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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

 finita l’era dei grattacieli? Siamo tutti ancora sotto l’impressione dell’assalto kamikaze alle Twin Towers e avremmo dunque voglia di dire: sì, è finita

•  finita l’era dei grattacieli? Siamo tutti ancora sotto l’impressione dell’assalto kamikaze alle Twin Towers e avremmo dunque voglia di dire: sì, è finita. Eppure, eppure...L’attentato di New York è arrivato nel momento in cui il grattacielo sembrava la soluzione perfetta a due questioni planetarie. Prima questione: siamo più di sette miliardi e tendiamo a concentrarci nelle città. Un fenomeno che si chiama ”urbanesimo” (dal latino urbs): lasciare la campagna per andare a vivere in una metropoli. Nel 2005, per la prima volta nella storia del pianeta, ci saranno più abitanti nei centri urbani che nelle campagne. Perciò svilupparsi verso il cielo sembra (o sembrava prima dell’11 settembre) quasi una soluzione obbligata. Seconda questione: svilupparsi in orizzontale, con i soliti palazzi, palazzine o villette, costa moltissimo in termini di trasporto e ancora di più in termini di energia, come si è visto anche di recente in California. Il grattacielo fa viaggiare interi popoli in ascensore e fornisce senza problemi luce, riscaldamento e aria condizionata. Questo sembra indiscutibile e, fino alle Twin Towers, risultava privo di obiezioni. Certo ci sono gli ostacoli tecnologici. Per quanto ci si può sviluppare in altezza? Ottocento metri? Mille metri? E che cosa significa, alla fine, costruire edifici di proporzioni simili, capaci di ospitare cento-duecentomila persone?
• La faccenda si capisce meglio facendo un po’ di storia. Il punto di partenza è il 1852, anno di invenzione dell’ascensore. Prima del 1852 esisteva un sistema di montacarichi a base di corde e pulegge, alimentato da un motore a vapore. Alleviava la fatica di salire, ma le corde si rompevano spesso, e così si mandavano su solamente oggetti. Poiché bisognava per forza far le scale a piedi, difficilmente un palazzo andava oltre i cinque piani. Anche le insulae romane, antenate della moderna edilizia popolare, si fermavano a quei livelli. Perciò anticamente i ”quartieri alti” erano i meno pregiati, quelli destinati alla servitù e ai poveri. Poi Elisha Otis inventò l’ascensore, semplicemente applicando al vecchio montacarichi un freno di sicurezza capace di ancorare la piattaforma alle sue guide. Era la seconda metà dell’Ottocento, il costo del terreno edificabile saliva in continuazione e un nuovo boom industriale richiamava gente nelle città. C’erano cioè le condizioni generali classiche (le stesse di ora) per lo sviluppo verticale degli edifici. Restava il problema tecnico, perché far stare in piedi un affare da trenta piani (o da cento) non è come far stare in piedi una casa da cinque. Il problema tecnico ha un nome: calcestruzzo.
• Il calcestruzzo veniva adoperato già dai romani. Si ottiene legando materiali inerti - come sabbia, ghiaia o pietra - con cemento, o calce idraulica, e acqua. Colando poi in forme adatte il calcestruzzo attorno a tondini di ferro si ottengono le travi e i piloni di cemento armato, basi della moderna edilizia abitativa. Vantaggi: buona resistenza alla trazione e alla compressione, accettabile resistenza alla flessione. Svantaggi: il calcestruzzo è piuttosto caro. Soluzione normale: adoperare il calcestruzzo solo per l’ossatura, e negli spazi tra travi e piloni, che non devono resistere alla compressione, disporre muri di mattoni, di solito forati (sono forati anche i larghi elementi in laterizio che si appoggiano sui travi per costruire le solette tra i piani). Senonché se il cemento armato viene utilizzato per edifici oltre i trenta piani, l’intera struttura si fa troppo pesante. E se si cerca di sostenerla con fondamenta adeguate, si rischiano danni imprevedibili sia alle falde acquifere che alle strutture sotterranee realizzate dall’uomo: ferrovie metropolitane, fogne, cunicoli per la distribuzione del gas e dell’energia elettrica. Il massimo di un edificio in muratura, dunque, è compreso tra i 65 e gli 80 metri. Troppo poco, per un Paese in grande espansione quale erano gli Stati Uniti di fine ’800.
