Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 17 ottobre 2004
Nella povera Europa di Tremaglia i culattoni sono millenni che tramano, corrompono, sodomizzano e stuprano fanciulli
• Nella povera Europa di Tremaglia i culattoni sono millenni che tramano, corrompono, sodomizzano e stuprano fanciulli. Magari guidati nei secoli dal perverso disegno di diventare maggioranza e fare infine lo sgambetto a Buttiglione.
Ci sono libri che sostengono per lunghe pagine che il nazismo è stato soltanto una congiura ordita dai froci, contro gli ebrei.
C’è ancora chi legge la storia attraverso la lente deformante della congiura, del patto segreto e scellerato. Nell’ombra, malvagi e melliflui come satanassi, si muovono di volta in volta gay, ebrei, massoni.
Le parole con le quali, nel corso dei secoli, è stata definita l’omosessualità sono praticamente infinite. Sui libri si trova come degenerazione, deviazione, inversione, perversione, similsessualismo, uranismo, unisessualità, amore cavalleresco, amore cameratesco, omotropìa, omofilìa, isofilia, insanità morale, parisessualità, omosessualità, terzo sesso, intersessuale. Ma fuori dai libri erano soprattutto froci, ricchioni, garrusi, busoni, invertiti, finocchi, culi e via via scendendo.
Così più del culattone tremagliano, meraviglia la teoria del ministro secondo la quale a mandare a casa Buttiglione ci debba per forza essere una potente lobby gay, e non possa essere la bocciatura il frutto di una presa di posizione asessuata, laica.
A avere il coraggio della banalità forse si potrebbe limitare l’omosessualità a una pura affermazione di insindacabili gusti sessuali. Una semplificazione, salutare però per lavare via tutti i luoghi comuni e le categorie mentali che vengono attribuite ai gay.
L’oscura lobby omosessuale che in Europa è ora maggioranza, diventa così solo l’ultimo capitolo di un libro di mille e mille pagine. Fatto sta che se da qualche parte tocca cominciare quella è inevitabilemnte la Grecia Antica. Culla di civiltà, ma anche letto di grandi amori senza donne. De Crescenzo lo spiegò anche a Bossi: «Quando i tuoi antenati celtici erano ancora barbari aggrappati ai rami, i miei erano già froci».
Sul banco degli esempi non c’è neanche più bisogno di snocciolare l’amore epico del pelide Achille per il cuginetto Patroclo perché è cosa nota a molti (produttori hollywoodiani e vecchie maestre bigotte escluse). Sbandierare poi quel rito pederasta dell’erastès (l’adulto amante) che insegna i segreti del buon vivere all’eròmenos (l’amato, il ragazzo) di primo pelo suona ormai quasi come una vecchia storiella priva di avventura.
Bene si farebbe, invece, a fare un salto un po’ più originale sulla piana di Cheronea, in Beozia, in data 338 avanti Cristo. Così, giusto per sfatare il numero uno dei luoghi comuni che vuole gli invertiti poco avvezzi all’etero coraggio che ispira le gesta più maschie della storia. In questa piana che fu il teatro dello scontro tra l’esercito macedone e quello composto da ateniesi e tebani, come oggi nel Parlamento di Bruxelles, c’era una schiacciante maggioranza di culattoni. Si chiamavano ”Battaglione Sacro di Tebe”, erano in 300. O meglio 150 coppie di valorosi, giovani e bei soldati. Il corpo di élite di tutto l’esercito greco, messo lì a difendere il terreno e a coprire la retromarcia del resto delle truppe. Si erano giurati amore e fedeltà e per niente al mondo avrebbero dato le spalle al nemico per la vile ritirata. Morirono tutti. Nessuno con una ferita alla schiena. Nemmeno provarono a darsi alla fuga. Il battaglione degli amanti rispettò quel patto. Plutarco ci dice che a mettere sù l’eroica compagnia fu Gorgidas. Perché un gruppo tenuto insieme dall’amicizia e dall’amore non si spezzerà mai. Perché gli amanti, anche solo per la vergogna di apparire vigliacchi agli occhi degli amati, non avranno mai paura di correre incontro al pericolo. Tant’è che Alessandro, figlio di Filippo e comandante dell’esercito macedone a Cheronea si commosse di fronte a quei 300 cadaveri culattoni. Lo raccontò al padre che con piglio regale epigrafò: «Muoia chiunque sospetti che questi uomini possano aver fatto o subito qualcosa di vile». A Cheronea oggi c’è un grosso leone di pietra che ricorda la milizia più omosessuale e meno frocia della storia. Chissà se lo sapeva l’ammiraglio Nelson quando con lucidità affermava: «Non ho niente contro la sodomia, se non altro aumenta l’autonomia della mia flotta».
