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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

ìRagazzi di vitaî

• L’incipit. «Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare».
• Vasche e prati sporchi. «La vasca formicolava di ragazzi che si facevano il bagno schiamazzando. Sui prati sporchi tutt’intorno altri giocavano con una palla».
• Pidocchi. «Alvaro, con la sua faccia piena d’ossa, che pareva tutta amaccata, e un capoccione che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro intorno sarebbe morto di vecchiaia».
• Immersioni e risalite. «Agnolo corse nella palestra a prendere l’accettola, e andarono verso le scalinate del Gianicolo. Lì scoperchiarono una fogna e vi si calarono dentro. Col manico dell’accettola acciaccarono la tubatura per fermare l’acqua, poi la tagliarono, distaccandone cinque o sei metri. Nella palestra la pestarono tutta, facendola in tanti pezzetti, la misero in un sacco e la portarono dallo stracciarolo, che gliela pagò centocinquanta lire al chilo. Con le saccoccie piene di grana risalirono tutti contenti verso mezzanotte ai grattacieli».
• Il giocatore. «Amerigo si sedette sullo scalino slabbrato. "Magari me faccio pure dieci anni di Reggina Celi, ma stanotte io devo da giocà," fece a voce bassa».
• Fedi. «Panza piena nun crede ar diggiuno» (Belli).
• Modi di dire. «"Tengo na fame che me cago sotto," gridò il Begalone. Si tolse la canottiera, in piedi sull’erba zellosa pestata contro la scarpata dell’Aniene, tra le fratte carbonizzate, si sbottonò i calzoni e si mise a pisciare come si trovava».
• Seni e selvaggi. «Il popolo è un grande selvaggio nel seno della società» (Tolstoj).
• Ricordi. «Tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi, non passava più quasi nessuno, e il Riccetto invece si ricordava di quand’era ragazzino, subito dopo finita la guerra, quello che succedeva lì: lungo la spalletta, seduti come lui adesso, ce n’erano almeno venti, di giovincelli, pronti a vendersi al primo venuto; e i frsoci passavano a frotte, cantando e ballando, pelati e ossigenati, ancora giovani giovani, oppure anziani, ma tutti facendo i pazzi, non pensando per niente alla gente che passava a piedi o dentro le circolari, chiamandosi forte per nome: "Wanda, Bolero! Ferroviera! Mistinguette!", come si vedevano da lontano, correndosi incontro e baciandosi delicatamente sulle guance, come fanno le donne per non rovinarsi il trucco: e quando si radunavano tutti assieme, davanti ai maschi che appioppati contro la spalletta guardavano facendo i grevi, si mettevano a ballare, chi accennando un pezzo di danza classica, chi facendo il cancan, e folleggiando a quel modo lanciavano di tanto in tanto il grido: "Siamo libere! Siamo Libere!"».
• Na cosetta generica. «"E dàje", insistette Alduccio, "scegnemo pe ’a scaletta, namo sotto ponte e famo na cosetta generica"».
• Mo annamo. «Il froscio era già quasi sui cinquant’anni, ma voleva dimostrarne almeno venti di meno: continuava a stringersi con aria di persona cagionevole di salute il colletto della camicia, contro il suo pettuccio di pollo. "Mo annamo", fece condiscendente ai due maschi».
• Una sera. «Risalirono sull’Aprilia, si lanciarono a tutta velocità verso San Giovanni, imboccarono l’Appia: dopo una mezz’ora erano in un paesello di cui non avevano visto neppure il nome, e andarono a farsi mezzolitro in un’osteria, poi corsero su e giù sempre a più di cento all’ora per quelle strade di campagna, fino a che, quasi per caso, si trovarono proprio in un posto vicino a Latina che uno di lor già conosceva. Era notte alta. Lasciarono la macchina sul ciglio della strada, e entrarono dentro i cortili d’un casale di campagna, dove rubarono una ventina di polli, ammazzando a revolverate il cane. Caricarono i polli sulla macchina,e parrtirono filando ai centotrenta, imboccarono un ’altra volta l’Appia, e, al trentesimo chilometro da Roma, poco prima di Marino, chissà in che modo, andarono a incassare contro la parte posteriore d’un autotreno. L’Aprilia si ridusse un mucchio di ferro contorto, con dentro mescolati insieme i corpi sanguinanti e le penne dei polli. L’unico che s’era salvato la pella era Alvaro: ma aveva perduto un braccio e era rimasto ceco».
• Glossario 1. Comare Secca: la morte.
• Glossario 2. Tubo: un litro di vino.
• Glossario 3. Nun pagà manco li cechi: non avere neanche un soldo.
• Ragazzi di vita è un romanzo crudo sul sottoproletariato romano, che rappresenta, per soggetto e linguaggio, una novità nel panorama letterario italiano. L’ambiente è quello conosciuto dall’autore, quando faceva quasi la fame vivendo con la madre e insegnando nelle scuole della periferia. Altro suo filo d’arianna in quella realtà, fu l’amore omoerotico con i borgatari. Nasce il 5 marzo del ’22 a Bologna da Carlo Pasolini, tenente di fanteria di vecchia famiglia ravvenate di cui aveva sperperato il patrimonio, e da Susanna Colussi, insegnate, di Casarsa della Delizia, in Friuli. La carriera del padre obbliga a frequenti spostamenti. Durante la guerra la famiglia si rifugia a Casarsa. Nel ’45, il fratello, Guido, che milita tra i partigiani non comunisti, viene ucciso da partigiani rossi. Pubblica alcuni poesie in friulano. Si laurea in lettere, insegna. Alla vigilia delle elezioni del ’48, un ragazzo confessa al parroco di avere avuto rapporti con lui. Va con la madre a Roma. Nel ’55 esce il suo primo romanzo, Ragazzi di vita. Subisce un processo per oscenità. Conquista la fama anche oltre i confini patrii. Muore la notte tra il giorno dei morti e quello dei santi, nel ’75: dopo averlo picchiato e preso a bastonate gli passano sul cuore con la sua macchina, una Giulia cupé grigia metallizzata, a Ostia.