• Ma è una regola non scritta della civiltà che quando l’economia pone una domanda, subito la tecnologia trova una risposta. Così, nel 1883 fu inventata a Chicago la struttura a gabbia d’acciaio, anima dei moderni grattacieli. Il primo esemplare fu la torre di dieci piani della Chicago Home Insurance, purtroppo demolita nel 1927. La finanziarono le assicurazioni e la cosa ha un sapore amarognolo: il disastro delle Torri Gemelle rischia adesso di proiettare proprio il mondo delle assicurazioni nella più acuta crisi di tutti i tempi, per la somma astronomica degli indennizzi che dovrano essere pagati. Ma quale fu il trucco adottato dagli architetti di quella torre, identificati da allora nell’espressione ”Scuola di Chicago”? Molto semplicemente: per sostenere il peso misero al posto del cemento armato l’intera intelaiatura in ferro. Le putrelle vennero collocate una sull’altra da gru e paranchi e via via imbullonate in modo che stessero ben ferme. Su una struttura così il rivestimento può poi essere completato con materiali leggerissimi, come il vetro e l’alluminio, che dànno ai grattacieli quel caratteristico aspetto scintillante. Per descrivere il montaggio di questo castello risplendente di vetro è stata usata l’immagine dell’apertura di un cannocchiale. E a cannocchiale si sono infatti richiuse su se stesse le Twin Towers, sotto la duplice botta.
• Per esigenze di prestigio nacque poi l’Empire State Building, che coi suoi 381 metri fu il più alto palazzo del mondo dal 1931 al 1947. Più precisamente, fu una risposta della General Motors all’altro colosso automobilistico della Chrysler, che nel 1926 aveva voluto dotarsi di una nuova sede che trasferisse da Chicago a New York il primato mondiale dei grattacieli. Commissionato direttamente dal magnate Walter Chrysler al progettista William Van Alen, alto 319,43 metri, con la caratteristica guglia a dischi raggiati che ne fa uno dei più classici esempi di art déco, il Chrysler Building fu inaugurato nel 1930, dopo appena quattro anni di lavoro. Ma già nell’ottobre 1929 John Jacob Raskob, creatore dell’altro colosso automobilistico della General Motors, aveva fatto partire i lavori per l’Empire State Building. Anch’esso in puro stile déco, costruito nel tempo record di 13 mesi, fu inaugurato il primo maggio 1931. Si era in piena crisi economica (siamo nel ’29...) e l’Empire, come i newyorkesi lo chiamano familiarmente, fu all’inizio un cattivo affare per i suoi costruttori. Nei suoi 102 piani, infatti, solo il 25% dei locali fu affittato, e nei primi tempi i newyorkesi lo considerarono soprattutto un belvedere: per ricavarne qualcosa lo si apriva infatti alle comitive di turisti, al prezzo di un biglietto.
• Fu solo con il New Deal rooseveltiano, a partire dal 1933, che il gigante iniziò a trasformarsi nel formidabile centro di attività commerciali, finanziarie e culturali che è tutt’ora, con il 99% dello spazio occupato. Ma ormai la fama di attrattiva turistica si era affermata e il servizio di visite a pagamento (67 ascensori, due milioni di visitatori l’anno e la famosa terrazza al 102° piano, da cui si vede Manhattan per una panoramica di 80 miglia) rimase. Alto in origine 381 metri (bisognava polverizzare il record del Chrysler Palace), l’Empire fu il grattacielo più grande del mondo fino al 1947, quando vennero su i 443 metri della Sears Tower di Chicago. Ma poi l’Empire tornò primo nel 1950, grazie all’aggiunta di un’antenna televisiva da 67 metri, che portava l’altezza totale a 448 metri. E restò primo fino al 1971, per un totale di 40 anni, con un solo intervallo di tre. Dopo l’Empire, venne il primato delle Torri Gemelle (Twin Towers) del World Trade Center di New York, il colosso abbattuto di cui tutti i giornali, nei giorni della tragedia, hanno snocciolato le faraoniche coordinate e la spettacolare storia. L’idea, nel 1966, era venuta alla Port Authority of New York and New Jersey, con l’obiettivo di attrarre la grande impresa nel settore sud di Manhattan (Downtown) all’epoca piuttosto depresso rispetto all’area centrale dell’isola (la Midtwon), tant’è vero che il cantiere fu aperto in un’area dismessa di sei ettari e mezzo in riva al fiume Hudson, candidata a degradare in slum.
