoglio. Fui tratto di inganno in inganno, di frode in frode, d’ipocrisia in ipocrisia, per due anni, quasi. Fu simulata la firma del Patto Marino; e nessuna applicazione, nessuna conciliazione, nessuna pacificazione fu compiuta. E, nelle recenti settimane, io volli tentare - con abbondanza d’ingenuo amore - l’ultimo sforzo. Basta. Rimani dall’altra parte. Io resto di qua. E tu sai - come il mondo intiero sa - che io ho nel mio cuore e nel mio cervello ogni specie di coraggio. M’avevi promesso la tregua; l’avevi promessa alla mia arte, che è pur bella ed eterna come una collina, come un fiume, come un lago, come un orizzonte d’Italia. M’imponi la lotta. Ma tutto ricada su te, anche il sangue. Ci siamo abbracciati dinanzi a un sepolcro aperto. Ci diciamo addio, dinanzi all’orribile ilarità degli sghignazzatori. D’Annunzio.
23 aprile 1924
• Prove di amicizia.
Tua lettera giuntami fine alquanto pesante arida giornata lavoro mi ha veramente sorpreso e rattristato. Se qualcuno si è estenuato varare Patto Marino quel qualcuno sono io [...]. Quanto mia amicizia prove avesti e avrai. [...]. Mussolini.
25 aprile 1924
• Orbo veggente.
Caro compagno, [...], dopo aver respinto con severa fermezza ogni tentativo di seduzioni ambigue, dopo avere osservata intiera la lealtà del mio consenso, dopo aver fugato o disciolto più di un’ombra grave - anche fuori d’Italia - senza escir mai dall’eleganza del mio riserbo, io col mio acume di «Orbo Veggente» scorgo indizii di diffidenza, indizii di singolari precauzioni, da parte tua e de’ tuoi servitori, contro me che nel mondo non posso esser rivale ed emulo se non di me stesso. La tua amicizia è schietta? La tua fiducia è immacolata? Credi o non credi alla purità della mia silenziosa opera afforzatrice della tua opera? [...]. Ora mi chiedo con qual cuore tu possa favorire l’apparente smemoratezza degli Italiani verso quel che io ho compiuto. L’unanimità di certi silenzii stupefacenti rivela l’obbedienza a un ordine preciso. In Africa, non esiste il poeta profetico delle Gesta d’Oltremare, per esempio. In patria non esiste il creatore fiumano delle Corporazioni; non esiste il rinnovatore del grido, del gesto, d’ogni maschio rito; non esiste l’inventore di certi ritmi oratorii, di certe cadenze possenti, di certe interrogazioni trascinanti. possibile che il Ministro (dell’Economia nazionale, ndr) Belluzzo parli di Corporazioni in Fiume, senza accennare neppur di lontano alla mia mirabile esperienza! Sarà possibile che domani Luigi Federzoni [ministro dell’Interno, ndr] in Fiume, dinanzi a un nuovo Leone murato, dimentichi quello dei Veneti nuovi da me murato e il mio raggiante discorso «La riscossa dei Leoni» dove la sola perorazione ha la possa d’un assalto e la profondità d’un presagio! [...]. D’Annunzio
Il Vittoriale, 27 agosto 1926
• Patto marino.
Mio caro Compagno, [...]. La tua lettera mi ha semplicemente sbalordito. Mi domando attraverso quali elementi o dubbi o equivoci, si sia formato il turbamento che traspare dalla tua lettera. Ti dichiaro schiettissimamente che io non ho la minima diffidenza verso di te; che se indizi di particolari precauzioni esistono, essi non partono da me; che la mia amicizia è leale e fraterna; che la mia fiducia in te è immacolata. Appunto da quattro anni, ho apprezzato al suo giusto grande valore la tua silenziosa ma non meno efficace collaborazione. [...]. So benissimo che tu non hai bisogno di «potere» - specie volgare o politico. Il tuo potere è nel tuo genio e nella tua opera e questo potere non soffre le ingiurie del tempo e quelle non meno odiose della volubilità umana. Non esistono ordini precisi per le smemoratezze di cui giustamente ti rammarichi. la vita che cambia volto e ritmo. [...]. Mussolini
Roma, 29 agosto 1926