Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 aprile 1999
Fra la guerra dei serbi in Kosovo e la guerra della Nato nel cielo sopra i Balcani c’è una differenza temporale di quattrocento anni
• Fra la guerra dei serbi in Kosovo e la guerra della Nato nel cielo sopra i Balcani c’è una differenza temporale di quattrocento anni. «Chi si vuol fare un quadro dei saccheggi, dei danni prodotti dagli incendi, dei massacri, degli orrori della soldatesca serba, non si dovrebbe affidare alla Cnn, ma dovrebbe leggersi i racconti europei della Guerra dei Trent’anni (1616-1648)» (Hans Magnus Enzensberger).
• Perché siamo entrati in questa guerra? «In teoria per trasformare il Kosovo in un Trentino Alto Adige protetto dalla Nato. Ma Pristina non è Bolzano (né per fortuna viceversa). [...] Abbiamo voluto essere più furbi dei balcanici. Eccoci prigionieri della nostra astuzia. Per non perdere il bene più prezioso di qualsiasi alleanza militare, la credibilità, decine e forse centinaia di migliaia di soldati atlantici dovranno sconfiggere Milosevic a casa sua, in una terra che, diceva Bismark, ”non vale le ossa di un solo granatiere di Pomerania”. [...] Da questa confusione sta emergendo il significato strategico dell’operazione. Dal punto di vista americano si tratta di stabilire quali alleati sono affidabili e quali lo sono meno nella prospettiva della ”Nato globale” o meglio ”macroregionale”. Un’alleanza militare capace di intervenire quando, come e dove vuole (in Eurasia e nel Mediterraneo) senza più bisogno di coprirsi dietro le Nazioni unite, come ancora nella guerra del Golfo. Oggi in Kosovo, domani chissà, in Cecenia o in Dagestan, a sfidare quel che resta della Russia. Una forma di darwinismo geopolitico, di ”selezione naturale”. Chi regge il passo ”globale” di Washington è degno di stare nel club. Gli altri, al massimo, faranno da bassa forza. l’affermazione dell’idealismo sul pragmatismo, di Woodrow Wilson su Theodor Roosevelt».
• Il bilancio di Milosevic come leader nazionalista non potrebbe essere più fallimentare. «Lungo gli anni ’90 i serbi conoscono un rovescio dopo l’altro. Sono cacciati dalla Krajna (Croazia) dove vivevano da secoli. Sono sconfitti in Bosnia. Sono profughi dalla Slavonia Orientale già a maggioranza serba, tornata sotto la sovranità croata. Sono contestati dagli autonomisti montenegrini che minacciano il distacco da Belgrado. La Jugoslavia ospita 700 mila rifugiati venuti da Croazia e Bosnia».
• La Jugoslavia si sarebbe dovuta smembrare in tre grandi stati etnici egemoni. «Fallito il tentativo di tenere in piedi la Jugoslavia nei confini di Tito, i governi di Bush e di Clinton non hanno accettato quella che sembrava a taluni europei l’unica soluzione accettabile: una grande Croazia, una grande Serbia e una grande Albania. Con tanti saluti ai musulmani di Bosnia e del Sangiaccato di Novi Pazar, che non avrebbero avuto il loro staterello, ma in compenso avrebbero potuto godere della protezione dei loro diritti di minoranza, di aiuti economici, anche costituendo di fatto una ”dorsale verde” (narcotraffici più penetrazione religiosa e culturale islamica) da Tirana a Sarajevo e Bihac, passando per Tetovo e per Pristina».
• «Intervenire per cercare di governare la storia con schemi buonisti e illuministi significa esporsi a guai assai peggiori di quanti se ne avrebbero lasciando che ognuno regoli i suoi conti. la follia del politicamente corretto» (Vittorio Messori a Enrico Cainao).
• Dopo l’attacco della Nato per Milosevic il problema è come ritirarsi senza perdere la faccia e il potere politico. Non c’è in gioco solo l’onore: senza il potere politico rischia di trovarsi in pochi mesi davanti al tribunale Internazionale dell’Aia accusato di crimini di guerra. «Una rivolta interna è molto improbabile. I militari sono stati già purgati. I soldi dati da Telecom Italia per l’acquisto di una parte di Telekom Serbia hanno consentito il pagamento di stipendi e arretrati a polizia e corpi scelti. Forse solo qualche leader nazionalista come Seselj o Draskovic, potrebbe farsi avanti e convincere Milosevic a ”salvare la Serbia”, proteggendolo ”da destra” dall’accusa di tradimento e forse sostituendolo nel comando. Ma non ci sono molte speranze al riguardo. Molti serbi, almeno a parole, sono pronti al retorico sacrificio (degli altri serbi naturalmente). Forse qualcuno sogna di essere ricordato per secoli nei canti popolari, come il principe Lazzaro della battaglia del Campo dei Merli (1389)».