• Curiosamente, come tra la progettazione e l’inaugurazione dell’Empire c’era stata di mezzo la grande crisi del ’29, anche tra la partenza e l’arrivo dell’operazione Twin Towers venne una grande crisi. E fu quella determinata dall’aumento dei prezzi del petrolio dopo la Guerra del Kippur. Come l’Empire, anche le Twin Towers decisero di far fronte al problema degli appartamenti sfitti con i biglietti d’ingresso per turisti, (80.000 al giorno: l’ascensore li portava in 58 secondi al 107esimo piano sud dove c’era la mostra del commercio o al 107simo piano nord dove c’era il ristorante Windows on the World, ”Finestre sul Mondo”, oppure, con qualche secondo in più, al centodecimo, la spettacolare piattaforma panoramica all’aperto, da evitare però nei giorni di vento...). Il piccolo Guinness del doppio edificio che non è più ci ricorda anche che erano 50.000 le persone quotidianamente al lavoro nelle sue viscere, impiegate in oltre 500 società, tra organizzazioni internazionali, banche, agenzie assicurative, ditte immobiliari, imprese di spedizioni, istituti scientifici. E nel piano sotterraneo, quello colpito nel 1993 da un altro attentato, c’erano una stazione della metropolitana e una galleria commerciale con 70 negozi. Ben 100 erano gli ascensori al servizio di questa intera città in doppia verticale, illuminata da 43.000 finestre. Il progetto degli architetti Minoru Yamasaki ed Emory Roth aveva richiesto oltre 180.000 tonnellate di acciaio e 4.800 chilometri di cavi elettrici. All’incrocio tra Church Vesey, West e Liberty Street il complesso era innalzato su una duplice pianta quadrata di 63 metri di lato, con fondamenta che penetravano per 21 metri di profondità nella roccia di lavagna.
• Memore di un incidente capitato all’Empire nel 1945 (per un errore di rotta provocato dalla nebbia un bombardiere Mitchell B-25 era andato a schiantarsi sul 79simo piano, provocando 14 morti) l’architetto Yamasaki aveva studiato la struttura delle Twin Towers in modo da farle sopravvivere «all’impatto di un jet». Per la precisione, di quello che all’epoca era il più grande aereo esistente: il 707 Intercontinental. Il 26 febbraio 1993 quella struttura anti-aerea si rivelò, imprevedibilmente, anche estremamente efficace contro gli incendi. Quella volta, i terroristi tentarono di far saltare le colonne di sostegno lungo un muro perimetrale della Torre 2, per farla cadere sull’altra e distruggerle entrambe. E effettivamente l’esplosione, oltre a uccidere sei persone e a ferirne oltre un migliaio, riuscì a causare danni per diversi milioni di dollari. Ma le torri si comportarono come grosse ciminiere, risucchiando l’aria mossa alla base delle torri dalle esplosioni e spingendola verso la cima, per espellerla. Nei 110 piani oltre 50.000 persone rimasero intrappolate nell’oscurità assoluta, mentre i sistemi di emergenza entravano in tilt, il fumo invadeva tutto e la mancanza d’aria spingeva molti a rompere i vetri delle finestre. Ma lo scheletro d’acciaio riuscì ad assorbire la forza distruttiva della bomba, distribuendone l’onda d’urto lungo l’intera colonna. E le colonne di cemento rinforzato, costruite per assicurare rigidità alla torre, fecero da sfiatatoi per il fuoco e il fumo, fino a quando i pompieri non riuscirono a farlo uscire spaccando le vetrate dei vetri inferiori e tagliando le prese d’aria sul tetto della torre. Qui ci sarebbe da fare un discorso sulla comunicazione di massa: la stampa si dimenticò subito dell’attentato (che preparava quello di adesso) perché era in corso l’affare O.J. Simpson, molto più spettacolare e attraente per l’opinione pubblica.
