Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
La cavalcata del secolo
• Kafeehaus. In tutte le lande dell’Impero austroungarico si potevano trovare delle Kafeehaus stile viennese, dove il caffè veniva sempre servito accompagnato da un bicchiere d’acqua. C’erano immancabilmente vari giornali di diversa nazionalità, tutti infilzati nella stecca di bambù.
• Atatürk. Mustafa Atatürk, militare col pugno di ferro, modernizzò la Turchia dopo il disfacimento dell’Impero ottomano. Impose la monogamia, introdusse il divorzio e l’alfabeto occidentale in luogo di quello arabico, affrancò il popolo dai tribunali religiosi e dalla casta corrotta e vessatoria dei giannizzeri. Atatürk amava apparire in pubblico col frac, segno distintivo della sua occidentalità.
• 1989. «Se è la storia e non il calendario a ritmare la durata dei secoli, allora si può ben dire che la durata reale di questo secolo abbia coinciso con quella del comunismo [...]. Tutto quello che è avvenuto dopo il 1989, i furori nazionalistici, l’esplosione delle etnie, la proliferazione di 27 nuovi Stati e regimi politici, gli eccidi in Bosnia e nel Kosovo, tutto ciò non rientrava più nel Novecento: era già il Duemila in atto e in anticipo di dieci anniª
• Felix Austria. "Bella gerant alii, tu, Felix Austria nube" (la guerra la fanno gli altri, tu, Austria felice, celebri matrimoni). Espressione coniata per dire che Vienna formò il suo impero col sangue dei legami e delle alleanze dinastiche e non col sangue delle guerre di conquista.
• Monarchia austroungarica. La monarchia austroungarica si estendeva su un’area di quasi settecentomila chilometri quadrati. Circa trentotto milioni gli abitanti. Una ventina gli idiomi ufficiali, lingua franca il tedesco. Il più vasto e popoloso paese europeo dopo la Russia.
• D’Annunzio. Dopo la prima guerra mondiale l’Italia non reclamò mai con forza i territori a est di Trieste. Fu D’Annunzio a forzare la situazione. Il 12 settembre 1919, con un corpo di volontari, occupò Fiume e proclamò una reggenza su di essa. I suoi legionari, tra l’altro, incendiarono le urne elettorali che stavano decretando la vittoria della corrente autonomistica (contraria all’unione con l’Italia) e occuparono il municipio. Fu una specie di prova generale del Fascismo, prima della Marcia su Roma.
• Congiure. La faida tra le dinastie degli Obrenovic e dei Karadjordjevic, entrambi aspiranti alla corona serba, si protrasse per secoli a colpi di coltello. I Karadjordjevic ebbero la meglio quando, nel 1903, trucidarono e poi gettarono dalla finestra della reggia di Belgrado il re Milan Obrenovic e la regina Draga (accusati di perseguire una politica troppo filoaustriaca). Alessandro Karadjordjevic salì al trono con questa congiura ma morì 29 anni dopo, a Marsiglia, ucciso da attentatori armati dai croati, i quali mal sopportavano l’opprimente egemonia serba nel regno jugoslavo.
• Realpolitik. Quando Churchill, durante la seconda guerra mondiale, dovette scegliere se appoggiare in Jugoslavia il capo dei partigiani monarchici, Mihajlovic, o quello dei partigiani comunisti, Tito, disse: ”Quello che ammazza più tedeschi”. E scelse Tito, indipendentemente dall’ideologia.
• Gorizia. «Chiamata un tempo ”la Nizza austriaca”, sovrastata dal suo castello feudale, con la triangolare piazza asburgica sulla quale s’affaccia la basilica barocca dei gesuiti e la casa inospitale in cui il pensatore ventitreenne Carlo Michaelstaedter si sparò nel 1910 con un colpo alla tempia, Gorizia era stata già durissimamente provata durante la prima guerra mondiale. La seconda l’aveva poi spaccata a metà tra Occidente e Oriente, trasformandola in una piccola Berlino giuliana».
• Sul neorealismo. «A me non piaceva molto l’Italia che trovavo in film di fondo anarcoide e straccione. Essi riproducevano, con una sorta di autocompiacimento autolesionistico, scene e persone che per l’appunto vedevo ogni giorno vive e miserande nelle strade romane» (Enzo Bettiza).
