Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte
• Obitorio. Dal latino obire, ”andare incontro” alla morte.
• Dubbi. Tecniche usate nel Settecento per accertare l’avvenuta morte: si accostava una candela alle narici del defunto o si posava una coppa d’acqua sul suo torace in attesa di eventuali reazioni. J. B. Wilson, anatomista danese operante a Parigi, nei casi più sospetti suggeriva di ricorrere "alle ferite che fannosi con gli strumenti pungenti, o taglienti, o sia col fuoco". Dall’uso di mordere i cadaveri, i termini ”becchino” e ”beccamorto”.
• Pasto. In alcuni gruppi della Nuova Britannia e della Nuova Guinea, le vedove erano tenute a cospargersi il corpo coi resti del marito. Tra i Dayak del Borneo, i parenti del morto usano mescolare con riso i liquidi della sua decomposizione per poi ingollare il tutto durante i funerali.
• Mortificazioni. L’ordine monastico indiano degli Aghoris, asceti che girano nudi o con indosso sudari sottratti ai corpi dei morti, dormono su catafalchi usati per trasportare i defunti, mangiano le ceneri tolte dalle pire della cremazione e portano con sé un recipiente ricavato da uno scheletro umano. Avendo mortificato così tanto il proprio corpo in vita, rinunciando alla materialità e alla carnalità, rifiutano di farsi bruciare una volta morti.
• Cremazione/1. In un convegno internazionale d’igiene riunitosi a Torino nel 1880, si scelse definitivamente il termine ”cremare” (dall’omofono latino cremare), per riferirlo ai cadaveri umani, limitando l’uso del verbo ”incenerire” (dal latino cinis, cineris) alla combustione dei resti animali.
• Cremazione/2. La riforma legislativa italiana del 2001 consente di disperdere le ceneri del defunto in luoghi naturali di particolare interesse simbolico, oppure di conservarle in casa.
• Caribi. ”Cannibali”, da caniba o canibales, termine introdotto in Europa da Cristoforo Colombo, riferendo il nome dato dagli abitanti delle isole Bahamas e di Cuba agli abitanti delle piccole Antille, i Caribi, dediti al consumo di carne umana.
• Endo-cannibalismo. Ingestione dei cadaveri di defunti cha fanno parte della comunità o del gruppo di riferimento. L’eso-cannibalismo è invece il consumo di nemici uccisi (in guerre, faide, spedizioni di caccia alle teste).
• Wari’. Nel rito funebre celebrato dalla popolazione Wari’, in Amazzonia, gli affini del defunto (nari paxi) tagliano a pezzi, arrostiscono e consumano il cadavere. La pratica è proibita ai consanguinei (iri’ nari). Per favorire il distacco emotivo dei familiari, alla morte dell’individuo si distruggono i suoi oggetti e non si pronuncia più il suo nome.
• Baobab. I cimiteri arborei di alcune popolazioni africane e dell’Oceania, dove i cadaveri erano sepolti nelle cavità di grandi alberi come i baobab.
• Merina. La seconda sepoltura praticata presso i Merina del Madagascar, nell’area di Arivonimano, sei-sette anni dopo la morte. Il rito di riesumazione (famadihana), accompagnato da una processione di musicisti e danzatori, inizia con la proclamazione dei nomi degli antenati da disseppellire. Una volta scoperchiate le tombe, i cadaveri (per lo più ricavati dai resti polverizzati di una dozzina di individui), vengono avvolti con sudari di seta, aspersi di rhum e miele e riportati alla luce. Prima di riseppellirli sono fatti danzare coi vivi.
• Tanatoprassi. Pratica diffusa negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, tra cui la Francia meridionale, per consentire l’esposizione del cadavere in una veglia funebre di una settimana o un mese. Sostituito il sangue con una sostanza a base di formaldeide e coloranti, si massaggia il viso per conferirgli colorazione rosea e tonicità, si liberano le cavità interne da materiali intestinali e gas che favoriscono la decomposizione. Come ritocchi, il rigonfiamento delle guance, la chiusura della bocca, la bombatura degli occhi (negli Usa si ricorre abbondantemente anche ai cosmetici).
• Criogenizzazione. Progressiva ibernazione del cadavere e conservazione a temperature bassissime per un periodo di tempo illimitato, nella speranza che futuri progressi della biomedicina consentano di riportare l’individuo in vita. La procedura è attivata subito dopo il decesso: con un trattamento farmacologico il corpo è progressivamente raffreddato fino a raggiungere la temperatura di circa ”40°C (l’operazione dura 48 ore). Dopodiché, lo si immerge in un liquido ibernante, finché abbia raggiunto i ”160°C, (da mantenere costanti). Le associazioni che offrono il servizio di criogenia ibernano a richiesta l’intero cadavere o solo testa e collo, e si incaricano di stoccare il cadavere in un deposito per conservarlo a tempo indefinito (costo: 120.000 dollari, la metà per la sola testa).
• Scheletro. Tra le disposizioni testamentarie di Cesare Lombroso, quella di esporre il proprio scheletro nel Museo di Antropologia criminale da lui stesso fondato nel 1898. La pelle del volto, scorticato e rimodellato, con palpebre abbassate, bocca socchiusa e baffi, è immersa in un liquido dentro un’ampolla di vetro. Sulla scrivania di Lombroso è ancora esposto il cranio di un ladro calabrese, il Villella (della collezione del museo fa anche parte l’avambraccio di Lorenzo Restellini, medico chirurgo e volontario dell’esercito piemontese nelle guerre risorgimentali, immerso in un’ampolla piena di alcol).
• Nkore. Nell’antico regno africano di Nkore, il cadavere del re, trasportato lontano dalla capitale, era deposto su un letto di legno in attesa della decomposizione. I liquidi fuoriusciti erano poi raccolti e mescolati con latte. Tra i vermi che si formavano, il più grande era identificato col nuovo sovrano e trasportato nella foresta, in attesa che si trasformasse in leone. La cattura di un piccolo leoncino, di lì a qualche giorno, era il segno della rinascita del sovrano (mugabe).