• Le Torri Gemelle di New York, comunque, non erano già più il palazzo più alto del mondo. Dopo 27 anni di primato, le avevano infatti sopravanzate le Petronas Twin Towers di Kuala Lumpur in Malaysia, Torri Gemelle intitolate alla compagnia petrolifera dello Stato malese. Questa clamorosa prova di prestigio da parte di una tigre dell’Asia Orientale è stata realizzata dall’argentino Cesar Pelli, che ha usato cemento armato per la parte centrale e per le colonne perimetrali; 26.000 tonnellate di acciaio per le gabbie, il pinnacolo e l’acrobatico ponte che unisce le due torri a 170 metri di altezza; e, ovviamente, un mare di vetri per le oltre 32.000 finestre, indispensabile fonte di aerazione nel clima tropicale. Inaugurate nel 1998, servite da 10 ascensori verticali e da 29 trenini orizzontali per ogni torre, costate 1,2 miliardi di dollari (2.500 mila miliardi di lire circa), con la struttura a fuso e il disegno a stella a otto punte che dovrebbe simbolizzare «tipici valori islamici come l’unità, l’armonia, la stabilità e la razionalità», le Petronas hanno pure i motivi decorativi dell’ingresso ispirati all’artigianato tradizionale malese, e locali appositi per permettere agli impiegati di pregare comodamente verso la Mecca. Insomma, una sintesi tra avvenirismo tecnologico e tradizione, espressamente voluta dal primo ministro, l’ambizioso Mahatir Mohamad, «per mettere Kuala Lumpur sulla mappa del mondo», come ha avuto occasione di dire. Se non altro, è riuscito a far diventare le due torri malesi lo scenario di un kolossal hollywoodiano del 1999: Entrapment, con Sean Connery e Catherine Zeta-Jones.
• Anche nel sistema a scheletro di acciaio, però, oltre i 400 metri di altezza la necessità di elementi strutturali sarebbe tale da ridurre la superficie effettivamente disponibile a proporzioni inferiori al 30%. E sopra ai 500 metri, poi, la costruzione sarebbe antieconomica perfino in città sovraffollate come Hong Kong. A partire da una certa altezza, tutti i piani inferiori dovrebbero infatti essere occupati da colonne di struttura, condotte di aria condizionata e ascensori. L’edificio oscillerebbe pericolosamente, per via del vento e dei movimenti sismici (che ci sono sempre anche se noi li avvertiamo solo da una certa intensità in poi). E climatizzarlo con mezzi artificiali sarebbe poi impossibile. Insomma il numero dei movimenti orizzontali e verticali sarebbe tale da far collassare tutta la struttura. In effetti, già negli anni Cinquanta il grande guru dell’architettura contemporanea Frank Lloyd Wright aveva disegnato una Torre di un Miglio, alta 1610 metri e percorsa in ogni dove da ascensori azionati da energia nucleare. Per la mancanza di tecniche e materiali adeguati quello schizzo era stato giudicato un semplice sogno.
