Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
ìDare voce alla Scrittura. Manuale per proclamare la Parola in assembleaî
• L’Assemblea. «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro (Matteo, 18,20)».
• Meditazione. Chi deve leggere la Scrittura in Assemblea, ai fedeli riuniti, mediti intanto nei giorni precedenti sulle parole che dovrà pronunciare ad alta voce e si sforzi di capir bene che cosa significano veramente. Individui i passaggi decisivi, le parole-chiave in modo da esser poi capace, leggendo ad alta voce, di mostrare ai fedeli l’ossatura del testo. Pensi tra sè e sè a quello che ha letto, ovverossia - come dice la Chiesa - ”rumini”: non si tratta di farsi venire ”bei pensieri o conclusioni originali o idee risolutive”, non c’è bisogno di trasformare la preghiera in ”fantasia cerebrale”. Si tratta di creare uno spazio dentro di sè, un silenzio, nel quale la Parola possa fermentare.
• «Nella vita spirituale di tutti, anche dei grandi santi, ci sono dei periodi di profonda siccità».
• Ambone. «Il primo problema di chi si mette all’ambone è quello di catturare l’attenzione dei fedeli, con un atteggiamento e una voce adeguati alla situazione. Fondamentali, a questo proposito, sono i primi 25-30 secondi».
• Atteggiamenti. «E’ importante già il modo in cui ci si avvicina all’ambone: può rivelare sicurezza in se stessi, ma anche presunzione; un incedere trasandato, un abbigliamento non consono alla situazione, persino un’azione di per sè buona come un inchino davanti all’altare: sono molte le cose, anche apparentemente marginali, che possono rivelare una certa superficialità in chi si appresta a leggere e contribuire a distogliere l’attenzione dalla Scrittura».
• Corpo. «Il corpo necessariamente rivela ciò in cui si crede intimamente».
• Genuflessioni. «Nel portarsi al luogo deputato alla lettura, se passa davanti all’altare, farà davanti ad esso un leggero inchino, evitando genuflessioni presuntuose fatte per l’assemblea o quei micro-inchini con tanto di segno della croce più simile a una ”S” fatta per scacciare le zanzare che al segno-preghiera che la tradizione della Chiesa trasmette da secoli».
• Voce. La voce sia robusta e sicura.
• Volersi bene. «Se non sono ancora in grado di accettarmi e volermi bene come persona, difficilmente il mio respiro sarà abbastanza profondo da consentirmi una voce sicura; in certi casi arrogante, in certi casi arrendevole, ma mai sicura e sostenuta».
• Stima e autostima. «Chiedersi spesso: ”Con quale suono vocale ho detto questo?”, ”che significati ha detto, in più, la mia voce, oltre alle mie parole?” e ancora: ”il mio tono di voce che cosa ha rivelato all’altra persona - anche inconsciamente - della mia considerazione e della stima che ho nei suoi confronti?”; e ancora: ”che cosa dice il mio modo di essere voce della mia autostima? in positivo o in negativo, il mio modo di porgermi come voce rivela che immagine voglio che le altre persone vedano di me... ».
• Guardare. Mentre si legge la Scrittura, non guardare mai e, nello stesso tempo, guardare sempre l’Assemblea. Non guardarla, per non distrarla, e guardarla, anche, ”come che chi legge dicesse parole sue e non la Parola che è scritta nel Libro”
• Generi. Vi sono sei generi di testo, nella Scrittura: racconto, parabola; racconto epico; racconto poetico; profezia, oracolo; preghiera, salmo; Gesù che parla ai suoi. Bisogna cambiare il modo di leggere a seconda del testo. Non è possibile dire allo stesso modo San Paolo e un elenco dal libro dei Numeri.
• Attori. «Troppo spesso accade di ascoltare letture fatte male, monotone, imprecise, incapaci di rendere comprensibile e parlante il testo biblico”. E però ”evitare anche l’atteggiamento presuntuoso della persona che ”sa come si fa a leggere” e che per questo ha quasi il diritto di proclamare la Parola ogni domenica, arrivando anche a leggere più letture nella stessa celebrazione. L’antica tradizione della Chiesa prevedeva per ogni lettura una voce diversa: questo aveva creato anche libri diversi: quello del Profeta, quello dell’Apostolo, quello del Vangelo».
• Drammatizzare. Si dovrà dunque leggere in modo neutro, sì da restituire la purezza della Parola, o drammatizzando? In nessuno dei due modi, ma in un modo intermedio, che restituisca il senso del testo, ma non metta in primo piano la persona che legge. E fuori dalla liturgia? Come ci si deve comportare, ad esempio, in una lettura teatrale? Ecco una buona domanda, a cui si potrà rispondere con un’altra domanda: è giusto limitare la Parola alla funzione di suscitare emozioni?
• Amore. «Dietrich Bonhoeffer, teologo martire nel carcere nazista di Flossenburg, per spiegare come si dovesse leggere la Scrittura, ricordava spesso ai suoi allievi: ”Immaginate di trovarvi al fronte. Un vostro compagno d’armi vi porta, trepidante e impaziente, una lettera che gli arriva dalla sua amata. Non sa leggere e chiede a voi di farlo. Con che animo affrontate questa lettura? Con quale rispetto? Il ”ti amo” che leggete non è vostro, eppure esce dalla vostra voce. Siete uno strumento attraverso il quale il vostro compagno d’armi deve poter cogliere in pienezza l’amore contenuto nelle parole che voi dite, ma che non sono vostre, sono della sua amata”. E però: riuscirebbe l’amico che legge a far passare in pieno il contenuto della lettera se a sua volta egli non abbia provato che cosa significhi essere innamorato? ».
• Ritmo. Non si legge mai abbastanza adagio.
• Cellule. Essere capaci di ascoltare il suono vitale delle proprie cellule.