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 1999  agosto 02 Lunedì calendario

Il grossista che riforniva il gioielliere di Maderno (Brescia) ucciso dai rapinatori martedì 27 luglio: «Il nostro è un lavoro di merda

• Il grossista che riforniva il gioielliere di Maderno (Brescia) ucciso dai rapinatori martedì 27 luglio: «Il nostro è un lavoro di merda. Non siamo tutelati da nessuno. Le assicurazioni ci oppongono mille cavilli per risarcire i danni delle rapine. Sapevo della pistola e sapevo anche che non l’avrebbe mai usata».
• Il parroco di Maderno: «In paese c’è angoscia, c’è paura. C’è gente che mi ha fermato dicendo di stare attento, quando nelle prediche parlo di perdono».
• Marco Giovannini, titolare di un ristorante vicino alla gioielleria di Maderno (una quindicina di anni fa, durante un rapina, allontanò i banditi sparando): «Io lavoro notte e giorno per la mia famiglia e se uno viene da me e mi dice dammi tutto, io non capisco, ho una calibro 38...».
• I commercianti che tengono una pistola in negozio non scoraggiano i criminali. Sergio Billè, presidente della Confcommercio: «La tendenza ad armarsi è molto pericolosa. Ricordiamoci che il gioielliere aveva estratto la sua arma. Solo che lui non era un professionista, mentre l’assassino sì. Non possiamo trasformarci in giustizieri. Milano non può diventare il Far West». Eppure i commercianti si sentono più sicuri con la pistola. «In America hanno dato le armi a tutti. Si è visto come è andata a finire: le pistole sono entrate anche nelle scuole. Alla nostra tutela dovrebbe pensarci qualcun altro».
• Ernesto Hausmann, presidente della federazione romana degli orafi: «Se ci sono tante rapine vuol dire che c’è tanta gente disposta ad acquistare la refurtiva e a rivenderla. Allora cominciamo a colpire con la stessa severità chi rende possibile questo mercato parallelo. Per i ricettatori ora sono previste pene irrisorie, ma se si stabilissero per loro gli stessi anni di carcere sanciti per rapine e furti molte cose cambierebbero. E poi ci sono i ricettatori autorizzati per legge ...». A chi si riferisce? «Ai monti dei pegni, gestiti dalle banche. Chiunque può depositare un oggetto prezioso ed avere in cambio una polizza che poi viene tranquillamente rivenduta».
• Tra breve i Carabinieri saranno dotati del Key-defender, già usato dalla polizia in parecchi stati americani: si tratta di un contenitore cilindrico di pochi centimetri, agganciabile al portachiavi, capace di sparare fino a sette metri di distanza un getto di olio irritante che nel giro di 4 secondi provoca difficoltà di respirazione e cecità quasi completa per 35-40 minuti.
• «Per risolvere i problemi del carcere si adotta da anni una soluzione scolastica: chi disturba fuori! Ma le carceri sono state inventate perché chi disturba rimanga dentro».
• In galera ci vanno solo gli sfigati. «Non solo chi esce dal carcere non viene controllato (abbiamo in tutto 36 assistenti sociali e 5 volontari per il reinserimento nel lavoro) ma grazie all’astrattezza di leggi come la Simeone, persone condannate a pene fino a tre, quattro anni finiscono in prigione solo per ”eventualità” [...] La legge prevede che l’ordine di custodia non solo sia notificato ma venga consegnato nelle stesse mani dell’interessato in modo da essere sicuri che l’interessato possa fare la domanda di affidamento. una norma astratta e ipergarantista. Risultato? A parte qualche sfigato rintracciato in casa o sorpreso a un posto di blocco, gli altri sono tutti in giro» (Gerardo D’Ambrosio, procuratore capo Milano, a Chiara Beria di Argentine).
• «In carcere entra sì e no un terzo dei condannati e ci rimane appena un decimo. A fronte di cinquantamila detenuti reclusi, ce ne sono 26 mila e rotti in affidamento al servizio sociale, 3200 in semilibertà, 750 al lavoro esterno, 1200 in semidetenzione, 1800 in libertà vigilata, 4800 agli arresti domicilari».
• L’onorevole Alberto Simeone difende la sua legge: «Sotto l’impero del vecchio dettato chi aveva abbastanza soldi da permettersi una difesa adeguata riusciva a presentare l’istanza di scarcerazione nel momento giusto. I poveri cristi, quelli che non potevano permettersi i migliori studi legali, finivano per presentare le richieste sempre troppo presto o troppo tardi e rimanevano dentro. Il sistema introdotto con la mia legge garantisce invece l’eguaglianza del trattamento». A quanto appare in questi giorni, però, permette persino di compiere rapine. «Il problema non è la legge. La legge prevede l’assunzione di 750 assistenti sociali, di educatori. Il governo non ha provveduto e ora ci troviamo di fronte ai risultati della sua inadempienza».