•  possibile un salto tecnologico che permetta di sostituire qualcos’altro al sistema dello scheletro metallico, allo stesso modo in cui lo scheletro metallico ha permesso di andare oltre il cemento armato? Su questo nodo si confrontano due scuole. La prima punta su nuovi materiali super-resistenti che offrano una relativa convenienza. Ad esempio, poiché in presenza del vento l’acciaio è troppo elastico, si stanno studiando nuovi calcestruzzi capaci di resistere a una spinta superiore alla tonnellata per centimetro quadrato, contro i tre quintali dei cementi tradizionali. E un altro percorso ancora potrebbe essere addirittura il ritorno al bitume, che all’alba della storia fu il segreto architettonico di quegli antenati dei grattacieli che furono le ziggurat babilonesi, a loro volta all’origine del mito della Torre di Babele. Ma una soluzione ancora più radicale che si sta prospettando sarebbe quella di sostituire il cemento con i fullereni: molecole di carbonio a forma di cupola geodesica, più resistenti dell’acciaio e più leggere del titanio. proprio su questi materiali, anzi, che la giapponese Taisei Corporation stava studiando una meraviglia da fantascienza: una piramide chiamata X-see e alta ben quattromila metri. Un intero Monte Bianco artificiale, e abitabile. La seconda scuola, non necessariamente in alternativa alla prima, è invece quella dello studio progettistico sulle forme. Strutture prive di spigoli, orientate verso i venti e spesso intervallate da spazi per ridurre la spinta degli elementi. Leslie Robertson, ingegnere strutturale, dice addirittura che ci sarebbe già la tecnologia per costruire «una torre fino alla luna», con poche formule matematiche. Il problema sarebbe solo nei fondi. Secondo Robertson, la chiave è nel rapporto base-altezza da mantenere su una proporzione tra 6 e 8. Per un grattacielo di 600 metri, dunque, ci vorrebbe una base di 90 metri, e per uno di mille metri una base di 140.
• Il progettista italiano Vittorio Camerini, proprio perché convinto della necessità di sviluppare le future città «in verticale e non più in orizzontale» ha ideato quello che dovrebbe diventare il grattacielo più alto d’Italia: la Torre Monrif, 310 metri e 70 piani, che dovrebbe sorgere a Milano presso la Stazione Garibaldi. La sua tesi è che nuove sagome, allo studio nelle gallerie del vento, sarebbero necessarie per affrontare il problema delle oscillazioni di 3-4 metri che si iniziano a verificare a partire da una certa altezza. Un grattacielo dalle forme uniformi produce infatti più facilmente vortici d’aria, che aumentano le oscillazioni e producono una sorta di risonanza in grado di minare la struttura dell’edificio, quando il vento aumenta di potenza. In futuro, quindi, non dovremmo veder più quel panorama di torri regolari che dall’esperienza della New York di inizio secolo era stato ripreso da Fritz Lang nel suo celebre film Metropolis, come emblema dei giorni a venire. probabile, al contrario, che il nostro orizzonte urbano sia presto costituito da un assortimento di forme bizzarre.
• Un limite da tenere presente è che comunque gli ascensori non potrebbero mai viaggiare a una velocità superiore ai 36 chilometri l’ora. Per problemi fisiologici, infatti, l’orecchio non si adatta che lentamente ai cambiamenti di pressione. E l’ascensore, lo abbiamo ricordato, resta il vero motore del grattacielo. Alcuni economisti sostengono anzi che la crisi degli alloggi sovietica – uno dei più potenti deflagratori di tutto il sistema – fu provocata da una scelta sbagliata dei pianificatori che, investendo in altri settori giudicati più strategici piuttosto che in un’industria nazionale degli ascensori, avrebbe reso impossibile il ricorso ai grattacieli su vasta scala. Sono tutti progetti o ambizioni che adesso vanno messi al condizionale o al passato: dopo la tragedia delle Twin Towers nulla potrà più essere come prima. D’altra parte, i grattacieli hanno mostrato una particolare predisposizione per gli eventi disatrosi e luttuosi: non solo il già ricordato aereo che nel ’45 finì addosso all’Empire e i due attentati alle Twin Towers del 1993, ma anche i roghi della Northwest Tower (Londra, 1996), di Nathan Road (Hong Kong, 1996), Bangkok e Giacarta (1997), della torre Ostiankino di Mosca (l’anno scorso).
