Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  febbraio 14 Lunedì calendario

Bush II: un mandato di non proliferazione nucleare
Il primo mandato di George W

• Bush II: un mandato di non proliferazione nucleare
Il primo mandato di George W. Bush fu dominato dalla guerra al terrorismo. Il secondo sarà contraddistinto dagli sforzi per arginare la diffusione delle armi nucleari. La settimana scorsa il presidente iraniano Mohammad Khatami ha fatto sapere che Teheran non intende rinunciare alla sua tecnologia nucleare ed ha promesso che "se gli Stati Uniti attaccheranno troveranno ad aspettarli un inferno di fuoco"; pressoché in contemporanea, la Corea del Nord ha ammesso per la prima volta di aver prodotto l’atomica ("per fronteggiare la politica di Washington tesa a isolare e soffocare").
• L’annuncio di Pyongyang non è una sorpresa. Da tempo a Washington pensano che la Nord Corea abbia pronte due armi atomiche. Altre quattro o cinque, si indovina, potrebbe fabbricarle con l’uranio già riprocessato. Condoleezza Rice: "Da almeno dieci anni gli Stati Uniti sono perfettamente a conoscenza delle capacità tecnologiche di quel regime". Insomma, si parla di 6-7 bombe che potrebbero raggiungere i cugini del Sud, l’India, l’Australia, il Giappone, la Russia.
• La Corea del Nord ha 24 milioni di abitanti. Lavazza: "Almeno due milioni sarebbero morti di fame dalla metà degli anni Novanta a causa di carestie e insipienti scelte economiche da parte di un governo che ha sigillato le frontiere, impedito scambi commerciali e perfino l’arrivo di aiuti, dopo aver distrutto il tessuto produttivo con ”piani” ben peggiori di quelli tristemente famosi in Urss. Una delle ultime roccheforti comuniste è degenerata da tempo in un immenso lager per i suoi abitanti: culto della personalità del leader, qualunque opposizione vietata, 200 mila internati, torture ed esecuzioni di massa. Mentre la gente era - ed è - ridotta a mangiare l’erba, nel 2002 è stato riavviato il programma nucleare bellico".
• Kim Jong Il gioca d’azzardo. Obiettivo: alzare la posta in vista della ripresa dei negoziati a sei con Cina, Giappone, Russia, Sud Corea e Usa. Lavazza: "L’annuncio della disponibilità di armi atomiche sembra l’ultimo tentativo di rilancio in una partita di poker tanto più pericolosa quanto più i giocatori sono disperati o sconsiderati. E Kim Jong Il sembra incarnare entrambe le condizioni". Dinucci: "Evidentemente Pyongyang ha imparato la ”lezione irachena”, ma non come vorrebbero a Washington: visto che, pur avendo Baghdad accettato le ispezioni e non essendo state trovate armi di distruzione di massa, gli Usa hanno attaccato l’Iraq, i nordcoreani hanno dedotto che avere le armi nucleari è meglio che non averle e essere accusati di volerle fabbricare".
• Il braccio di ferro cominciò pochi giorni dopo l’elezione di Bush. Anna Guaita: "Ansioso di non seguire le orme del predecessore, Bill Clinton, Bush aveva interrotto il dialogo con la Corea del Nord, nella convinzione che il regime stesse barando. Bush ha rifiutato per due anni di riaprire il negoziato a due, e il dialogo è ripreso solo quando altri Paesi della regione hanno accettato di organizzarlo in modo ”collegiale”. Ma quei negoziati si trascinano da tre anni senza grandi risultati, e le posizioni dei due oppositori sono rimaste invariate. Bush, che periodicamente riconferma di voler trovare una soluzione negoziale e non militare, vuole che la Corea del Nord firmi un impegno a non produrre armi nucleari, e solo dopo questo impegno promette gli aiuti economici di cui il regime di Pyongyang ha un bisogno disperato. Il regime vuole invece il contrario: prima gli aiuti, poi l’impegno a non produrre armi".