• Romani gay, ma con giudizio. Tanto i greci teorizzarono sull’amore virile quanto i romani lo praticarono con ardore e assiduità, giudicandolo con il consueto pragmatismo. E escludendo ogni impianto pedagogico. Il costume dei greci non trova di fatto nella Roma Antica particolari repressioni o pregiudizi, se non in qualche caso. In effetti nel corso dei secoli la materia fu oggetto di diverse leggi. In linea di massima sui sette colli il rapporto omosessuale rientra nella categoria dello stuprum, ovvero era illecito. Come lo era fornicare con una vergine o con una vedova. La ragion di Stato salvaguardava la famiglia classica, però chi voleva togliersi qualche sfizio con uno schiavo tenerello ne aveva piena facoltà. E nessuna sanzione era prevista. Pure Trimalcione per quattordici anni, prima di diventare liberto, aveva sollazzato il suo padrone. Petronio gli fa dire: «Non è mai turpe dare al proprio signore ciò che chiede». Altra pratica comune del buon pater familias era procurare al giovane e timido primogenito adolescente un servetto per le sue prime esperienze. Sul fronte delle mogli vale quello che sappiamo da Marziale. La consorte riservava la sua gelosia solo verso le scappatelle etero del marito, chiudendo occhi e cuore verso le avventure omoaffettive: «Mio marito può andare con tutti i ragazzetti che egli vuole, ma se lo vedo con un’altra gli cavo i denti».
Di fatto, innumerevoli leggi ci danno un quadro sufficientemente chiaro di quello che era l’atteggiamento nei confronti della gaiezza. Si poteva praticare. Il limite, severo, era fissato dal bene pubblico e dall’idea del tempo di dignità e onore. Per esempio, i maschi che esercitavano la prostituzione perdevano i diritti politici, non perché froci, ma perché vendevano il prorio corpo. Allo stesso modo, in genere, non si reprimeva l’omosessualità in sè, ma il rapporto sessuale tra maschi compiuto con violenza o sopraffazione. Insomma, erano i modi a costituire reato, non l’atto in sè per sè.
Ovviamente chi esibiva modi troppo effeminati veniva preso ferocemente in giro. Che fosse un garzone o il potente Giulio Cesare in realtà poco cambiava. C’era sempre la retorica affilata di qualche ben pensante pronta a farlo a fettine. Ma oltre, in genere, non si andava. Il ricco che celebrava le sue nozze farsesche con lo schiavo preferito suscitava ilarità, magari sdegno, ma non offendeva alcun dio. Sù, nell’Olimpo, in questo campo non c’era nessuno che dava il buon esempio. Per vedere perseguitati con passione e costanza i culattoni bisogna aspettare i monoteisti.