• Per non parlare dei terremoti: è dimostrato che quando la terra si muove i grattacieli perdono il proprio centro di gravità, la cima dell’edificio tende a restare indietro rispetto alla base e le colonne portanti vengono sottoposte a un forte stress. In casi estremi le strutture portanti finiscono per curvarsi, con danno irreparabile. In casi ancora più estremi il vertice della costruzione può venire spinto lontano dalla verticale del suo centro di gravità, spezzando così il palazzo. La soluzione ideale, per questa parte del problema, sarebbe quella di non costruire in zone sismiche. Ma alcune di queste aree sono proprio quelle dove il costo del terreno edilizio è più caro. Un paliativo, in questi casi, è nel rafforzare le fondamenta. A Nagoya, a soli 200 Km in linea d’aria da Kobe, il progetto delle JR Central Towers prevedeva un grattacielo di 243,84 metri proprio sopra la locale stazione ferroviaria, dove passa un milione e mezzo di persone al giorno. L’architetto Paul Katz vi ha dunque fatto scavare una caverna sotterranea con l’idea di ancorare il palazzo mediante fasci di acciaio rinforzato di 40 metri, affondati nella roccia per metà della loro lunghezza e poi avvolti in piloni di cemento rivestiti da una gabbia d’acciaio. La caverna sarebbe poi colmata da uno strato di cemento di cinque metri e mezzo. Queste sarebbero le cosidette ”fondamenta a tappeto volante”. Anche la base delle Petronas Towers è stata rinforzata con 70 tonnellate di cemento: la più grande colata singola mai realizzata al mondo. Ma i progettisti più aggiornati ritengono ormai che neanche con questi rinforzi le gabbie siano del tutto affidabili. Oggi ci si affida dunque a smorzatori installati nelle travi diagonali della struttura, valvole idrauliche poste all’interno di barre di rinforzo piazzate diagonalmente attraverso le cornici di acciaio, che assorbono una parte dell’energia mentre le barre si allungano o accorciano a seconda delle forze in gioco: fino al triplo, rispetto a un palazzo che ne è privo.
• Tutto questo prima delle Twin Towers e dei dubbi e paure che ne conseguono su tutto il pianeta. Dubbi e paure che si fondano su un sentimento ancestrale per spiegare il quale si potrebbe ricordare addirittura il racconto della Genesi e il mito terribile della Torre di Babele e del caos universale inflitto all’umanità troppo superba. Dice, citando le leggi di Peter, il ”caosologo” Jeff Goldblum in Jurassic Park: «Se c’è qualcosa che può andar male, andrà male». Proprio perché i grandi sistemi più sono grandi e più diventano di una complessità che rende difficile prevedere tutte le evenienze. E cosa ci può essere di più complesso di una doppia torre che pretende di contenere dentro di sé l’intera popolazione di una città? Complesso e vulnerabile... Eppure c’è chi continua a scommettere sul futuro dei grattacieli. Ad esempio Massimiliano Fuksas, uno dei più noti architetti italiani. «In futuro bisognerà certo valutare nei progetti dei grattacieli anche la variabile dei possibili attacchi terroristi. Ma è davvero impossibile rinunciare a costruire edifici così elevati. Con l’impressionante sviluppo delle megalopoli, da Mexico City a Shangai, non c’è altro modo per preservare il territorio, che è patrimonio altrettanto vitale. E poi è nel dna dell’uomo misurarsi con il cielo. Le cattedrali medievali nascono in fondo dallo stesso azzardo. Molte sono crollate, buttate giù da guerre e terremoti, o divorate dal fuoco. Ma le abbiamo sempre ricostruite».
