Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 17 gennaio 2005
Gennaio 2005
L’ultima volta che un Paese sudamericano si ostinò a non pagare i debiti all’Italia la risposta fu decisa ed energica
• Gennaio 2005
L’ultima volta che un Paese sudamericano si ostinò a non pagare i debiti all’Italia la risposta fu decisa ed energica. Rocco Cotroneo: "Nel Venezuela del 1902 non mandammo mediatori o rappresentanti dei creditori, ma navi da guerra, insieme alla Gran Bretagna e alla Germania. Furono bloccati i porti, volò qualche cannonata. Era l’alba dell’Italia giolittiana, l’Europa quella delle potenze che si sarebbero affrontate, da lì a poco, nella Grande Guerra. Funzionò. A Caracas governava il solito militare, Cipriano Castro, che aveva preso il potere con un golpe nel 1899. Si definiva liberale e vicino ai poveri, ma era impopolare. Dopo tre anni di governo, si trovò ad affrontare rivolte e saccheggi nelle città, la gente era esasperata per la corruzione e la miseria. E poi c’era la questione dei debiti. Nel Venezuela d’inizio Novecento il petrolio non era ancora stato scoperto e le casse dello Stato erano perennemente vuote. Cosa che non impediva ai dittatori di turno di prendere denaro in prestito Oltreoceano e spenderlo in grandi opere".
• Fu Guglielmo II a convincere l’Inghilterra e l’Italia che occorreva la prova di forza. Cotroneo: "Nel dicembre del 1902 fregate da guerra dei tre Paesi proclamarono il blocco navale dei porti venezuelani, iniziando da La Guaira, l’entrata per la capitale Caracas. La crisi non degenerò solo a causa delle violente proteste di altri Paesi sudamericani, guidati dall’Argentina, e per l’intervento del presidente americano Teodoro Roosevelt. Pochi mesi dopo, il blocco fu tolto ma il Venezuela venne convinto a sedersi ad un tavolo di trattative, negli Stati Uniti. La questione del debito estero venne rimandata al Tribunale dell’Aia che infine decise in favore degli Stati creditori. Nel 1907 il Venezuela fu costretto a pagare. Cipriano Castro, eretto a vittima dell’imperialismo, salvò il posto ancora per qualche anno. Nel 1909, durante un viaggio all’estero, venne rovesciato dal suo vice, Juan Vicente Gomez. Per tutto il Ventesimo secolo il Venezuela è stato il Paese sudamericano più cauto nell’assumere obbligazioni in divisa straniera".
• Adesso c’è la questione dei cosiddetti tango-bond. "Una stangata di dimensioni epiche", "L’imbroglio più trasparente della storia", per citare solo un paio di commenti. La questione riguarda circa 450.000 italiani che dalla fine degli anni 90 hanno messo in quelle obbligazioni una somma pari a 14,5 miliardi di euro, oltre l’1 per cento del nostro Pil. La settimana scorsa il governo argentino ha reso note le condizioni per il rimborso, uno scambio dei vecchi titoli con due nuove tipologie di bond (agli argentini ne è stata offerta anche una terza in pesos): i par-bond, con cambio 1 a 1, rimborso del capitale in 20 rate semestrali a partire dal 30 settembre 2029, interessi pagati in contanti fin dall’inizio ma molto bassi (si parte con l’1,5%); i ”discount”, con cambio 1 a 0,337 ma restituzione un po’ più veloce, 20 rate a partire dal 20 giugno 2024.
• una proposta indecente. "Una proposta che ha l’inequivocabile sapore dell’estorsione". Ed è pure, nelle intenzioni degli argentini, una proposta prendere o lasciare: per decidere ci sono 42 giorni (da venerdì scorso al 25 febbraio). Anzi, se si vogliono i par-bond c’è tempo solo fino al 4 febbraio. E comunque fino ad un massimo di 15 miliardi di dollari su un totale di 38: chi resta fuori, si deve accontentare di quelli ”scontati”. Il tutto, con l’aggiunta di una specie di ricatto: in genere le offerte pubbliche non lasciano sul campo esclusi, anche chi rifiuta ha la possibilità di essere riassorbito dalla proposta dopo i termini di scadenza se questa viene accettata dalla maggioranza, ma in questo caso no, se la maggioranza accettasse lo swap, chi l’ha rifiutato resterebbe fuori, conserverebbe la proprietà del vecchio titolo (e in teoria di tutti i diritti) ma in pratica i bond perderebbero la liquidità sul mercato. Con i titoli congelati ed esclusi dalle negoziazioni, potrebbe essere molto difficile riuscire a ottenere qualcosa se non attraverso l’incognita delle vie legali: causa all’Argentina o alla propria banca. In Germania accadde un caso simile con il Perù: vennero bloccati tutti i beni destinati alla rinegoziazione.