• « comprensibile che gli americani, con la loro inclinazione a semplificare i problemi e con la loro necessità anche culturale di riaffermare in ogni occasione la ”superiore moralità” della loro politica, siano portati a trascurare il fatto che gli avvenimenti balcanici accadono appunto nei Balcani e non nell’East Coast. Congresso e opinione pubblica sembrano ignorare completamente la realtà dei Balcani, mentre diplomatici e militari americani cercano in tutti i modi di conquistare il consenso. Il colmo è stata la trovata di qualche mistico dell’Air power di andare a bombardare la Serbia per dare autonomia politica ai kosovari, quando ormai la lotta armata era già cominciata, non solo fra albanesi e serbi ma fra le varie fazioni dell’Uck in lotta fra loro per il controllo dei traffici di droga».
• Serbi e albanesi finanziano la guerra con traffici illegali. «Le principali fonti di finanziamento per i guerriglieri dell’Uck sono la tassazione più o meno volontaria delle diaspore albanesi e il traffico di droga e di persone».
L’Osservatorio geopolitico delle droghe a Parigi sostiene che i soldi arrivano alla resistenza kosovara dai clan di trafficanti di eroina mentre in Serbia la stessa attività è gestita direttamente dallo stato attraverso tre organizzazioni legate ai servizi segreti: il Sid (che fa capo al ministero degli interni), lo Sdb (polizia segreta) e il Kos (controspionaggio). Vecchi capobanda criminali che avevano lasciato la Jugoslavia alla fine degli anni ’80 sono ritornati in Serbia all’inizio degli anni ’90 per lucrare sull’embargo. Molti di loro (tra cui il famoso Arkan, che in Serbia è considerato un eroe di stato) si sono legati alle truppe paramilitari che sotto la copertura del patriottismo si dedicano al saccheggio e alle rapine. «I cartelli della droga degli albanesi del Kosovo sono oggi considerati i più potenti e sicuramente i più violenti in Europa. I loro tentacoli arrivano fino alla costa orientale degli Usa. In Macedonia, le regioni occidentale e settentrionale, dominate dagli albanesi, producono una parte assolutamente sproporzionata del prodotto interno lordo e accumulano enormi quantità di valuta forte. Una gran parte di queste ricchezze deriva dal traffico di narcotraffici e dal connesso traffico d’armi da e per Albania, Bulgaria, e Kosovo».
• L’Uck è nato dalla diaspora albanese in Svizzera e Germania. Tra le varie anime e clan in cui è diviso quella con il maggior peso politico e militare è ideologicamente marxista-leninista. «Sono i cosidetti enveristi, che si richiamano al defunto dittatore albanese Enver Hoxha. La maggior parte dei guerriglieri però è tale solo per semplice amore di patria. [...] L’Uck sa di non essere in grado, da solo, di sconfiggere i serbi, per questo la tecnica adottata all’inizio è quella della provocazione: uccidere poliziotti, civili e collaborazionisti in attesa che la reazione serba si distingua per brutalità e spregio della popolazione civile (come puntualmente avvenuto) in modo da trascinare gli americani all’intervento».
Per sollecitare l’impegno della Nato si è arrivati a inventare i massacri. Agli inizi di agosto ’98 due giornalisti occidentali raccontarono di aver appreso da testimoni dell’esistenza di fosse comuni con cadaveri di 500 albanesi (tra cui 430 bambini) nei pressi di Orahovac. Una missione di osservatori dell’Unione Europea scoprì che si trattava di un falso.
• Per gli americani i guerriglieri dell’Uck non sono più terroristi e neanche ribelli ma insorti. «La scelta degli Stati Uniti per l’Uck non avviene per un improvviso feeling. Da tempo gli americani ritengono Rugova un uomo politico senza carattere, senza carisma e senza muscoli. Le visite a Washington del ”Ghandi dei Balcani” sono state deludenti per il Dipartimento di stato». Dal 1997 gli americani erano alla ricerca di una forza politica più capace e incisiva di quella espressa da Rugova, per farne il loro partner. «Di certo la rapida riorganizzazione della guerriglia in Kosovo è frutto di un intelligente supporto di materiali e tecniche che in precedenza l’Uck non aveva. Rambouillet ha confermato il rapporto molto amichevole fra gli americani e i guerriglieri kosovari. Le settimane di trattativa nel castello di Francesco I rivelano pubblicamente un legame tra Usa e Uck. Sono gli americani che portano Haschim Thaci alla guida della delegazione albanese, in cui Rugova, presidente democraticamente eletto dai Kosovari, passa in secondo piano rispetto a questo giovane di 29 anni che nel 1991 i serbi avevano espulso dall’università di Pristina. Thaci ha l’attenzione della Albright e riceve le premure di Wesley Clark, comandante supremo della Nato. [...] Dopo l’insuccesso della prima fase negoziale viene invitato a Washington dove con pazienza gli viene spiegata la convenienza di firmare».
