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 2001  marzo 12 Lunedì calendario

La milizia islamica dei Talebani, che controlla il 90 per cento dell’Afghanistan, sta distruggendo tutte le statue del Paese, perché ritenute contrarie alla religione islamica

• La milizia islamica dei Talebani, che controlla il 90 per cento dell’Afghanistan, sta distruggendo tutte le statue del Paese, perché ritenute contrarie alla religione islamica. A metà febbraio i miliziani avevano già eliminato le ultime statue (una dozzina) rimaste nel museo di Kabul. Si erano salvate dai saccheggi dei trafficanti d’arte perché troppo pesanti per essere trasportate.
• «Ciò che i Talebani fanno in Afghanistan è puro e semplice vandalismo [...] I Talebani confondono il XXI secolo con la ”Jahiliya”, l’età delle tenebre, vale a dire l’epoca preislamica durante la quale gli arabi adoravano idoli in pietra. La distruzione delle statue e di altri idoli fu uno dei primi gesti dei Compagni del profeta che diffondevano l’Islam».
• Fatwa emessa lunedì 26 febbraio dal capo supremo dei Talebani, il mullah Mohammad Omar: «Sulla base delle consultazioni giuridiche condotte dall’Emirato islamico dell’Afghanistan, del verdetto degli ulema (i teologi musulmani) e della sentenza della Corte suprema afgana, tutte le statue presenti sul territorio del Paese dovranno essere distrutte. Le statue sono state utilizzate come idoli e divinità dagli infedeli che le adoravano. Oggi queste immagini sono ancora rispettate e potrebbero tornare ad essere idolatrate, quando invece solo a Dio, l’onnipotente, spetta la venerazione, mentre ogni falsa divinità va distrutta e cancellata. L’Emirato islamico dell’Afghanistan ha quindi incaricato il Ministero per la promozione della virtù e la lotta al vizio e il Ministero della cultura e dell’informazione di applicare la decisione dei religiosi e della Corte suprema e distruggere quindi ogni statua, in modo che nessuno, in futuro, possa rendere loro né culto né rispetto».
• Una fatwa è una specie di editto che però impegna solo chi la pronuncia. Nell’Islam non c’è un’autorità centrale a cui la comunità dei credenti sia tenuta ad obbedire. La fatwa del mullah Omar non ha quindi alcuna legittimità dottrinaria o teologica, perché non ha nessun fondamento coranico.
• «Visto che la religione sa difendersi benissimo da sola, viene danneggiata di più se mal difesa piuttosto che se non viene affatto difesa» (Montesquieu citando il filosofo arabo-andaluso Averroè).
• Quadratullah Jamal, ministro per l’informazione dei Talebani: «Nessuna statua sarà risparmiata, nemmeno i Buddha di Bamiyan. La testa e le gambe sono già state distrutte, i nostri soldati stanno lavorando duramente per buttarli giù. Per le dozzine di idoli di legno e argilla distrutti a Herat, Ghazni e Kabul è stato più facile, non c’è mica voluta così tanta fatica».
• Lo scorso agosto è stato riaperto ciò che rimaneva del museo nazionale afgano di Kabul. Il pezzo più importante dell’esposizione era la stele di Rabotak, vecchia di circa duemila anni e importante testimonianza dell’impero Kushan. La lastra calcarea, larga circa un metro e mezzo, porta iscritto l’ordine regale di costruire santuari a divinità buddiste, hindu e zoroastriane, testimoniando dell’antica tolleranza religiosa afgana. Naqibullah Ahmad Yarn, il presidente talebano del museo: «L’ideologia non c’entra niente, è una questione di storia e di cultura e di come queste hanno influenzato il nostro Paese. Non ci opponiamo a quest’esposizione perché è parte della nostra storia».
• I Buddha di Bamiyan, 230 chilometri dalla capitale Kabul, vennero scolpiti in una falesia rosa tra il II e il IV secolo dC: il grande misura 50 metri (il più alto al mondo) e il piccolo 35. Principale esempio dell’arte ellenistico-orientale, sono le più antiche e preziose statue afgane.
