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 1999  giugno 28 Lunedì calendario

Con la riforma Bindi tutti i medici (attualmente divisi in due fasce) diventano ”dirigenti”

• Con la riforma Bindi tutti i medici (attualmente divisi in due fasce) diventano ”dirigenti”. Stipendi mensili dai tre milioni ai 6 milioni e duecentomila. L’incarico di primario prevede un esame da un collegio di colleghi ogni 5 anni. L’età della pensione è fissata a 65 anni con la possibilità di prolungare (volontarialmente) fino a 67 anni. Chi sceglierà di mantenere la libera professione fuori dall’ospedale avrà un taglio allo stipendio del 50 per cento (attualmente è del 15 per cento).
• Per mettere in pratica la riforma sanitaria del ministro Bindi (licenziata il 18 giugno dal Consiglio dei ministri) serviranno almeno una quarantina di decreti derivati, qualche decina di regolamanti ministeriali, qualche centinaia di provvedimenti di recepimento a livello regionale. Sabino Cassese, uno dei massimi esperti della macchina statale, pensa che saranno necessari dai tre ai cinque anni.
• I medici che lavorano anche nel privato minacciano di abbandonare in massa gli ospedali. «Vanno via perché non si sentono rispettati e gratificati. E, forse, hanno ragione. Ma al ministero invitano questi medici a ricordare che nelle cliniche private spesso sono arrivati perché hanno avuto il marchio di provenienza di una struttura pubblica».
• Riccardo Fatarella, direttore del Policlinico Umberto I di Roma: «Io non credo troppo alla cosiddetta ”fuga dei cervelli” anche perché le ambizioni professionali vengono da sempre premiate nelle strutture pubbliche dove, e lì soltanto per dimensioni e costi, si può impiantare e si sviluppa l’alta tecnologia oggi fondamentale alla medicina».
• Piero Micossi, direttore della scuola di management sanitario al Politecnico di Milano. «Tra il 1992 e il 1993, nel pieno della crisi finanziaria italiana, si intervenne su enti locali, sanità e previdenza per ridurre le spese. Si adottarono misure di contenimento che non volevano essere solo taglio dei costi. Fu introdotto anche in sanità il principio che le prestazioni dovessero essere pagate in base al contenuto. Si cercò di introdurre anche il principio del vincolo di bilancio e dell’aziendalizzazione. Anche le aziende erogatrici di servizi sanitari sono tenute ad avere un bilancio in pareggio. Questa riforma però si è rovesciata su un sistema con più di 600 mila dipendenti. Nessuno si era preoccupato di sapere come sarebbe stato gestito l’impatto. La competizione ha messo in grande difficoltà le aziende pubbliche e soprattutto il servizio pubblico non aveva predisposto alcuno degli ammortizzatori sociali necessari in una grande operazione di ristrutturazione di un sistema sociale. stato il classico boomerang dell’apparato pubblico che reagisce alla minaccia dell’esposizione a un regime di competizione senza sapere cosa fare del personale in esubero. La stessa bomba è scoppiata nelle ferrovie, nelle banche, nelle poste e nella sanità».
• Per Rosi Bindi il principio ispiratore della riforma è questo: il cittadino non compra la sua salute ma finanzia la salute di tutti. «Io ho un grande rispetto per questo ministro, perché nella sua visione di statalismo etico certamente non rappresenta interessi negativi e deteriori. Però l’idea che in una società avanzata il punto di vista del consumatore sia irrilevante e che sia lo stato a definire un bene collettivo è in totale controtendenza rispetto alla visione cooperativa dei sistemi di servizio da parte dei consumatori». Forse il ministro le contesterebbe anche l’uso del termine consumatore... «Il ministro me lo contesta certamente perché ritiene che questo consumatore non è evoluto, non capisce cosa gli serve e che ci vuole qualcuno che glielo dica. Lo Stato definisce ciò che è legittimo per i cittadini aspettarsi e chiede loro solo il contributo finanziario. il rovesciamento dei principi su cui si basano non solo l’Unione europea ma tutti gli stati moderni» (Piero Micossi, direttore della scuola di management sanitario al Politecnico di Milano).
