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 2004  agosto 22 Domenica calendario

Biografia di Ferdinando IV di Borbone

• ritratti «Ferdinando era il più astuto, il più forte, il più falso, il più superstizioso, il più noncurante, il più indevoto uomo del suo regno, ciò che non è dir poco. Mezzo francese e mezzo spagnuolo, impastato d’Italiano, egli non seppe mai né il Francese, né lo Spagnuolo, né l’Italiano; egli non ha mai saputo e parlato che una lingua - quella dei lazzaroni del molo» (Alexandre Dumas, I Borboni di Napoli).
• i napoletani? in ottime mani «Ferdinando IV, fiacco d’animo e di mente, inesperto al governo de’ popoli, propenso a’ comodi ed a’ piaceri, spassionato di gloria e di regno, e perciò inchinevole a vita torpida e allegra. (...) La regina, che più del re governava, era femminile e annebbiata da bollenti passioni» (Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825)
• l’abito fa il sovrano Come spesso accade, l’aspetto di Re Ferdinando tradiva alcune delle sue caratteristiche morali e intellettuali. Tutt’altro che gradevole, il Re era alto e oltremodo magro. Aveva inoltre un difetto alle articolazioni delle ginocchia che lo costringeva a camminare barcollando, come se stesse continuamente per cadere. Quest’aria da fuscello al vento era storpiata dal grande naso che dominava il suo volto scavato e dalle spropositate dimensioni di polsi e caviglie, in tutto degni di un uomo di fatica e frutto della sua intensa attività venatoria.
• la Negazione di Dio Soprannomi dati dal popolo a Ferdinando IV: Re Fannullone, Re Lazzarone, Re Rozzo, Re Popolano, Re Nasone. Gli inglesi si limitarono a riferirsi a lui come alla «negazione di Dio».
• ode all’indolenza «Ferdinando sta in panciolle/ Sopra il letto con le molle./ Ha tre pulci sulla pancia/ Una balla, una vola/ L’altra spara la pistola» (sonetto composto dai napoletani e tramandato per celebrare la pigrizia di Ferdinando IV).
• chi si contenta... Il Re non pensava di doversi vergognare della propria indolenza. Ai suoi intimi soleva ripetere: «Che sia un letto o un giaciglio, è tutto bene quel che piglio!».
• troppa fatica firmare Raggiunta la maggiore età, nel 1767, Ferdinando avrebbe dovuto iniziare a occuparsi più da vicino degli affari pubblici. Atterrito dall’idea di lavorare, fece realizzare un timbro che consegnò immediatamente al ministro Tanucci, perché lo usasse sui documenti ufficiali su cui fosse richiesta la firma del Re, risparmiandosi così anche la fatica di apporla di suo pugno.
• vietati i calamai Il Re cercava di evitare di indire i consigli di Stato. Quando vi era proprio costretto, ordinava che nessuno portasse con sé i calamai. In questo modo, era certo che sarebbero durati poco, perché non sarebbe stato necessario aspettare che qualcuno verbalizzasse le decisioni prese.
• un precettore alla sua altezza Alla partenza del padre per la Spagna, il giovane Ferdinando venne affidato a un precettore, il principe di San Nicandro, descritto dai contemporanei come «uomo ignorante, il quale non occupavasi né di letteratura né di scienza. (...) Aveva l’anima più impura che abbia mai vegetato nel fango di Napoli: in preda ai vizi più vergognosi, non avendo letto altro libro al di fuor dell’Ufficio della Vergine, per la quale egli avea una particolar divozione, ciò che non gl’impediva d’insozzarsi negli stravizi e nella crapula» (Alexandre Dumas, I Borbone di Napoli).
• i due càntari di caltagirone Di ritorno da Palermo, nel 1806, il Re fece tappa a Caltagirone. Qui, il Primo Magistrato della città, dopo aver salutato la coppia reale così come prevedeva il cerimoniale, fece dono di opere dell’artigianato locale. Tra i regali, spiccavano due grandi e vistosi càntari (vale a dire, due vasi da notte), che i sovrani interpretarono (a ragione) come un invito a lasciare la città.