• Le carovane che percorrevano la Via della Seta, via di commercio tra Impero romano, Cina e India, attraversavano l’Afghanistan centrale. Uno dei punti di sosta delle carovane era nel regno di Kushan, durante il quale vennero realizzati i due Buddha. Le due statue di Bamiyan prendono il nome dalla città costruita attorno. Il più grande era rosso e il piccolo blu, entrambi avevano il volto dipinto d’oro. Le due figure erano una sintesi di stili: greco, persiano, dell’Asia centrale e meridionale. Le pareti rocciose erano riccamente affrescate: in una caverna ci sono i resti di un dipinto che raffigura Buddha vestito di marrone che vaga in un campo di fiori. In un altro dei cavalli bianchi tirano il carro dorato del dio sole in un cielo blu scuro. Nelle pareti di roccia erano scavate 750 cappelle che custodivano statue e dipinti. Bamiyan e i suoi dieci monasteri buddisti furono meta di pellegrinaggi fino a quando, 14 secoli fa, l’Islam arrivò nella regione dell’Hindu Kush.
• Il volto dei due grandi Buddha è stato sicuramente distrutto con l’avvento dell’Islam, più di dodici secoli fa. Le gambe, invece, saltarono nel XVIII secolo per colpa dei cannoni di Nadir Shah, della tribù Afshar, scià dell’Iran dal 1736 al 1747.
• Negli anni ’60 a Bamiyan si incontravano le carovane di hippy dirette a Katmandu. Dopo la guerra civile seguita all’invasione sovietica, l’area divenne la roccaforte di Hezb-i-Whadat, la principale fazione dei musulmani Shi’a, membri dell’Alleanza del nord nemica dei Talebani. I guerriglieri di Hezb-i-Whadat usarono il sito come deposito di munizioni e ricovero per gli sfollati. Quando, nel ’97-98 i Talebani li cacciarono, promisero che non avrebbero danneggiato i reperti archeologici. Al posto di affreschi e statue, gli studenti di teologia immagazzinarono «in una sala, armi automatiche e razzi, in un’altra mine anticarro di fabbricazione iraniana, statunitense e italiana, nuove di zecca, detonatori per mortai, pericolosamente confusi con mine antiuomo russe, pakistane e cinesi».
• Il sito archeologico di Hadda era protetto dall’esercito: con l’inizio della guerra civile la guarnigione venne ritirata, il sito e il piccolo museo archeologico di Jelalabad furono distrutti e saccheggiati. Le più belle teste che vi erano esposte finirono sul mercato dell’arte. Il Metropolitan Museum di New York, che si è offerto di comprare i buddha di Bamiyan, ne espone una e non ha nessuna intenzione di restituirla.
• «Sono contento che i Taliban sparino cannonate alle statue. Ebbene sì, sono contento, perché quei criminali da anni stanno compiendo le più grandi efferatezze (la settimana scorsa la lapidazione di due cosiddette ”adultere”, ed è solo un caso fra tanti) sotto lo sguardo sostanzialmente indifferente del mondo. Ora invece per le cannonate alle statue, si muove qualche organismo internazionale, i giornali dedicano pagine intere» (il lettore Carlo Molinaro di Torino a la Repubblica).
• «Ho impiegato un po’ per capire perché quei bambini sembravano tanto strani. Poi ho capito: erano blu. In vita mia ne avevo visti di neri, di gialli, di mulatti, ma mai blu. E invece, nel campo di Mazar-I-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, erano tutti così. stata la mia guida a spiegarmi il perché di quel colore: quei bambini non mangiavano, non avevano la forza di reagire al freddo. Stavano morendo congelati» (il volontario Onu Mayson Melek).
• In Pakistan ci sono un milione e 200 mila rifugiati afgani, un milione e 500 mila in Iran. A causa della siccità e dell’ultimo inverno particolarmente rigido sono fuggiti in Pakistan 170 mila afgani e aumentano al ritmo di 700 al giorno.