• E un dio (solo) creò il peccato. Il primo a pronunciarsi sull’argomento fu sant’Agostino: «I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli dei sodomiti, vanno puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomin li commettesero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina. Dio infatti non ha creato gli uomini affinché facessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere tra Dio e noi a venire violata». Se non fosse chiaro, finisce così la pacchia dell’antichità dove il sesso non ha necessariamente un corrispettivo e solo quello. Inizia un’altra storia. Con questa cambia anche il lessico. Fuori Omero e il suo amore eroico, via l’amicizia virile, la pedagogia senza castità e il piacere per amore della vita. Al loro posto arriva un Dio, sembrerebbe più cattivo e permaloso di quello di adesso. Per non irritarlo, san Gregorio nel VI secolo ravvisa nello zolfo il materiale migliore per pulire le offese che arrecava la sodomia. Ci arriva per similitudine. Sodoma era stata rasa al suolo dal Signore con la pioggia di fuoco e zolfo. Era dunque giusto conservare questa tradizione per tutti gli omopeccatori. Col tempo, l’avversione della Chiesa verso l’amore invertito fu costante. Per san Tommaso era equiparabile soltanto al cannibalismo, più pesante ancora ci va santa Caterina da Siena secondo la quale è un vizio che ripugna persino i demoni. La sodomia rimarrà in testa all’hit parade dell’infamia fino al 1910, quando a scalzarala dalla vetta nel catechismo del pontefice Pio X è l’omicidio volontario.
Impiccati, bruciati vivi, incarcerati, in Olanda anche affogati, e con loro, se non bastasse, sparivano il più delle volte anche le carte dei processi che li riguardavano. Del nefando crimine non doveva rimanere nulla. C’è da dire che spesso l’accusa di sodomia era così comoda e così facile da fare confessare con i rudi metodi dell’epoca da essere usata strumentalmente. Affibbiare all’avversario l’etichetta di sporco sodomita significava molte volte liberarsene e vederlo ardere poco dopo su una catasta di legno. La pederastia divenne il crimine di coloro ai quali nessun crimine poteva essere imputato.
• Quando i gay dipingevano cappelle. La morsa religiosa non è però sempre stretta. Nel Rinascimento italiano, a esempio, molti furono i personaggi famosi che ebbero amanti maschi. Subirono processi certo, ma sul rogo almeno non finirono. In ogni caso essere ricchi, celebri, e magari artisti molto apprezzati dalla curia rendeva le pene miti. L’età che colorò di capolavori chiese e basiliche delle città italiane fu anche il pretesto per fare tornare in auge qualcosa di simile al rapporto mentore discepolo dell’antica Grecia. Nelle botteghe d’arte spesso si consumavano amplessi vietati. I modelli amati finivano spesso sulle tele degli artisti amanti. Altrettano spesso queste storie diventavano poi dispute in qualche aula di tribunale. I verdetti però non erano scontati. Celebre a esempio il processo che sul finire del Quattrocento coinvolse tutto il laboratorio del Verrocchio, nel quale faceva pratica anche il giovane Leonardo da Vinci. L’accusa era chiara e circostanziata. Chi più chi meno avevano tutti approfittato delle grazie del giovanissimo garzone di bottega, quello addetto a miscelare colori, sbrigare faccende e pulire per terra. Dopo il dibattimento il giudice espresse l’ineffabile decisione: assoluzione per tutti tranne che uno, il piccolo mozzo. Ma le cronache riservano anche altro. Benvenuto Cellini partecipò a una festa che più che altro era un concorso di bellezza dove tutti gli invitati dovevano portar con sé la loro amante più bella per sottoporla al giudizio degli altri. Lui non solo vinse, ma sorprese tutti spogliando la sua compagna e svelando, solo a vittoria in pugno, che trattavasi di un bel giovinetto. Questi suoi appetiti lo portarono sul banco degli imputati più volte. Per sodomia venne anche condannato a pagare sanzioni e a trascorrere un soggiorno in gattabuia.
Nel Seicento uno scandalo ancora più grosso coinvolse, seppure in via indiretta, Gian Lorenzo Bernini, costretto a tornare a Roma dalla Francia in fretta e furia per salvare il fratello beccato mentre fornicava con un chirichetto in pieno giorno dietro una statua del Campidoglio. Curiosamente di lì a qualche decennio i viaggiatori da tutta Europa iniziarono a arrivare in Italia proprio per l’amore di qualche ragazzetto. La meta preferita era di sicuro Capri. Ma Taormina, la costiera amalfitana e tutto il Sud più pittoresco esercitavano un fascino particolare su quei viaggiatori intrisi di spirito romantico.
