Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
Massimo Montanari
• Due ore. Fino al Seicento la pasta si mangia scotta: "Questi tali maccharoni vogliono bollire per spatio di doi hore" (ricetta dei ”maccaroni siciliani”, dal Libro de arte coquinaria di Maestro Martino, 1464 circa).
• Tre mesi. Durata del banchetto di nozze di Bonifacio di Canossa e Beatrice di Lorena, XII secolo: tre mesi, durante i quali le spezie, anziché tritate al mortaio, furono macinate ai mulini.
• Fanti. Razione militare della prima colazione del fante fino al 1916: "Fichi secchi gr. 120 o castagne gr. 150 o mandorle o noci o nocciole (col guscio) o formaggio gr. 40 od olive e sardelle od aringhe gr. 30 o mele fresche gr. 200". Nel 1917 la razione è cambiata con 8 grammi di caffè tostato e 10 di zucchero.
• Patate. Gli italiani che assaggiano per la prima volta la patata in America, nel XVI secolo, la paragonano per il gusto alla castagna. Il tubero si diffonde da noi durante le carestie del Settecento, col nome di ”tartufo bianco”, perlopiù come base per l’impasto del pane (al posto della farina di grano) e degli gnocchi (fino ad allora preparati con farina o pane grattugiato).
• Farro. La polenta, piatto forte della dieta contadina fin dall’epoca romana, quando era preparata con farina di farro e chiamata puls.
• Mais. Introdotto in Italia nella seconda metà del Cinquecento, il mais è usato per cucinare la polenta, preparazione che lo priva di alcune vitamine essenziali. Di qui, nel XVIII secolo, epidemie di pellagra per la monotonia dell’alimentazione (inconveniente evitato tra le popolazioni americane, che consumavano il mais bollito o arrostito, intero o a grani o impastato).
• ”Liber de coquina”. Il più antico ricettario italiano, forse destinato alla corte di Carlo d’Angiò re di Napoli, verso la fine del Duecento.
• Ricette. Esempio di stile conciso nella formulazione di una ricetta: "I maccheroni grossi tagliati alla lunghezza d’un mezzo dito si fanno quasi cuocere nel brodo di cappone" (Vincenzo Corrado, Cuoco galante, 1786, Napoli).
• Maiali. Nel Medioevo, l’unità di misura delle foreste è il maiale. Ad esempio, se una foresta è grande cento maiali, vuol dire che cento sono le bestie che lì possono nutrirsi fino a diventar belle grasse.
• Salame d’asino. Dal 1931 al 1969 scompare il trenta per cento dei salumi italiani, nei quindici anni successivi altre tredici varietà. Cause: la difficoltà di reperire certe materie prime, le mutate tecniche di allevamento, gli stravolgimenti climatici. Tra i salumi estinti lo zucco di Reggio Emilia e il salame d’asino del Pavese.
• Burro. Durante il Medioevo, la scelta del burro come condimento nell’Europa continentale è dovuta al sapore acre dell’olio di pessima qualità esportato al Nord dai mercanti italiani e spagnoli (da cui il detto inglese "as brown as oil", "scuro come l’olio").
• Sorbette. Nella seconda metà del Cinquecento si diffonde l’abitudine di ”bere fresco”, mescolando neve o ghiaccio all’acqua, al vino o ad altre bevande. Da questi esperimenti l’invenzione del sorbetto e poi di acque profumate (di pistacchio, di pinoli, di coriandolo, di anice, di finocchio, di grano). Il primo gelato: "sorbetta di latte, che prima sia stato cotto" (dal trattato di varie sorti di sorbette, scritto tra il 1692 e il 1694 da Antonio Latini, marchigiano, che apprese l’arte di "fabricar sorbette" a Napoli).
• Grasso e magro. La regola di non abbinare carne e pesce nello stesso pasto risale al calendario liturgico che fin dal IV secolo distinse i giorni ”di grasso” da quelli ”di magro”, con esclusione della carne nei primi. Nei giorni ”di magro”, tra l’altro, nel Medioevo era ammesso il formaggio.
• Caldo e freddo. Principio della medicina premoderna, chiamata galenica dal medico Galeno vissuto nel II secolo: l’uomo è in buona salute quando in lui sono equilibrati i quattro fattori, caldo e freddo, secco e umido, corrispondenti ai quattro elementi, fuoco, aria, terra, acqua. Di qui gli accostamenti gastronomici ancora in uso: formaggio con le pere e melone col prosciutto (l’uso di formaggio e prosciutto, caldi e secchi, per stemperare la frutta umida e fredda). Allo stesso scopo si cospargeva di sale il melone (come si fa tuttora in Francia).
• Traidue. Tra i neologismi coniati da Filippo Tommaso Marinetti, ne La cucina futurista, per sostituire vocaboli stranieri: ”polibibita” per cocktail, ”pranzoalsole” per picnic, ”traidue” per sandwich.
• Pasta. Già i romani impastavano farina e la stendevano in una larga sfoglia chiamata lagana (poi ”lasagna”), tagliata in larghe falde e cotta al forno insieme al suo condimento. Nel Medioevo variano forma (larga, stretta, corta, lunga, forata, ripiena), e modo di cottura: la pasta si fa bollire nell’acqua, nel brodo o nel latte. L’invenzione della pasta secca a lunga conservazione si deve agli arabi, che ricorrono all’essiccazione per garantirsi scorte alimentari durante gli spostamenti nel deserto. Nel XII secolo il geografo Edrisi segnala la fabbrica di pasta secca di Trabia, a trenta chilometri da Palermo, da dove partivano molte navi per esportarla in Calabria e in altri paesi musulmani e cristiani.
• Leggerezza. Nel Settecento gli illuministi italiani teorizzano la necessità di bandire dalla tavola i sapori forti. Pietro Verri, sul ”Caffè”: "Nessun cibo d’odor forte è ammesso alla nostra mensa". "Tale è il nostro pranzo, che terminiamo con un’eccellente tazza di caffè, soddisfatti, pasciuti, e non oppressi da grossolano nodrimento, dal quale assopito lo spirito spargerebbe la noia della società nostra" (Montanari, Nuovo Convivio).