• Qual è davvero il grattacielo più alto di tutti? Le Petronas Twin Towers vincono se si tiene conto del solo edificio, ma considerando anche l’antenna televisiva al primo posto va messa la Torre Ostiankino di Mosca (540 metri). Gli intenditori però sostengono che il palazzo propriamente detto è in questo caso troppo basso (337 metri) e che dunque la Ostiankino non va neanche presa in considerazione. Piuttosto c’è la Sears Tower di Chicago: costruita nel 1947, fu per tre anni - con i suoi 443 metri - il grattacielo più alto del mondo. Ancora adesso ha due primati: quello del tetto, posto a 441 metri, e quello del più alto piano abitato, a 436. Le Petronas, infatti, realizzano il loro record grazie a 34 metri di guglia decorativa che si innalza a spirale sugli 88 piani abitati. Nel planisfero qui sopra si vedono i più importanti grattacieli del mondo: quelli esistenti e quelli progettati. I progetti sono segnati con un asterisco. Il più ambizioso è il World Centre for Vedic Learning di San Paolo del Brasile, che ha già ottenuto tutte le autorizzazioni. Se sorgerà davvero, sarà alto 677 metri.
• La Torre Bionica, ovvero un grattacielo alto un chilometro e 128 metri, progettato da tre architetti spagnoli e in attesa di finanziamenti e localizzazione: costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi di dollari e ci vorrebbero tra i 15 e i 20 anni di lavoro per costruirlo. Come si fa a raggiungere una simile altezza? «Imitando la natura» dice Javier Pioz, uno dei tre architetti: «I vegetali - gli alberi - raggiungono le loro dimensioni maggiori grazie a un tipo di struttura spugnoso, che si sostiene non grazie a poderosi pieni, ma grazie agli agili vuoti. Quanto naggiore è l’altezza di un organismo, tanto maggiore è la sua proporzione di vuoti interni: il 29% in un virgulto di 4 millimetri di diametro, ma il 46% quando la stessa pianticella arriva agli 8 millimetri». La Torre Bionica (’bionica” perché ispirata alla natura) avrà dunque una base di un chilometro, riempita da una città con aree di approvvigionamento di tutti i tipi. E una struttura a spugna, cioè ricca di vuoti, e con una corteccia a elica (ancora vuoti) come quella di un albero. Un edificio tutto fatto perciò di membrane, cristalli e supporti in alluminio e acciaio, capaci cioè di far circolare l’aria. Dentro vi sarebbero 12 quartieri verticali, ognuno alto 80 metri e inframezzati di vuoti in modo tale che solo il 13% dello spazio risulta alla fine occupato da strutture. Vuoti anche tra un quartiere e l’altro, in modo da tenere isolati i piani in caso di incendio. Ogni quartiere (nel disegno a lato, l’illustratore Giorgio Pomella ha appunto isolato uno di questi quartieri) conterrebbe due gruppi di edifici, uno interno e uno esterno, con un piccolo lago al centro, terrazze e giardini tutt’intorno. In ogni quartiere 92 pilastri sosterrebbero la struttura e consentirebbero il trasporto di energia, comunicazioni, acqua, aria e abitanti. Infatti, gli abitanti (centomila almeno, più o meno l’intera Val d’Aosta) si muoverebbero all’interno dei 300 piani della Torre grazie a 368 ascensori sia orizzontali che verticali capaci di correre in certi punti anche a 54 chilometri l’ora. Dopo aver suscitato un certo interesse in Giappone, hanno fatto un pensierino alla torre i cinesi di Hong Kong: l’idea era quella di costruire un’isola artificiale di un chilometro di diametro, collegata con ponti e tunnel sottomarini. Per far fronte all’investimento si sarebbero affittati i moduli di 80 metri man mano che il grattacielo cresceva. Un quarto dei locali sarebbe stato adibito a uffici e abitazioni8, un altro quarto per infrastrutture di servizio, la restante metà - specialmente ai piani alti - hotel. Ci stanno pensando anche a Shangai: entro il 2050 questa città dovrebbe arrivare a 30 milioni di abitanti. Un progetto meno ambizioso ma ugualmente mozzafiato è intanto allo studio a Tokyo: un cono alto 850 metri, costruito su un’isola artificiale, fatto da quartieri di 30 piani con un metrò verticale capace di portare 160 passeggeri per volta per collegare i quartieri e ascensori più piccoli per andare da un piano all’altro.