Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 18 novembre 2000
Lo stomaco della Repubblica
• «Non vi è nulla di umano nella voce della fame. E’ una voce che nasce da una zona misteriosa della natura dell’uomo, dove ha radice quel senso profondo della vita che è la vita stessa, la nostra vita più segreta e più viva» (Curzio Malaparte).
• «Nel dopoguerra, il pane era "un impasto mostruoso di frumento, granturco, ceci, scorze d’olmo e foglie secche di gelso. Cambiava colore, oltretutto, da un giorno all’altro diventava bianco, poi nero, per tornare a un ’accettabile grigiore’. Pietro Ingrao, una volta, vide in una vetrina di viale regina Margherita "una di quelle cose informi nominata pane. Sapevo benissimo che non era nulla di simile al pane. Ma ho detto: lo mangio lo stesso. Appena ho dato il primo morso, l’ho sputato"».
• A Roma, nell’immediato dopoguerra, ci furono almeno due imponenti marce per la pace. Nella prima, del dicembre 1944, le rivendicazioni erano "300 grammi di pane, un etto di pasta, un litro d’olio al mese e provvedimenti per il ribasso dei prezzi". Il più animoso dei manifestanti, a nome Carmelo Micciché, autoproclamatosi ’capo del popolo affamato’, arrivò fin sulla porta della stanza del capo del governo Bonomi.
• «Certe sere, a palazzo Giustiniani, sede provvisoria della Presidenza della Repubblica, Enrico De Nicola arriva al punto di cucinarsi da solo un paio di uova al tegamino, come l’ultimo dei travet».
«A Montecitorio, dove in attesa delle elezioni si riusnisce la Consulta, un ristorante non è neppure immaginabile. I consultori sono alloggiati per la massima parte all’hotel "De la Ville", al prezzo di cento lire per notte e Altrettante per un pasto proporzionato alla mitezza delm prezzo: una minestrina, carne o uova con contorno e per frutta una melina rugosa». «Il massimo del lusso - e dell’invidia istituzionale - tocca a Palazzo Chigi, sede del ministero degli Esteri, per via di certe sontuose coppe di gelato di Ronzi&Singer che compaiono talvolta durante le riunioni. Al Viminale, cioè alla Presidenza del Consiglio, De Gasperi offre anche di notte acqua e vermut».
• Saragat, in carcere, intratteneva i compagni di cella indugiando nella preparazione virtuale di varie pietanze.
• Abitudine di Palmiro Togliatti di pranzare con un cartoccio di pane e mozzarella senza nemmeno apparecchiare la tavola. La sera mangiava filetti di baccalà accompagnati da vino dei Castelli in qualche modesta pizzeria. Questa suo tenore di vita impensieriva Stalin, tanto che, in un verbale dell’incontro tra il leader sovietico e Pietro Secchia... (pag. 25)
• Nel 1945 il governo della Repubblica Sociale trasformò d’autorità i ristoranti in mense del popolo, a prezzo fisso. Giorgio Almirante, nella sua autobiografia, ricorda che il menu «non era decisamente pantagruelico»: «Una minestra con qualche vagante filo di pasta o chicco di riso; un quarto - ho detto un quarto - di uovo sodo con una foglia - ho detto una foglia - di insalata costituivano il pasto; il prezzo di lire 18. Un panino supplementare costava lire 3. Quando potevo acquistarlo me lo conservavo gelosamente per la sera. E la cena era costituita da quel panino e da un etto di frutta. Nei giorni felici la mia grande gioia era costituita da un bel pezzo di castagnaccio, di cui ero sempre andato ghiotto».
• Una volta il presidente Luigi Einaudi invita a pranzo alcuni giornalisti e intellettuali, tra cui Flaiano. Giunti alla frutta, «il maggiordomo recò un enorme vassoio del tipo che i manieristi olandesi e poi i napoletani dipingevano due secoli fa: c’era di tutto eccetto il melone spaccato. E tra quei frutti delle pere molto grandi. Einaudi guardò un po’ sorpreso tanta botanica, poi sospirò: "Io prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerne una con me?”. ”Il presidente, cioè, si preoccupava di sprecare mezza pera [...] Il maggiordomo si fece rosso, non gli era mai accaduto. Flaiano, come tutti, ebbe un attimo di sgomento. Poi alzando la mano ("per farmi vedere, come a scuola"), accolse l’invito ed ebbe servita l’altra mezza pera».
