Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 14 aprile 2001
Lamento del traduttore
• Lamento del traduttore. ”A che cartella siamo?” ”Alla decima”. ”Andiamo bene vero?” ”Sì sì”. ”Sei un po’ stanca?” ”No no, detta dai”. ”Pensa, quattromila lire ce le siamo già guadagnate”. ”Davvero”. ”Due vanno a Mara, una al padrone di casa, la quarta paga la luce, il telefono, il gas, il latte e il pane”. ”Sicuro, e ora guadagnamoci il companatico. Dai, detta”.
• Invidia. ”Ora, tante cose io invidio ai cardinali ma più di tutto le scarpe, che sono agili di fiosso. Morbide di spunterbo e larghe, sì che le dita ci stanno ben distese e slargate nelle calze di seta rossa, senza duroni, né lupinelli, né accavallamenti del terzo sul secondo dito, né unghie incarnite come succede a noialtri laici”.
• Triestini. ”Io cerco sempre la compagnia dei triestini, perché sono uomini franchi e ventilati”.
• Brera. ”Dopo, un altro caffè doppio e si rimane a ciondolare ai tavolini del bar delle Antille senza badare ai pittori”.
• Al bar. ”Discutono sugli ingredienti che entrano nella fabbricazione del whisky, se ci vuole l’orzo, o l’avena, oppure il granturco. Vogliono sapere da me quale è il participio passato del verbo soccombere, o anche se è vero che una donna può restare incinta facendo il bagno nell’acqua sporca del fratello, e in tal caso che rapporto di parentela legale c’è fra il padre involontario e il neonato”.
• Vocali. ”Ho conosciuto telefoniste che in pratica dirigevano aziende di media grossezza. ”Il suo nome per favàre” dicono slabbrando la vocale, oppure, strizzandola: ”Il suo nome prigo”. Devi dirgli il nome e il motivo della comunicazione, altrimenti quella si impunta, ti dice: ”Lei non vuole callabarare con me” e non ti fa palare, né camnunicare col cammandatare. Basta che una di queste segretariette, con le sue gambette secche e il visino terreo, si impadronisca d’un pezzo di tubatura aziendale, e lo intasi, perché poi tutto si subordini a lei”.
• Tempo. ”Datemi il tempo, datemi i mezzi, e io vi toccherò tutta la tastiera – bianchi e neri – della sensibilità contemporanea. Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle”.
• Acque. ”Unirsi sui letti, dentro gli armadi, alla finestra guardando chi passa, nei prati di periferia e nella pineta di Tirrenia, sopra un moscone al largo della costa adriatica, abbandonati al ritmo delle onde e delle correnti, anche a rischio di toccare l’orgasmo già in acque territoriali jugoslave
• Vacanze. ”Il sole piace anche a me, naturalmente, e anzi mi fa bene. Mi fa bene il sole, l’aria di mare, il moto, il riposo, il vitto buono. Ma non per quindici giorni soli. In due settimane l’organismo fa appena in tempo ad abituarsi alla vita nuova, e subito si deve riabituare alla vecchia”.
• Cinesi e cecinesi. ”E poi viaggiare secondo me non serve a nulla, ai giorni nostri, non ci impari proprio niente. Anche uno che abbia l’ambizione di scrivere, non è che viaggiando apprenda qualcosa di nuovo, o trovi argomenti da raccontare. Al massimo potrà scrivere qualche articolo di giornale, ma se è una persona seria, tornando si guarderà bene dal mettere sulla carta quello che ha visto, o creduto di vedere. Io per esempio ho un amico scrittore, che una volta andò a Pechino, nel Catai, come dicevano gli antichi. Eppure, siccome è uno scrittore serio, tornando non si è mica messo a parlare dei cinesi! Al contrario, ha continuato a parlare dei cecinesi, e fa bene, perché quelli li conosce davvero”.
• Interruzioni. ”Così, senza dirlo, abbiamo deciso di fare all’amore soltanto la sera dopo la mezzanotte, in segreto e in silenzio, come gli elefanti, quando si è ben sicuri che non ci saranno interruzioni”.
• A Milano. ”Io potrei dire senza calendario che giorno è, proprio dal traffico. Rabbiosi sempre, il lunedì la loro ira è alacre e scattante, stanca e inviperita il sabato. La domenica non li vedi, li senti però, dentro le case, indaffarati coi rubinetti, le vasche da bagno, gli sciampo, i bidet, a sciaquarsi sopra e sotto”.
• Ostrica. ”Lo so, direte che questa è la storia di una nevrosi, la cartella clinica di un’ostrica malata che non riesce a fabbricare la perla”.
• Desideri. ”No, io voglio un funerale all’antica, e l’ho scritto nel testamento, un funerale laico, ma d’una certa solennità. Laico ma tradizionale. Non ci voglio i preti, ma gli ex preti ce li voglio, ci voglio quelli che hanno buttato la tonaca alle ortiche e si sono fatti comunisti, pur restando preti nell’animo. Ne voglio quattro di questi preti spretati e togliattizzati, e poi voglio due cavalli neri col pennacchio in capo, due critici letterari a casetta, ai quattro cordoni del carro ci voglio nell’ordine uno storico, un critico d’arte, un funzionario di casa editrice e un redattore di terza pagina. Deve essere un bel funerale. Dietro venga chi voglia, tranne le segretariette secche. Loro no. Poi si scordino pure di me”.
• Dormire. ”Poi il sonno è già arrivato e per sei ore io non ci sono più”.