• Gli Usa possono combattere simultaneamente due conflitti regionali in zone diverse del pianeta. O almeno così prevede la ”dottrina Rumsfeld”. Ma si tratta di uno scenario rischioso. Dinucci: "La soluzione di un attacco ”chirurgico” contro l’impianto nucleare nordcoreano di Yongbyon non sembra più praticabile. Se le forze armate nordcoreane possiedono testate nucleari, le hanno probabilmente già installate su missili balistici in rampe di lancio distanti l’una dall’altra. Se gli Usa attaccassero, la Corea del Nord, anche possedendo poche e rudimentali armi nucleari, potrebbe reagire usandole contro basi Usa a portata di tiro dei suoi missili balistici. Una guerra contro la Corea del Nord sarebbe, inoltre, molto più rischiosa anche perché si svolgerebbe ai confini con la Cina e coinvolgerebbe un suo alleato. Che fare allora? Evidentemente a Washington hanno in mente una soluzione ”diplomatica”".
• Se non è possibile far cambiare idea al governo nordcoreano, cambiamo quel governo. questa la strategia della Casa Bianca. Ma per farlo occorre la collaborazione di Pechino, i cui copiosi aiuti sono indispensabili alla sopravvivenza del regime di Kim Jong Il. Rampini: "Da un lato le autorità di Pechino stanno spingendo Pyongyang a introdurre l’economia di mercato, con qualche risultato. D’altra parte è evidente che i cinesi non usano tutto il proprio potere di pressione per costringere i nordcoreani al disarmo atomico. Forse temono la riunificazione delle due Coree, il cui effetto sarebbe un aumento dell’influenza americana nell’area". Ralph A. Cossa, presidente del Pacific Forum CSIS: "Sarebbero in pochi a versare lacrime se cadesse Kim Jong Il; ma l’incertezza e i rischi connessi a un cambio di regime sembrano di gran lunga più alti dei presunti benefici. Da parte loro, Pechino e Mosca ritengono utile la Nord Corea come Stato cuscinetto".
• Nonostante tutto, gli Stati Uniti mostrano cautela. Prevale l’idea che la Corea del Nord non avrà mai il coraggio di premere il grilletto. Lavazza: "Non per questo il dossier Pyongyang va sottovalutato. Fino dove si spingerà Kim Jong Il? Gli effetti annuncio stanno per esaurirsi. Potrà tornare a trattare, guadagnando altro tempo per la sua presidenza a vita (ha 64 anni), oppure insistere in una delirante ”guerra psicologica” con Bush. noto che vuole dialogare direttamente con Washington, ma finora non ha ottenuto un tale ”riconoscimento”. Il dilemma dell’Occidente è dato dal fatto che qualche concessione potrà evitare un rischio di conflitto, ma la conservazione dello status quo viene fatta sulla pelle di milioni di nordcoreani".
• Ben diverso è il tono con cui l’amministrazione Bush si rivolge all’Iran. Che non possiede armi nucleari ma che (come già l’Iraq) viene accusato di volerle fabbricare. Ennio Caretto: "Secondo esperti come William Arkin, l’ex direttore del ”Bulletin of the Atomic Scientists”, la disparità non è dovuta tanto al fatto che la Corea del Nord possieda già l’atomica e l’Iran no, quanto al diverso contesto regionale e politico in cui i due Paesi operano. La Corea del Nord è incapsulata tra grandi potenze, Russia, Cina e Giappone, l’Iran è al centro dell’area più calda del mondo, e sospettato da Bush di sponsorizzare il terrorismo".