• Due volte l’anno, Einaudi apriva il palazzo e dava da mangiare ai poveri, con tanto di corazzieri in alta uniforme, valletti e camerieri in guanti bianchi.
• Nel 1953, a tre mesi dalle elezioni, la Democrazia cristiana fece arrivare a Napoli circa 14.000 "pacchi dono" da distribuire in città. Achille Lauro, sindaco della città e candidato per i monarchici, replicò offrendo pasta calda con secondo piatto. L’8 aprile 1953 venne inaugurata, al Mercatino dei fiori, una mensa capace di approntare circa mille pasti l’ora. Tutti potevano mangiare gratis, purché muniti di tessera monarchica o dei "buoni famiglia" distribuiti nelle sezioni del partito laurino.
• Emilio Taviani, che si dilettava in gastronomia, ha scritto, sotto pseudonimo, un trattatello sui ravioli.
• Cibi consumati alla Festa dell’Unità di Bologna nel 1987: 250.000 uova, 120 quintali di pesce, 180 di suino, 110 di cacciagione, 50 di polenta, 6000 lumache, 800 chili di wurstel, 45 quintali di prosciutto, 25 di formaggio. Anatemi del cardinal Biffi contro Bologna "epicurea".
• Una volta Umberto di Savoia, in oriente, per non dispiacere chi gli aveva preannunciato con orgoglio un cibo «degno della mensa degli dei», fu costretto a mangiare delle «cavallette fritte in un olio denso e maleodorante». Qualcuno del suo seguito fece sparire il cibo degli dei sotto il tovagliolo. Lui no. «Io mi feci coraggio e inghiottii, una dopo l’altra, le abominevoli cavallette. Fu un supplizio atroce, ma all’anfitrione che mi guardava con aria trionfante riuscii persino, tra un boccone e l’altro, a rivolgere qualche pallido sorriso di compiacimento».
• Nel 1962, durante un pranzo al Circolo Ufficiali di Palazzo Barberini in onore dei cappellani militari giunti da tutto il mondo per il Concilio, un cameriere perse l’equilibrio rovesciando un vassoio sul grande mantello di porpora del cardinal Suenens. Giulio Andreotti: «Avemmo lo spettacolo insolito di una discesa di roast beef, di fagiolini, di asparagi e di salse oleose su un ferraiolone cardinalizio. A rendere più complicato il tutto intervenne la pietosa iniziativa del maître ottimista, convinto che bastasse un po’ di talco per togliere le vestigia delle sbrodolature. L’effetto fu una sorta di pastella su fondo purpureo, che avrebbe forse potuto essere spacciata per un quadro d’avanguardia».
• «Mangiare vuol dire bruciarsi sull’altare del gusto, immolarsi alle perversioni del piacere e del dolore, e impataccarsi» (Giuliano Ferarra).
• Cena preparata da Vissani quando D’Alema riceve a Palazzo Chigi Chernomyrdin, il mediatore russo per la pace nei Balcani: antipasto di gamberoni rossi con lasagne al cacao, cipolla di Cannata, salsa al burro e aglio; risotto con asparagi di bosco, ragù di pollo e burro di acciuga; nocetta di vitello al fois gras, salsa di tartufo bianco e crespelle di spinaci; infine, sfoglia di mele annurche su salsa di Calvados e vaniglia.
• Totò Riina, rinchiuso nella dépendance di Cala d’Oliva, all’Asinara, in cella ha un frigorifero e può farsi da mangiare: riso o pasta al sugo, una fettina di carne o di pollo. ha comperato e bevuto vino solo a Natale. Ogni mattina il direttore del carcere, con una valigetta 24 ore, gli fa personalmente la spesa per evitare rischi d’avvelenamento.