• Italians do it better. «Felice Italia! Felice Sicilia! Anche qui ci sono, come altrove, imbecilli che vorrebbero nuocere, ma raramente ne hanno la possibilità. Poiché il modo di considerare queste faccende è questione di intelligenza, il popolo italiano che è il più intelligente della terra le considera nel più indulgente dei modi, rendendosi inoltre conto del fatto che, per tutto il corso della sua storia, sono stati i nomi più gloriosi a inserirsi in una tradizione ereditata dalla Grecia che invano si cerca di rendere infamante: può darsi che essa non sia incompatibile con l’infamia, ma infine non lo è neppure con la gloria». Queste righe di Roger Peyrefitte ci svelano la fama di cui godeva il Belpaese. A Capri cercò rifugio Oscar Wilde, dopo essere uscito dalle galere britanniche. Purtroppo il suo soggiorno fu interrotto dalle proteste della piccola comunità britannica dell’isola che malvedeva la presenza di un pederasta così ingombrante. Il magnate tedesco Krupp era un ospite fisso dell’isola dei faraglioni. All’inizio del Novecento si suicidò in Germania dopo che la stampa socialista italiana, ripresa dai fogli tedeschi, svelò con piccanti dettagli le orgie che l’industriale organizzava nelle grotte e sul suo yacht.
L’Italia rappresentava in quegli anni un buen retiro per i pederasti di tutta Europa. Intanto mancavano di fatto vere e proprie leggi repressive perché il nuovo Stato laico e liberale ereditava in parte il codice napoleonico, e volentieri lasciava vigilare sull’argomento solo i preti. Inoltre da noi i giovanotti (e i loro genitori) disposti a compiacere qualche riccone erano numerosi. Questo in sostanza ci rendeva sorprendentemente la prima meta del turismo sessuale.
Nel frattempo c’è un altro fondamentale passaggio. Ancora una volta cambiano le parole per dirlo. Dal peccato l’attenzione si concentra sul peccatore. La sodomia lascia il posto all’omosessuale. L’atto, un tempo era infame, ma incidentale. Ora basta averlo praticato una sola volta per entrare per sempre nella categoria. Si diventa diversi.
Dell’omosessualità non si rende più conto soltanto a Dio. Il peccato diventa scandalo e come tale coinvolge anche la politica e i giornali. I culattoni nel 1909 fanno dimettere il sindaco di Milano. Accade tutto all’improvviso, in primavera. Il Corriere della Sera sbatte in prima pagina il corpo dei pompieri, vanto della città. L’accusa è la più vergognosa: valorosi militi fanno marchette. Dentro la caserma si incontrano con gentiluomini danarosi e viziosi. In cambio ricevono gioielli e abiti vistosi. La storia la spiffera un gigolò invidioso, escluso dal piatto ricco. ll marchese Ettore Ponti, che guida la giunta meneghina, cerca di gettare acqua sul fuoco, ma i suoi pompieri non lo possono aiutare.
Sull’orlo del Novecento conviene fermarsi. In questo secolo si apre un tetro abisso su cui non ci si può solo affacciare e un ventaglio di belle conquiste che sono ancora in corso.
La fine della storia comunque ce l’hanno raccontata. A poco sono serviti roghi e persecuzioni. I culattoni hanno vinto, sono la maggioranza. E si possono permettere di bocciare persino un ministro Buttiglione.
• o BARDASCIA
Termine comunissimo nei documenti del passato e ormai in disuso. Deriva dall’arabo bardag, giovane schiavo, che a sua volta deriva dal persiano hardah, schiavo. Nell’italiano antico definiva l’omosessuale che si lascia penetrare e, qualche volta, un prostituto. Particolare curioso: veniva usato al genere femminile (una bardassa, cioè un sodomita passivo). Oggi significa monello, ragazzo scapestrato, più raramente si usa per indicare una prostituta.