• «I cittadini italiani si levano di tasca ogni anno 45 mila miliardi per comprarsi farmaci, visite specialistiche, diagnostica. Una cifra che rappresenta il 30 per cento di tutto quanto viene speso nel mercato sanitario in Italia» (Piero Micossi, direttore della scuola di management sanitario al Politecnico di Milano).
• Pregiudizi ideologici verso il privato. Il sen. Ferdinando di Orio, relatore della legge: «Nella riforma Bindi resta intatto un pregiudizio ideologico verso tutto ciò che è privato, visto come colui che vuole angariare, strumentalizzare il paziente. Anch’io sono contrario al privato d’assalto, ma so anche che le risorse statali non potranno mai da sole soddisfare l’offerta sanitaria».
• «Oggi una donna in gravidanza può fare gratuitamente tutte le ecografie che le vengono prescritte. Con la riforma potrà ottenerne non più di tre, quelle ritenute necessarie scientificamente; le altre dovrà pagarle» (Maurizio Tortorella).
• Girolamo Sirchia, primario al Policlinico di Milano: «Il sistema diventa più rigido, le restrizioni aumentano, si tende a considerare i medici come impiegati, burocrati. I malati? Chiedono l’accesso facile e i dottori competenti. Non altro» (Venanzio Postiglione).
• Medico unico. « una sciocchezza. L’ultima volta l’aveva proposta Mao Zedong, non mi risulta che abbia avuto successo neanche in Cina» (Piero Micossi).
• Alfredo Lissoni medico rianimatore del policlinico di Milano: «L’incompatibilità tra pubblico e privato? Giusta. Doverosa. Non si può consentire a nessuno di lavorare per la concorrenza... vi immaginate un ingegnere della Fiat che nel tempo libero dà una mano alla Renault?» (Venanzio Postiglione).
• «Sfido chiunque, tra i giornalisti che hanno fatto interviste e commenti in questi giorni, ad andare in giro per gli ospedali e chiedere ai pazienti, ricoverati o in attesa di esserlo, ”Preferisci che i medici ospedalieri lavorino a tempo pieno nell’ospedale, o che possano svolgere contemporaneamente le stesse attività in strutture private?”. Non ho dubbi sulla risposta, sia perché è evidente la stranezza di operare in due strutture concorrenziali tra loro, sia perché i malati sanno che le lunghe liste d’attesa, le visite distratte, la mancanza di informazioni, e gli episodi di malasanità, dipendono spesso proprio da questa assurdità. Neanche Arlecchino riusciva a essere servo leale di due padroni, soprattutto se uno dei due lo pagava di più» (Giovanni Berlinguer).
• L’introduzione del ruolo unico della dirigenza medica riempirà gli ospedali di un esercito di caporali? Elio Guzzanti, ex ministro della Sanità: «Di sicuro causerà molti contraccolpi. La gerarchia è indispendabile per far funzionare le cose. In tutte le organizzazioni trovi un capo. Ogni medico ha avuto un maestro. Io credo che culturalmente non siamo pronti a questo passo. Non abbiamo nessuna esperienza di lavoro in comune».
• Il privato ha di che piangere? «Nei confronti del privato la legge è fortemente limitativa. Io credo che i nostri malandati ospedali non potranno mai essere ristrutturati così bene da affrontare la sfida. Quindi i privati dovrebbero essere tenuti presenti. Inoltre la riforma indica scelte irreversibili che mal si accordano col concetto più moderno di flessibilità e mobilità. Non si capisce perché un medico che decide di continuare l’attività privata un domani non possa tornare al pubblico» (Elio Guzzanti).
• Per il malato cambierà qualcosa? Antonio Tomassini, rsponsabile di Forza Italia per la sanità: «Assolutamente nulla. Troverà le stesse file, gli stessi ospedali, gli stessi operatori, non solo demotivati perché malpagati (siamo ai livelli più bassi d’Europa) ma anche spaventati. Che faranno una ”medicina difensiva” evitando di assumersi responsabilità e preparandosi la zattera per andarsene».