• Il governo iraniano è nel mirino per due dossier pericolosamente intrecciati. Parsi: "è fortemente indiziato di avere un programma clandestino di sviluppo di armamenti nucleari. ritenuto uno dei principali sponsor di formazioni terroristiche mediorientali, principalmente Hezbollah. Il pericolo è quindi duplice. Il regime di Teheran potrebbe divenire una grande potenza regionale in grado di sfidare Israele (aspirazione di cui non fa mistero) e insieme la fornitrice di bombe nucleari sporche per i terroristi mediorientali. Diciamo subito che se all’Iran dovesse essere applicato lo stesso metro di giudizio utilizzato nei confronti del regime di Saddam, ne deriverebbe la sostanziosa eventualità di un conflitto. Allo stesso tempo, e al di là delle evidenti considerazioni morali che non giustificano la guerra, ci sono altri motivi che fanno ritenere che un’iniziativa militare contro l’Iran non sia alle viste. La situazione irachena è ben lungi dall’essere sotto controllo e le forze della coalizione possono desiderare tutto tranne che aprire un nuovo fronte".
• L’Iran insiste che gli scopi del suo programma nucleare sono pacifici. Teheran sostiene, legittimamente, che come firmatario del Trattato di Non Proliferazione nucleare ha diritto di dotarsi di un ciclo autonomo per l’arricchimento dell’uranio (anche se, tecnicamente, questo può servire anche a costruire bombe atomiche). Khatami: "Consideriamo l’arricchimento un nostro diritto e non vi rinunceremo". [2] Richard Russell, consulente della Cia: "Gli iraniani sostengono che hanno bisogno dell’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari per soddisfare le esigenze interne, mettendo così a disposizione il petrolio per l’esportazione e per la valuta estera. Queste affermazioni, tuttavia, hanno un punto debole. L’industria petrolifera iraniana potrebbe essere modernizzata e resa più redditizia e produttiva investendo minori risorse economiche di quelle necessarie per l’energia nucleare, in modo da fornire energia alla popolazione iraniana a bassi costi, aumentando nel contempo la produzione per il mercato internazionale". Kissinger: "In realtà, l’Iran vuole crearsi uno scudo per scoraggiare interventi esterni nella sua politica estera, che ha basi ideologiche".
• L’Iran dispone di allarmanti capacità d’arricchimento dell’uranio. Russell: "L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica nel febbraio 2002 ha scoperto che il regime stava costruendo un impianto sofisticato per l’arricchimento di uranio a Natanz, 200 miglia a sud di Teheran. L’Aiea ha individuato 160 centrifughe installate in un impianto pilota a Natanz e 5.000 nuove centrifughe che devono essere completate entro il 2005 in un impianto di produzione vicino. Dopo il completamento di questa struttura, l’Iran sarà in grado di produrre uranio arricchito sufficiente per la costruzione di diverse bombe nucleari all’anno".
• L’opzione militare bloccherebbe il programma nucleare iraniano. Russell: "Questa soluzione potrebbe modificare il calcolo strategico di Teheran, in modo che il regime consideri le armi nucleari non come qualcosa che potenzia la sicurezza dello Stato, ma al contrario come un elemento che aumenta le prospettive di conflitto con gli Stati Uniti e che minaccia la stessa permanenza dei clericali al potere. La superiorità militare americana sull’Iran offre a Washington un’ampia gamma di opzioni militari per mettere alle strette Teheran". Mohammed ElBaradei, direttore generale dell’Aiea: "L’Iran ha accettato le ispezioni. Finora non abbiamo trovato alcun materiale che potrebbe essere utilizzato a fini bellici. Piuttosto che parlare di iniziative militari, gli Usa dovrebbero appoggiare con tutta la loro influenza questo processo. Non possiamo farcela senza di loro. A che cosa servirebbe un blitz? Gli iraniani hanno già conoscenze e tecnologia per costruire una bomba. Un attacco servirebbe soltanto a far continuare tutto di nascosto".