• o BUZZARONE
Molto usato prima dell’Ottocento. Oggi ne è rimasta una traccia solo nel verbo buggerare, che in passato significava sodomizzare (come inculare, che si usa per ingannare). Deriva dal bu(l)garo (da cui anche il francese boulgre/bougre e l’inglese bugger). Indicava l’opposto di bardascia, ossia il sodomita attivo. L’origine della parola risale alla sètta eretica bulgara dei càtari o albigensi che, nel XIII secolo, fu accusata dalla chiesa di darsi, fra le altre scelleratezze, alla sodomia. Da allora bulgaro servì per definire tanto gli eretici in genere che i sodomiti. Col passare del tempo, però, rimase solo il secondo significato. Nel corso dei secoli buggerone è stato adattato a vari dialetti italiani: lombardo bolgiròn, veneto buzeròn e buzaron, siciliano buzzarrùni ecc.
• Ossia omosessuale effeminato. Deriva da un diminutivo di Francesca tuttora diffuso in molte zone d’Italia. L’uso di un vezzeggiativo femminile riferito a un uomo ha un intento chiaramente offensivo. Checca ha paralleli in altre lingue: nell’antico inglese Nelly e Mary-Ann, nello spagnolo odierno marica (da Maria). Il termine è molto usato nel Lazio e in Lombardia, ma anche nel resto d’Italia. Oggi comprende almeno tre significati leggermente diversi: omosessuale effeminato, in senso spregiativo; omosessuale in genere, ancora in senso spregiativo; omosessuale (senza significato spregiativo) tipico del gergo gay. alla base di numerose espressioni composte (tra le più note: checca fatua, fracica, isterica, manifesta, marcia, onnivora, pazza, persa, sfatta o sfranta, storica, velata) o ancora di termini composti (chierichecca, ossia omosessuale bigotto).
• Di origine indoeuropea, la parola è entrata nella nostra lingua attraverso il latino culum che significa deretano fin dal 1300. Nel nord Italia culo, ma anche l’accrescitivo culattone, indica il gay, con l’uso di una sineddoche (si nomina una parte, in questo caso il culo, per il tutto, cioè l’omosessuale). Oppure possiamo definirlo una metonimia: figura retorica che consiste nell’usare invece del termine che gli sarebbe più proprio, un altro che, comunque, ha con il primo un riferimento logico. Perciò, invece di parlare di un uomo che usa l’ano nei suoi rapporti sessuali, si parla direttamente del suo organo: il culo, appunto.
• CUPIO. Dal latino medievale cupa, botticella, recipiente (che sopravvive anche nell’italiano semicupio, la tipica vasca da bagno in cui ci si lava solo seduti). termine dialettale piemontese per omosessuale. In napoletano vasetto, toscano buco e bucaiolo, emiliano busone.
• L’uso nel senso di ”omosessuale” è recente. In nessun documento è presente prima del 1863, quando apparve nel dizionario del Fanfani. Di origine toscana, si è diffuso dopo l’Unità nel resto d’Italia. Diverse e incerte le ipotesi sull’etimologia: c’è chi propone fenor culi (in latino: vendita del culo), chi lo ricollega all’ortaggio omonimo, perché ha il gambo vuoto, perché i finocchi ”maschi” sono più gustosi di quelli ”femmine”, o perché il finocchio è pianta agametica, cioè che si riproduce senza essere impollinata, e quindi non ha bisogno dell’altro sesso. La proposta di etimologia più comune ricollega i finocchi ai roghi medievali. Per coprire l’odore di carne bruciata sarebbe stato costume usare legno di ferula (quello spugnoso prodotto dalle piante di finocchio selvatico), oppure fasci di finocchi buttati nel fuoco. L’etimologia più corretta però è quella che mette in relazione il significato odierno di finocchio con quello che la parola aveva nel medioevo, e cioè ”persona dappoco, infida”, ”uomo spregevole”.