• Lollobrigida. La Lollo, prima di darsi al cinema, frequentava un liceo artistico e voleva fare la scultrice. Giovane e bellissima, girava per Roma seguita da un codazzo di ammiratori, tra cui alcuni compagni di corso.
• Ilona Faber. La losca Vienna del dopoguerra, piena di spie e trafficanti, non a caso fece da inquietante sfondo al thriller Il terzo uomo, sceneggiato da Graham Green e interpretato da Orson Welles. Tra i vari delitti uno scosse la popolazione. L’indossatrice ungherese Ilona Faber fu trovata seminuda e strangolata nel centro della città, ai piedi del complesso monumentale realsocialista eretto dagli occupanti sovietici. A tutti vennero in mente gli stupri dell’Armata rossa sulla popolazione civile.
• Ritratto di Ceausescu. «Minuto, immobile, gli occhi piccolissimi concentrati sul pavimento, scarno e prudente nelle risposte, Ceausescu ricordava in ogni suo tratto rallentato e cauto, l’originaria cupezza contadina della sua terra natia [l’Oltenia]. La evocava non solo nella tinta levantina dell’incarnato. Sembrava, non so come, evocarla soprattutto nella bocca molle e informe, quasi priva della linea divisoria fra le due labbra: una sanguisuga casualmente incollata su un volto di cera olivastra. In alto, sopra il divano su cui stava goffamente seduto, un regale divano rococò con braccioli dorati e velluti scarlatti, campeggiava il dipinto a olio di un evento epico: l’entrata di Michele il Bravo nella città espugnata di Alba Julia, dove quel vittorioso vojvoda rinascimentale proclamò l’unione dei regni di Valacchia, Moldavia e Transilvania, embrione della Romania moderna. Un modesto busto di Lenin, discretamente relegato in un angolo, si sforzava di ricordare all’ospite che il luogo in cui si trovava non era la reggia di re Carol ma la sede del comitato centrale del partito comunista».
• Su Montanelli. «Ho avuto per anni Indro davanti ai miei occhi. Osservandolo mi accorgevo che scrivere, per lui, equivaleva a una funzione terapeutica. Scrivere significava esistere, fuggire le angosce che lo incalzavano, ritrovare nella veglia operosa la vitalità e la salute che l’inerte insonnia notturna gli sottraeva. Il successo, il plauso, non lo interessavano in quanto tali: erano, più che altro, terapie di vita, di radicamento nella realtà, da cui i mostri atoni e melanconici della ciclotimia minacciavano continuamente di estraniarlo».
• Missiroli uno. «Mario Missiroli, stranissimo giornalista che detestava il giornalismo».
• Missiroli due. Missiroli, nell’antico ufficio che fu di Albertini, passava in monacale silenzio il suo tempo di direttore del ”Corriere” leggendo libri francesi e mai giornali italiani.
• Sarajevo 1914 e le rivoltellate di Princip contro l’arciduca. Hitler e la notte dei lunghi coltelli. Tito che libera la Jugoslavia dai nazisti. La Vienna postbellica sconvolta e inquietante. De Chirico, Saba, Piovene, Lampedusa, l’Italia che rinasce, Buzzati. La morte di Stalin. Il 1968 a Parigi, Berlino, Praga. Le vicende del ”Corriere” di Ottone e Montanelli. Il funerale di Tito. Ceausescu e la caduta del muro di Berlino. Di nuovo la Jugoslavia e le pulizie etniche. Eventi mai elencati pedantemente, come nei manuali, ma solo sfiorati e spiegati sullo sfondo delle vicende personali. Una cavalcata, appunto, attraverso un secolo.
Enzo Bettiza nasce a Spalato, in una famiglia della ricca borghesia italiana. La madre è serba. Dopo la guerra, la famiglia emigra a Bari e perde tutto. Il giovane Enzo gira l’Italia ridotta in macerie, fa mille lavori; poi, grazie, al suo romanzo d’esordio, La campagna elettorale, ottiene un posto a ”Epoca”. Su segnalazione di Piovene, passa alla ”Stampa”, corrispondente prima da Vienna e poi da Mosca. Il direttore del ”Corriere”, Alfio Russo, mette gli occhi su di lui e ne fa uno degli inviati speciali più apprezzati. Posto d’onore nel giornalismo italiano, per acume analitico e bellezza della scrittura. Tra i suoi libri, Esilio.