• Tra i diplomatici occidentali a Teheran, nessuno considera fattibile l’opzione militare. Vannuccini: "Gli iraniani ne sono consapevoli, dicono, e per questo fanno la voce grossa. Se l’opzione militare fosse fattibile - diceva qualche giorno fa un diplomatico tedesco - gli americani l’avrebbero scelta da un bel po’. Anche se gli Stati Uniti stessero effettivamente conducendo missioni segrete per individuare i potenziali obbiettivi da colpire, come ha sostenuto Hersh sul ”New Yorker”, questi obiettivi sono troppo numerosi per non provocare ”danni collaterali” inaccettabili, in termini di vittime tra la popolazione iraniana". Russell: "La minaccia di un’invasione dell’Iran non dovrebbe perdere consistenza, perché può essere usata per sostenere la forza coercitiva della diplomazia per costringere il Paese ad accettare i controlli internazionali intensivi in modo da accertare la sua conformità al Trattato di non proliferazione. Il passo più imprudente che un uomo di Stato possa compiere è infatti quello di far sapere al proprio avversario ciò che non è preparato a fare: ciò mina profondamente il potere di esercitare una leva politica per realizzare i suoi interessi senza ricorrere alla forza".
• L’attacco Usa potrebbe avere due effetti sulla politica interna iraniana. Russell: "Da una parte, le operazioni degli Usa potrebbero minare il regime, poiché molti iraniani li vedrebbero come un’ulteriore prova che esso è l’unico responsabile dell’isolamento dell’Iran dalla comunità mondiale e della sua stagnazione economica. Dall’altra, i religiosi afferrerebbero al volo l’occasione degli attacchi come prova di una campagna americana egemonica per conquistare il Medio-Oriente e il suo petrolio, e userebbero ciò come una giustificazione di misure di sicurezza nazionali repressive per mantenere il potere". Il Nobel Shirin Ebadi e Hadi Ghaemi di Human Rights Watch: "Le Ong sono di vitale importanza per i diritti umani in Iran, ma la minaccia di un intervento militare straniero darà agli elementi più autoritari una forte giustificazione per procedere allo sradicamento di tali gruppi e porre fine alla loro crescita. Coloro che violano i diritti umani sfrutteranno quest’opportunità per mettere a tacere coloro dai quali sono criticati".
• Agli Usa non resta che accettare l’atomica iraniana? In fondo hanno già accettato quelle possedute da Israele, Pakistan, India e, forse, Corea del Nord. Russell: "Quello che conta veramente è capire che gli intransigenti potrebbero in futuro controllare o dirigere i trasferimenti delle armi nucleari anche se questa non fosse la politica voluta direttamente dal regime. Se una città americana dovesse venire attaccata da un’arma nucleare iraniana, sarebbe del tutto irrilevante l’appartenenza o meno dei responsabili a bande criminali o alla corrente principale del governo di Teheran. Teheran potrebbe calcolare che un deterrente nucleare le darebbe più libertà d’azione per sostenere i militanti nel Medio-Oriente, compreso Hezbollah, l’islamico Jihad e Hamas".
• La liberalizzazione del regime iraniano è la sola strada possibile? Parsi: "Un Iran democratico e rispettoso della sovranità degli altri Paesi, disponibile a collaborare alla ricerca di una pace nella giustizia e nella sicurezza per israeliani e palestinesi darebbe un contributo determinante alla stabilità della regione". Kissinger: "Mano a mano che sempre più Stati entrano in possesso di armi nucleari, il deterrente nucleare diventa sempre più debole e inaffidabile. Diventa anche più difficile stabilire chi trattenga chi dall’agire, e in base a quali considerazioni. Infine, l’esperienza della rete privata di proliferazione nucleare fra l’’amico” Pakistan e Corea del Nord, Libia e Iran, dimostra le vaste conseguenze che ha sull’ordine internazionale la diffusione delle armi nucleari, anche quando la nazione che sta sviluppando l’armamentario nucleare non rientra nella definizione di ”stato canaglia”. Per tutti questi motivi, occorre opporsi alla proliferazione nucleare in sé, a prescindere dalla sua provenienza. Il fatto che un regime che imbocca la strada della proliferazione nucleare sia riprovevole aggrava il problema e lo fa sentire più urgente, ma non è il fattore decisivo. Dovremmo impedire la proliferazione nucleare anche a un Iran democratico".