• "Pochi, maledetti e subito", si dice in questi casi. Nicola Stock, presidente dell’associazione messa in piedi dall’Abi per rappresentare i 450 mila: "Non sono pochi, maledetti e subito, ma pochissimi soldi e a 35 anni". Stefania Tamburello: "Il rimborso, liquidabile solo fra 25-35 anni, sarebbe in pratica di 26 centesimi per ogni euro investito e potrebbe essere anche intercettato dalle azioni di rivalsa messe in atto da quei risparmiatori di tutto il mondo che insistono per avere di più". Massimo Sideri: "Certo il taglio dell’investimento non ha precedenti nella storia delle ristrutturazioni. I tassi di interessi sono molto bassi anche senza confrontarli con le alte cedole che i vecchi titoli distribuivano prima del crac del 2001. Ma accettando si dovrebbe portare a casa qualcosa per i figli o per i nipoti".
• Il fronte del No è ampio. Adiconsum, Acu, Adoc, Adusbef, Altroconsumo ecc. Elio Lannutti, di Intesa consumatori: "Consiglio ai possessori di bond di rifiutare l’offerta perché l’Argentina prima o poi dovrà migliorarla". Marco Follini: "Non inviare le cannoniere al largo delle isole Falkland non significa certo accettare né la presa in giro dei risparmiatori in buona fede né la promessa di rimborsi del tutto inadeguati". Sideri: "La strategia del boicottaggio ha in effetti funzionato in altre situazioni, anche se forse non erano così complesse. L’ultimo caso è stato proprio quello della Telecom Argentina che ha interessato anche i creditori italiani e che nel 2004 dopo due anni di trattative si è chiuso con un netto miglioramento".
• L’Argentina, il cui reddito cresce dell’8% annuo, sarebbe in grado di restituire il doppio. Stock: "Può arrivare certamente oltre il 50% del debito e ridurre il rimborso a 10/15 anni". Buenos Aires ha promesso di agganciare un bonus ai nuovi titoli se l’economia dovesse marciare al meglio. Mauro Sandri, promotore di un gruppo di creditori che non ha intenzione di aderire all’offerta: "Si tratta di qualcosa di molto aleatorio, legato a parametri arbitrari e personalizzati". Riva: "Avanzata dal liquidatore di un’impresa privata precipitata nel più nero dei dissesti, una simile proposta potrebbe anche essere presa in considerazione. Nel caso specifico, no: perché l’interlocutore è il governo di un non piccolo stato sovrano. Il quale, con plateale arroganza, rifiuta di rispettare la parola data per favorire il suo sviluppo a spese di milioni di risparmiatori".
• Anche chi accetta non può dormire sonni tranquilli. Federico Monga: "Anzi. Il prospetto dell’Offerta pubblica di scambio appena licenziato dalla Consob elenca 50 pagine fitte fitte di rischi. Se tre anni fa il Paese sudamericano era un malato terminale oggi è in prognosi riservata. Già sulla prima pagina del documento si segnala che l’’Argentina sta ancora uscendo dalla più seria crisi economica di tutta la sua storia”. Poche righe dopo una seconda, inquietante controindicazione: ”Tutti i parametri dell’Offerta pubblica di scambio sono necessariamente soggettivi”. Ovvero sono di parte e non sono stati verificati con nessuno. E nessuno ”ha espresso opinioni relativamente all’equità dei termini contenuti nell’Invito Globale”".