• Sul piano internazionale l’Uck è riuscito a porre la questione del Kosovo come una priorità mondiale. «Quanto non è riuscito ai tibetani o ai timoresi, né probabilmente riuscirà ai curdi, viene ottenuto dai kosovari albanesi. In particolare nella politica americana il peso strategico della crisi del Kosovo pareggia ormai quello della questione irachena. La lobby albanese negli Stati Uniti è attiva ed efficace, potendo contare tra l’altro su personaggi di primo piano sia dell’amministrazione clintoniana sia del partito republicano (Bob Dole e consorte)».
• L’Uck ha scelto buoni PR. Sembra che alle prime avvisaglie di disgregazione della Jugoslavia, la Ruder&Finn, compagnia americana di pubbliche relazioni, si sia presentata ai serbi venendo congedata in malo modo.
Ruder&Finn venne assunta invece immediatamente dalla Croazia, dai musulmani di Bosnia e dagli albanesi del Kosovo per 17 milioni di dollari l’anno. Scopo: proteggere ed incentivare l’immagine dei tre gruppi. «In seguito Milosevic deve aver cambiato idea sull’utilità delle pubbliche relazioni, perché avrebbe contattato la Lowe - Bell di Londra, nota per aver curato l’immagine di Margaret Thatcher. Senza risultati importanti, salvo quello di migliorare il guardaroba del presidente».
• James Harf, direttore di Ruder&Finn in un’intervista concessa a Jacques Merlino, direttore della rete televisiva francese Tf2: «Abbiamo potuto far coincidere nell’opinione pubblica serbi e nazisti. Noi siamo dei professionisti. Abbiamo un lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per fare la morale. Quand’anche la discussione si volgerà in questo senso, abbiamo la coscienza tranquilla. Perché se vuole provare che i serbi sono delle povere vittime, coraggio, sarà tutto solo».
• Prima dei bombardamenti in Kosovo operavano 1400 osservatori dell’Osce con il compito di vigilare sull’accordo Holbrooke-Milosevic dell’ottobre scorso. Sono stati ritirati a marzo in modo frettoloso e restano dubbi sulla reale volontà americana e inglese di interporsi tra le due parti. Un verificatore italiano che ha partecipato alla missione racconta la sua esperienza : «Sarà difficile trovare nella storia delle missioni internazionali un’impresa altrettanto caotica e tragicamente ambigua. Sulla coscienza di tutti pesa il senso di impotenza e di colpa per un’evacuazione in blocco, senza possibilità di scelte alternative volontarie, che ha lasciato strada libera ai bombardamenti e, ancor peggio, alle ritorsioni violente, ai regolamenti di conti tra bande. [...] L’equazione Osce uguale a Usa, a scapito degli europei e in generale delle altre 53 nazioni che fanno parte dell’organizzazione, è stata facilitata dall’atteggiamento dell’ambasciatore Walker, che per tutto il tempo si è ostinato a viaggiare su una vettura dell’Osce contrassegnata dalla bandiera americana. [...] La situazione sul terreno sembra critica da subito: non si capisce bene da dove si dovrebbe iniziare a lavorare. Quasi tutti i verificatori si avvantaggiano di uno strumento satellitare, il Gps (Geographic positioning system), che serve a fissare le coordinate geografiche della loro posizione sul terreno e quella di caserme, depositi di munizioni, stazioni di polizia, tutti possibili obiettivi. Un esperto rivelerà che neanche in Iraq, dove forse la necessità sarebbe stata maggiore, era stato fatto uso di strumenti simili».
• Per il Kosovo gli esperti propongono un modello analogo a quello della Slavonia orientale, regione contesa tra croati e serbi dove tra il ’95 e il ’97 è stata applicata l’amministrazione transitoria. «Può esssere esercitata dall’Onu o da un’organizzazione internazionale (per il Kosovo si è autoproposta la Ue). A parte la Slavonia non ci sono molti precedenti. C’è quello della Saar, che dopo la prima guerra mondiale venne amministrata dalla società delle Nazioni. Poi ci sono stati vari progetti però non realizzati: dopo la seconda guerra mondiale per esempio per Trieste e Gerusalemme, e uno solo davvero realizzato: quello dell’Irian occidentale (Nuova Guinea). [...] L’Atnuso (Amministrazione transitoria delle Nazioni Unite) in Slavonia era composta da 5 mila persone, ma ben 4500 erano militari. In modo più ridotto la stessa esperienza è stata fatta a Mostar, dove, come si ricorderà c’è un amministratore nominato dalla Ue» (Pierre Klein, esperto di diritto internazionale).
• «La storia dice che da sempre i Balcani sono un nido di vipere, lì non ci sono né carnefici né vittime ma tutti sono alternativamente carnefici o vittime a seconda se hanno o meno la forza. Non dimentichiamoci che i buoni musulmani che ora commuovono ”anche a ragione” tanta gente, negli anni 10 costrinsero gli austriaci a intervenire per fermare il terribile genocidio che stavano praticando sui cristiani in quelle zone» (Vittorio Messori).