• Il lungo viaggio del re d’oro Nel 1784, Ferdinando e Maria Carolina intrapresero un viaggio che durò ben quattro mesi. Da Napoli, giunsero dapprima in Toscana (via mare, per non essere costretti a rendere omaggio al Papa transitando per le sue terre), poi a Milano, Torino e Genova, da dove partirono alla volta di Malta, per fare infine ritorno a Napoli. Per l’ostentato sfarzo che lo contraddistinse, questo viaggio valse a Ferdinando l’ennesimo soprannome: il Re d’Oro. In quattro mesi di «vacanza», infatti, la coppia reale spese ben 1 milione di ducati. Secondo le stima dei contemporanei, la cifra corrisponde esattamente a quella necessaria per la ricostruzione dei monumenti e delle opere distrutti dal rovinoso terremoto che aveva colpito parte del Regno nel 1783.
• più ne vede, meno ne sa «La mente del Re non migliorò alla vista di altri paesi e governi; non curando le costituzioni, le leggi, gli avanzamenti o decadenza degl’imperi, poiché in nessun luogo avea veduto le bellissime apparenze della sua Napoli, tornò più amante del proprio regno, più spregiatore degl’altrui» (Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825).
• Il re va a bottega (con la regina) «Era già marito e padre quando in Portici alzava bettola nel campo, e con vesti e arnesi da bettoliere ne faceva le veci, dispensando cibo e vino a poco prezzo, mentre i cortigiani, e talvolta la moglie simulavano della bettola i garzoni e la ostessa». «Più volte all’anno, dopo la pesca ne’ laghi di Patria e Fusàro, il Re vendeva il pesce serbando pratiche, aspetto e avarizia del pescivendolo» (Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825)
• conigli presi al volo Il padre di Ferdinando, re Carlo III, aveva una passione per la caccia ai conigli. Il principe di San Nicandro pensò fosse giusto trasmetterla anche al piccolo sovrano. Ma avendo Ferdinando appena 9 anni, e non potendo quindi imbracciare un fucile, il principe fu costretto a escogitare un sistema per farlo comunque cacciare. Consisteva nel radunare un gran numero di conigli e spaventarli per costringerli a fuggire verso un passaggio molto stretto, alla fine del quale, in agguato, il giovane sovrano poteva facilmente accopparli usando un semplice bastone.
• tre polli per una firma Il Re era solito passeggiare nei pressi della reggia vestito da militare o da semplice gentiluomo. Non riconoscendolo, una povera vedova lo avvicinò per chiedergli se avesse modo di far arrivare al Re una sua richiesta, che aveva a che fare con una causa che andava avanti ormai da tre anni. Ferdinando si propose di consegnarla personalmente al Re e diede appuntamento alla donna per il giorno seguente, non senza aver prima pattuito un compenso per il suo servigio: tre galli d’India. Il giorno seguente, la donna si presentò all’appuntamento con i galli e Ferdinando con la richiesta firmata dal Re. Lo scambio avvenne solo dopo che il sovrano ebbe controllato la buona salute dei galli. Giunto alla reggia, andò con gli animali in mano nella stanza di Maria Carolina e le disse: «Voi che dite sempre non essere io buono a nulla, vedete che so guadagnare il mio pane. Ecco tre polli d’India che m’han dato per una firma».
• sedici paia di guanti Ferdinando era legato da un grande affetto al fratello Don Filippo, che avrebbe dovuto essere sul trono al suo posto non fosse stato per la sua conclamata demenza, frutto, secondo alcuni storici, di percosse e maltrattamenti. La corte aveva ordine di soddisfare le richieste di Don Filippo, benché strane. Il principe ordinava a esempio ai servi di infilargli sedici paia di guanti una sopra l’altra.