• Il quadro macroeconomico non è rassicurante. Monga: "Ecco i rischi maggiori: ”Alti tassi di interesse, fluttuazioni del cambio, elevati livelli di inflazione, controlli valutari, dei salari e dei prezzi, imposizione di barriere agli scambi commerciali”. Standard and Poor’s assegna il rating ”Sd”, ventiduesimo livello di giudizio su una scala da 1 a 23. Che vuol dire ”inadempiente rispetto ad alcune ma non a tutte le serie di emissioni di strumenti finanziari”. Il documento di offerta segnala poi che ”il paese potrebbe non continuare a migliorare ai tassi attuali di crescita o potrebbe contrarsi nel futuro con un effetto negativo sulla finanza pubblica e sui prezzi delle nuove obbligazioni”. Qualsiasi rettifica ”di dati ufficiali economici e finanziari conseguente ad una revisione dei tassi di interesse potrebbe avere un effetto significativamente negativo sulla capacità di pagare il debito”. L’Argentina allora potrebbe ”non essere più in grado di accedere al mercato dei capitali”. E quindi le verrebbero precluse nuove risorse indispensabili per sostenere le spese galoppanti".
• Il peso è come un fuscello in mezzo alla tormenta. Monga: "Anche dopo i primi timidi tentativi di risanamento ”continua ad avere forti oscillazioni”. In futuro se si svaluta ”ci sarà un effetto negativo sull’economia e sul debito”. Se si rivaluta vanno male le esportazioni. La lista dei ”possibili fattori di rischio” è davvero lunga: ”difficoltà dei vicini partner commerciali, innalzamento dei tassi in altri paesi, come gli Usa, decisivi per l’economia argentina, l’elevato numero di istituzioni finanziarie private ancora in stato di insolvenza, la scarsa fiducia nel sistema bancario da parte dei depositanti, l’elevata spesa statale per aiutare i fondi pensione, i conti pubblici delle province che non offrono garanzie di pagamento”. Conviene?". Sideri: "Il dilemma non è ”semplicemente” accettare o non accettare ma è: cosa faranno tutti gli altri obbligazionisti? Perché il risultato sarà inscindibile dal successo che la proposta riscuoterà in giro per il mondo. La spesso citata a sproposito globalizzazione questa volta c’entra. E il vantaggio o meno del mettere la propria firma sul modulo dell’offerta, pur ”turandosi il naso”, sarà influenzato da cosa deciderà il consiglio di amministrazione della grande banca d’affari di New York, come il comitato di gestione del fondo pensioni di Buenos Aires e il grande obbligazionista nei grattacieli di Tokyo".
• In Argentina i principali creditori sono fondi pensione. Detengono il 18,5% del debito ed hanno subito aderito in massa. Lo stesso potrebbero fare a breve banche e assicurazioni (e si arriverebbe al 30). Anche negli Usa, il debito è in mano a investitori istituzionali. Ci fosse alla fine una risposta da parte dei creditori non di molto superiore al 50% sarebbero guai. Roberto Lavagna, ministro argentino dell’Economia, dice che in quel caso l’offerta sarebbe chiusa, l’Fmi replica che serve almeno l’80%. Siniscalco: "Si aprirebbe uno scenario senza precedenti, con cause di litigio internazionali, e conseguenze difficili da prevedere". A proposito di Fmi: c’è un comitato di creditori che vorrebbe fargli causa. Victor Uckmar: "A mio avviso ha violato norme procedurali nella concessione dei prestiti che dall’89 si sono successi. Ha violato norme interne perché non mi risulta che abbia controllato la destinazione del prestito. Altra regola interna mancata è la verifica che lo Stato abbia i mezzi, soprattutto attraverso la sua struttura fiscale, per ripagare. Quando io ho esaminato tale struttura tributaria l’ho trovata molto disordinata. Si può configurare una responsabilità extracontrattuale in quanto chi ha concesso prestiti all’Argentina, gli obbligazionisti dunque, faceva affidamento al controllo del Fondo che fino al 2001 ha concesso dei crediti a Buenos Aires".
