Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Memorie di un cacciatore
• Festa. Nei giorni di festa e di "gratificazione generale", secondo l’antica usanza russa, i padroni offrivano ai loro servi pane e sale o anche focacce di saggina. A questo scopo venivano imbandite nei cortili delle lunghe tavole. A uno a uno, tutti i servi si avvicinavano, si inchinavano e, sotto lo sguardo compiaciuto dei signori, vuotavano d’un fiato il bicchiere riempito con cura dall’intendente, bevendo alla salute del padrone. In occasione della domenica di Pasqua, invece, i servi ricevevano il bacio rituale e portavano in dono ai padroncini, o alla padrona, un uovo colorato di rosso.
• I lapti erano calzature di corteccia o fibra vegetale usate dai contadini russi. Accompagnando il padrone a caccia, un servo poteva consumare anche un paio di lapti al giorno. Era uso che fosse il padrone stesso a pagarli.
• "A canone". Parte dei servi della gleba lavoravano direttamente per il padrone, altri invece erano "a canone", cioè pagavano una cifra annua e lavoravano la terra per sé. I primi erano ancor più poveri, perché non avevano di che commerciare, i contadini a canone riuscivano, di solito, a fare piccoli traffici di olio e catrame.
• Ogni estate, poco prima del tempo della mietitura, compariva nei villaggi una piccola carretta guidata da uno strano personaggio vestito di un caffettano. Vendeva falci: a chi pagava in contanti chiedeva un rublo e 25 copechi, a chi comprava a credito un rublo d’argento e tre rubli di carta. I contadini compravano a credito, e lo aspettavano dopo 2/3 settimane, trascorso il tempo della falciatura dell’avena. A quel punto il contadino aveva di che pagare: andava col mercante all’osteria e regolava il conto. Quando alcuni padroni pensarono di comprare le falci e poi distribuirle allo stesso prezzo ai loro contadini, tutti rimasero scontenti: la presenza del mercante in paese, la contrattazione, la scelta della lama, erano un momento importante dell’anno, a cui nessuno voleva rinunciare.
• Stàrosta. Il capo dei contadini di ogni villaggio, eletto dai contadini stessi ma alle dipendenze del proprietario, si chiamava "stàrosta" e veniva cambiato spesso per evitare corruzione o nascita di favoritismi. Il "burmìstr" (dal tedesco Bürgermeister, borgomastro) era invece nominato dal proprietario. Spesso sfruttava la sua posizione per dominare i contadini in modo illegittimo e utilizzarli come se fossero alle sue dipendenze, per esempio sfruttando anni di cattivo raccolto nei quali essi restavano indietro con il canone o comunque con le spettanze dovute al padrone: il burmìstr si accollava l’onere al loro posto, in segreto, e li vessava lungamente in seguito, di solito sotto la minaccia di spedire alle armi fuori turno, cioè oltre il servizio di leva, i figli maschi del contadino.
• Tra le disgrazie più temute dai contadini, quella che il figlio maschio venisse mandato soldato dal padrone per punizione. Poiché alle reclute venivano immediatamente tagliati i capelli, la minaccia veniva espressa col "far rader la testa".
• I contadini usavano dormire sulle loro grandi stufe di mattoni appena spente. Era il posto riservato agli anziani, in particolare alla suocera.
• I servitori che non ricevevano paga venivano compensati con il "pesabile": salario in natura formato per lo più da pane, tè, zucchero, assegnato a peso.
• I più tradizionalisti consideravano peccato vendere il grano, dono di Dio. Nei casi di grave carestia spesso il grano veniva distribuito da chi aveva una riserva a chi non ne aveva, che si impegnava a pagare il suo debito in natura l’anno successivo.
• Sarafan, veste tradizionale della donna russa, indossata anche dalle bambine. Lunga, senza maniche, ormai viene usata soltanto dalle contadine, che sono solite portare, sopra la pezzola che copre i capelli, il kokòsniki, tradizionale ornamento da capo simile a un diadema.
• I servi della gleba venivano regolarmente comprati e venduti alle aste. A influire sul prezzo concorrevano i mestieri che sapevano svolgere. Sulla base del mestiere veniva anche calcolato il canone annuo che il servo pagava al proprietario quando non lavorava direttamente per lui. Il canone di una buona cucitrice che lavorava in città ammontava, per esempio, a 182 rubli e mezzo l’anno.
• Russalka. Ninfa delle onde, secondo la mitologia slava abita anche nei boschi, purché vi siano stagni o ruscelli. Se incontra un viandante, la russalka cerca di attirarlo verso di sé. Dondola da un ramo e lo chiama dolcemente, lo invita con la mano. Se il viandante reagisce facendosi il segno della croce, la russalka comincia a piangere e lo rimprovera di aver perduto l’occasione di vivere per sempre felice e libero. La russalka è molto pericolosa: la sua arte consiste nell’uccidere le persone a forza di solletico.
• Vodianòj, demone delle acque, aspetta nascosto sotto il pelo dell’acqua, vicino a riva, che qualcuno si sporga. Poi lo agguanta per una mano e lo tira giù.
• Il giorno dei defunti si può vedere il vivo che morirà entro l’anno: bisogna sedersi di notte sul sagrato della chiesa e guardare fisso la strada. Si vedranno passare tutti coloro che moriranno entro l’anno, e c’è chi ha visto passare anche se stesso.
• Ivan Sergeevic Turgenev nacque a Orjol il 28 ottobre 1818 (9 novembre, secondo il calendario gregoriano). Fin da ragazzo si ribellò alle ingiustizie sociali e mostrò un’indole profondamente democratica. Ad esempio fu coinvolto in una lunga storia giudiziaria per aver nascosto una giovane contadina che sua madre aveva venduto a una vicina particolarmente crudele. Studiò alle università di Mosca e Pietroburgo, frequentò intellettuali come Dostoevskij e Gogol’, si innamorò di donne di ogni classe sociale. Morì il 22 agosto 1883.
’Memorie di un cacciatore” raccoglie 25 racconti, pubblicati per la maggior parte tra il 1847 e 1850, che ebbero immediatamente un grande successo di critica: gli intellettuali dell’epoca ne colsero soprattutto l’aspetto di condanna del sistema della servitù della gleba, il pubblico li lesse come atto di denuncia sociale. A Pietroburgo ne fu proibita la pubblicazione, a Mosca videro la luce solo grazie a un funzionario poco attento che per questa sua leggerezza perse il posto. Alcuni sono convinti che proprio il libro di Turgenev abbia spinto lo zar Alessandro II, il 19 febbraio 1861, a firmare il decreto di abolizione di servitù della gleba.