• o FROSCIO. Nasce come parola dialettale romanesca. Numerose le etimologie proposte: da ”feroci”, epiteto lanciato contro i lanzichenecchi che misero a sacco Roma nel 1527 e che nella loro furia stuprarono indistintamente uomini e donne; da una non meglio identificata ”fontana delle froge” (narici) presso cui anticamente si sarebbero riuniti gli omosessuali romani; da floscio (a sua volta dallo spagnolo flojo) che indicherebbe sia l’incapacità dei froci a averlo ”tosto” con le donne, sia la loro mollezza. In generale, l’etimologia più diffusa mette in relazione con frocio/froscio i perversi costumi (sessuali e non) dei lanzichenecchi del papa, che fra l’altro sarebbero stati spesso e volentieri ubriachi, e avevano quindi le ”froge” (narici) del naso rosse e gonfie.
• Gay. Già usato con il significato corrente negli ambienti omosessuali americani fin dagli anni Venti, è diventato il favorito solo dopo il 28 giugno del ’69 con una chiara intenzione rivoluzionaria. Probabilmente viene dall’antico germanico gàhi (impetuoso), e prima ancora dal provenzale gai (sù di spirito), mentre nessuno ha ancora pensato a studiarne i rapporti con il latino Caius (o Gaius), che era anche il prenome di Gaius Iulius Caesar, cioè Giulio Cesare. Gaius era anche il nome di un uccello, la ghiandaia, mentre dal femminile Gaia viene la nostra gazza. Da iscrizioni bilingui, poi, si deduce che il latino Gaius era tradotto nell’etrusco Vel, ridiventato il latino-tardo Voltur (e il francese Vautour), cioè sparviero, avvoltoio.
• Il termine nasce nel 1878 per iniziativa di Arrigo Tamassìa, che cercava un corrispondente del tedesco Conträrsexuale (tradotto da qualcuno come sessual-contrario o contrarsessuale). Gli scienziati della fine dello scorso secolo ritenevano infatti che l’omosessualità fosse una condizione in cui nell’organismo di un determinato sesso si osserva un atteggiamento tipico dell’altro sesso, ovvero invertito, per l’appunto. Questo neologismo ebbe un tale successo che non solo sopravvive ancor oggi, seppure come termine sprezzante, ma è stato ripreso da altre lingue (per esempio in inglese invert, francese inverti, ecc.).
• Parola coniata nel 1869 da un militante omosessuale tedesco di origine ungherese, Karol Maria Benkert (o Kertbeny). Costui creò homosexuel da una non troppo elegante mescolanza greco-latina di òmoios, cioè affine, analogo e sexualis (che ha a che vedere col sesso) per indicare una persona che pur essendo in tutto uguale alle altre, è attratta da individui del suo stesso sesso. In questo neologismo, apparso in un pamphlet che chiedeva l’abolizione delle leggi antiomosessuali prussiane, e nella sua voluta ”asetticità” c’è un’intenzione polemica nei confronti del quasi coevo urnigo/uranista che invece sottendeva un’intrinseca differenza di chi, effeminato, amava persone del suo stesso sesso.
• o RICCHIONE. Di origine meridionale, si è poi diffuso al Nord e usato nel gergo della malavita, con forme come il veneto reciò, e il lombardo oreggia (leggi: urègia) e oregiat (uregiàtt). Oggi è anche italianizzato in orecchione. Due le etimologie più accreditate, ma entrambe dubbie. La prima allude alla proverbiale lussuria della lepre (animale dalle orecchie lunghe appunto) e alla circostanza, riferita dai bestiari dei primi secoli del cristianesimo, che la lepre cambierebbe sesso a volontà, simboleggiando così l’amore contro natura. La seconda si rifà alla fama di lussuria dell’hircus, cioè del caprone. In Calabria esiste un verbo, arricchià, che deriva da ad-hircare, andare verso, desiderare l’irco, cioè il caprone. Questo verbo si applica alla capra in calore che brama il caprone. Dunque l’arricchione non sarebbe un ”uomo che brama farsi montare da un maschio”.