• "El pueblo argentino no es culpable de la deuda". Prendetevela piuttosto con la speculazione internazionale, ripete il presidente Kirchner. Gianfranco Modolo: "Gli investitori istituzionali internazionali hanno avuto infatti la possibilità negli anni scorsi di mitigare le perdite acquistando grossi quantitativi del debito argentino non onorato quando questo aveva toccato la quota minima del 5-7 per cento rispetto al valore facciale di 100. Oggi vale 30-31: anche con il debito in default qualcuno ha fatto buoni affari". Galapagos: "Lo sconto proposto dall’Argentina ai possessori di bond risponde a una logica di eccessiva onerosità del precedente ”contratto” come riconosce anche il codice italiano. Le condizioni contrattuali, infatti, si sono profondamente modificate. In primo luogo per la svalutazione del peso (da 1 a 1 sul dollaro a 3 a 1 attuale) che imporrebbe all’Argentina un costo triplo del rimborso. In secondo luogo i tassi di interesse: quelli offerti da Cavallo oscillavano tra il 10 e il 12 per cento; oggi i tassi sono meno della metà. Insomma, motivazioni economiche per ”tosare” quel debito ce ne sono moltissime". Lavagna: "I bond argentini erano destinati a investitori sofisticati e in grado di assumere il rischio. Perché poi i titoli siano finiti in mano ai piccoli risparmiatori è un interrogativo al quale il governo argentino non può rispondere".
• I tango-bond sono come l’albero degli zecchini d’oro. Gianni Manghetti: "Il risparmiatore (Pinocchio) viene consigliato dalla banca (il gatto e la volpe) di investire (nel caso sotterrare) i propri denari per ottenere, il mattino dopo, un numero più consistente di zecchini. Questo risparmiatore, anche se - o meglio proprio perché - credulone, avrebbe buon titolo di giustificato lamento nei confronti di una banca così pessima consigliera". Allettati degli altissimi rendimenti dei tango-bond rispetto ai Bot nostrani, i risparmiatori italiani vi hanno spesso investito inconsapevoli del rischio. Rossella Lama: "E la dice lunga sulla leggerezza con la quale le banche si sono comportate, il fatto che dopo una lunga istruttoria su due istituti la Consob abbia proposto al ministero dell’Economia di far scattare multe". Negli ambienti finanziari si fanno i nomi di Unicredito e Banca Intesa.
• Si dice: i risparmiatori non possono esser lasciati al loro destino. Giampaolo Landi di Chiavenna (An) è convinto che lo Stato avrebbe maggiore forza e potere contrattuale se fosse titolare di un credito diretto e perciò suggerisce di acquistarne dai meno colpevoli ("quelli non protetti da adeguate conoscenze") almeno il 50-60 per cento. Come? Emettendo Btp a lunga scadenza (e con cedola bassa) a favore dei portatori di obbligazioni argentine per importi non superiori a 50.000 euro. Siniscalco non è d’accordo: significherebbe spalmare su tutti i contribuenti la perdita, si ridurrebbe "la spinta ad apprezzare i rischi che è necessaria in chi investe". Riva: "Chi abbia ancora un po’ di senso delle buone regole del gioco, istituzionale e mercantile, non può condividere la posizione di coloro che premono perché sia il governo italiano a risarcire di tasca propria anche solo una parte delle perdite subite dai risparmiatori. Al riguardo costoro possono rivalersi sulle banche, se da queste sono stati mal consigliati".
• Il populismo non paga nella cabina elettorale né governo né opposizione. Manghetti: "Per contro, una soluzione, pur da approfondire tecnicamente sul fondamento di dati precisi, potrebbe essere ricercata per iniziativa dell’intero sistema bancario. In che modo? Le banche potrebbero avanzare autonomamente - cioè senza alcuna costrizione - l’offerta del ritiro immediato delle obbligazioni entro un tetto individuale prefissato, integrando per contanti quella argentina - indubbiamente avara - con un importo aggiuntivo. I clienti, in tal modo, non dovrebbero attendere di incassare le loro obbligazioni a ”babbo morto”. Ovviamente, è un’operazione che comporterebbe per le banche un costo aggiuntivo che, però, potrebbero smaltire nei loro bilanci in ben 30-35 anni. In altri termini, l’intervento produrrebbe una perdita contabile più o meno elevata a seconda dell’altezza dell’intervento e dell’aiuto. Ma sul piano dell’immagine il sistema conseguirebbe un guadagno enorme. Morale, soprattutto. O, forse, non ce n’è bisogno?".