• Pietro Cavallero, rapinatore negli anni Sessanta. Quante rapine ha fatto? «Non ho tenuto il conto, comunque tra banche e oreficerie e uffici postali almeno novanta o cento». Oggi sparano addosso alla gente, uccidono, che cosa è cambiato? «Tutto è cambiato. Davvero tutto. Noi facevamo un lavoro». Facevamo un lavoro è una bella frase. Ma è il lavoro che non è bello. Perché lei non uccideva e loro invece uccidono. «Vi sembrerà strano, assurdo, ma eravate tutelati, negli anni Sessanta e Settanta, prima del terrorismo, da quella che chiamavate Malavita». Referenze delinquenziali? «Certo. Ricordo un ragazzo che era un ottimo meccanico e ottimo autista. Lo provammo. Facemmo due finti colpi. Però quando lo lasciavamo solo perdeva la testa, scendeva dalla macchina, guardava dentro la banca. Bocciato». Non facciamo retorica noir. Dove sta la differenza fra un errore o una follia come quella di Panizzari e Cavallero e macelli come quelli di adesso a Milano e Brescia? «Io non faccio retorica. Dico che quelli furono episodi di forsennati. La differenza era che allora c’era la mala. La mala era un calmiere». Il calmiere d’onore? «Codici d’onore questa minc... Realtà, semplicemente. Quando uno aveva la fama del grilletto facile, di paranoie varie era finito. Sai chi ci faceva paura? Quelli che durante la strada ridevano troppo. O erano fessi o erano fatti di coca o avevano bevuto. Giù. Cambiare cavallo».
• Tra gli arrestati della ”banda dei kalashnikov” (assaltarono con armi da guerra un furgone portavalori a Milano), Francesco Gorla (ex terrorista rosso) e la sua fidanzata Francesca Sanvittore, assessore dei verdi al Comune di Cusano Milanino. Lei, 37 anni, capelli rossi, miope, appassionata di letture new-age, nega di essere stata complice del rapinatore: «Ci siamo conosciuti per caso in un bar di Milano. Per lungo tempo, non mi sono assolutamente resa conto di chi avevo di fronte: mi aveva detto di chiamarsi Ezio Ieluzzi. La sua vera identità l’ho scoperta per caso guardando le sue carte [...] Gli rinfacciavo di continuo i suoi tradimenti, le sue bugie. Ho tentato più volte di lasciarlo ma non ce l’ho mai fatta». La madre di Rita Sanvittore: «Rita non sapeva niente, altrimenti me l’avrebbe detto e Francesco a casa non sarebbe più entrato. Noi l’abbiamo accolto bene, fin dal primo giorno. Per lui c’era sempre un piatto di minestra calda. Lo trattavamo come uno di famiglia». I due frequentavano una libreria specializzata in spiritualità ed esoterismo dove lei era stata commessa. Il titolare, che conosceva la vera identità del terrorista: «Quando Francesco arrivò qui sembrava molto cambiato. Si era già rasato a zero, e il suo atteggiamento sembrava quello del convertito, quello che voleva rinascere. Era vegetariano in modo molto rigido, e fu quella la prima affinità che trovò con Rita. Poi credo che in lei sia scattata una specia di vocazione messianica, la voglia di recuperarlo».
• I genitori dei bambini violentati dalla banda di pedofili di Torre Annunziata: «Siamo stracontenti. E ne abbiamo il diritto. Quella gente ci ha rovinato la vita. A noi, ma soprattutto ai nostri figli. Siamo persone che credono ancora nella legge italiana, anche se si tratta di quella stessa legge che ha permesso ai pedofili di tornare a casa pure se erano stati condannati. Invece era in galera che dovevano restare. Almeno ancora per parecchio tempo. Così prima di essere ammazzati soffrivano pure perché stavano in carcere. Abbiamo scritto a tutti: al Presidente della Repubblica, al ministro dell’Interno, a un altro ministro che non mi ricordo più qual è. Sapete chi ci ha risposto? Nessuno. Da nessuno abbiamo ricevuto un appoggio, un segnale di solidarietà. Solo dal parroco».
• Don Francesco Gallo, parroco del quartiere dove è avvenuta l’esecuzione dei due pedofili, dice che è colpa dei magistrati: «La responsabilità morale è loro: è secondario se siano stati i genitori dei bambini a farsi giustizia con le proprie mani o si siano rivolti alla Camorra, o la Camorra sia intervenuta per una sua immagine nella città o per altri interessi. Se tu dichiari uno colpevole e gli dai 15 anni di galera, non puoi metterlo fuori il giorno dopo». La legge questo prevede, fino a sentenza definitiva... « una legge stupida, che va modificata. Una persona riconosciuta colpevole deve stare in carcere, non vicina di casa alle sue vittime. Noi normali cittadini non capiamo, rimaniamo allibiti. Ho sentito parlare di riunioni, feste varie e banchetti, dopo la scarcerazione... Quando questi qui sono stati liberati, ho avuto una gran paura. Mi meraviglio soltanto che non li abbiano uccisi prima».
• Amato Lamberti, presidente della Provincia di Napoli: «Non sarebbe la prima volta. La camorra spesso si erge a giustiziere per legittimarsi e legittimare il proprio potere sul territorio. Ricordo che alcuni anni fa venne uccisa una bambina. La polizia catturò un uomo che poi venne rimesso in libertà. La camorra lo uccise e fu Cutolo in persona a rivendicarne l’esecuzione».