Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 luglio 1999
Mahvash (significa ”simile alla luna”), 21 anni, iscritta ad Architettura: «Un paio di mesi fa abbiamo organizzato una festa a casa di amici
• Mahvash (significa ”simile alla luna”), 21 anni, iscritta ad Architettura: «Un paio di mesi fa abbiamo organizzato una festa a casa di amici. Abbiamo messo le coperte alle finestre per non essere visti, per cantare e ballare in pace e senza chador. Un vicino ha chiamato i pasdaran che hanno fatto irruzione proprio mentre stavamo ricoprendoci la testa. Ma hanno sequestrato le macchine fotografiche ed i rullini. Li hanno sviluppati, mi hanno visto senza chador e in pantaloni accanto a un mio amico [...] finita che i miei hanno portato l’atto di proprietà della casa come garanzia economica per la mia liberazione, sono tornata a casa e due settimane dopo ero davanti al giudice. Il quale mi ha condannato a trenta frustate».
• Yahya Rahim Safavi, comandante delle guardie della rivoluzione islamica, la polizia politica del regime degli ayatollah. «I liberali hanno preso il controllo delle nostre università, i nostri giovani intonano lo slogan ”morte alla dittatura”, come possiamo sventare il pericolo rappresentato da un’America che divora il mondo, limitandoci a parlare di cultura e civiltà. [...] Ne ho parlato con il ministro della Cultura e gli ho detto che le sue aperture mettono in pericolo la sicurezza nazionale. [...] Dovremmo tagliare a qualcuno la testa e a qualcun altro la lingua».
• L’ayatollah Khamenei, succeduto nel 1989 al defunto imam Khomeini nella ”guida spirituale della nazione”, è visto come l’espressione della volontà di Allah (secondo Igor Man è «una mezzacalzetta del clero radicale»). Controlla il Parlamento, il ministero della Giustizia, l’Assemblea degli esperti (nomina la guida spirituale), le forze armate, i servizi segreti e i pasdaran. Il presidente della repubblica Mohammed Khatami, visto come l’espressione del popolo, fu eletto due anni fa con il 70 per cento dei suffragi. Laureato alla scuola teologica di Qom, conoscitore della filosofia occidentale, fluente in arabo, inglese e tedesco, traduttore delle opere di Kant e di Tocqueville, è un riformatore (non un rivoluzionario) (Dina Nascetti).
• Nel novembre scorso, otto intellettuali e politici vicini all’ala riformista sono stati uccisi in circostanze sospette. Un mese prima (c’è l’ammissione del ministro dell’Informazione Gorbnanali Dorri Najafabad) agenti dei servizi segreti avevano ucciso i più noti leader dell’opposizione laica e democratica, Parvaneh Dariush Forouhar e la moglie (Dina Nascetti).
• Nel 1997 i servizi segreti avevano organizzato un viaggio in Armenia per un incontro tra scrittori iraniani e armeni con l’intenzione di far precipitare in un burrone il pullman degli iraniani (il piano fallì). Il quotidiano riformista ”Salam” ha pubblicato una lettera nella quale si raccontava questa storia, ed è stato immediatamente chiuso. Questo provvedimento ha scatenato manifestazioni di protesta represse nel sangue dai reparti antisommossa. I tribunali speciali sono già mobilitati per giudicare e condannare (anche a morte) molti studenti (Dina Nascetti).
• Il potere in Iran non è condivisibile. «La divergenza di opinioni e di obiettivi, che all’inizio della presidenza di Khatami era considerato un elemento fondamentale di democrazia, ora sembra diventare fatale. Il potere in Iran non è condivisibile; è un blocco unico. Chi perde il potere perde tutto» (un docente universitario iraniano che ha scritto sulla ”Repubblica” del 17 luglio con lo pseudonimo di Sadegh Afshar).
• Per gli studenti, dietro agli scontri ci sono i nemici di Khatami. Ali Afshari, giovane leader del movimento di protesta: «Gli esecutori sono i cosiddetti integralisti islamici dell’Ansar-e Hezbollah, ma i mandanti appartengono a circoli potenti. Sono gli stessi che hanno ordinato la catena di uccisioni di intellettuali dissidenti [...] Noi dell’organizzazione pensiamo che i sit-in pacifici, all’interno dei campus, siano meglio dei cortei [...] Ma molti sono stati istigati dai provocatori infiltratisi tra gli studenti».
• Per Abolghassem Rezaii, leader dell’organizzazione armata che dalle sue basi in Iraq combatte il potere teocratico iraniano, Khamenei e Khatami sono in realtà alleati: «Non si può dire che Khatami sia un moderato. Ha avallato molte esecuzioni in questi ultimi due anni. Non si è schierato apertamente contro il regime dopo l’uccisione degli intellettuali dissidenti. L’Occidente deve capire che Khatami non è con noi, è con Khamenei. Quando il popolo ha chiesto la libertà, lui ha sparato».
• Per il clero i manifestanti sono manovrati dagli Stati Uniti. Hason Taheri Khorramabadi: «Gli Stati Uniti pensavano che bastasse distruggere qualche auto per distruggere la nostra rivoluzione, è chiaro che sono stati loro a dirigere gli incidenti». Il regista Abbas Kiarostami: «Il peggior pericolo che corriamo oggi è l’interferenza di forze esterne, siano esse iraniane o straniere». Sergio Romano su ”l’Unità” del 15 luglio: «Se un governo europeo dovesse esprimersi ufficialmente in favore del movimento studentesco offrirebbe una straordinaria arma propagandistica per i seguaci di Khamenei: ”vedete, hanno il sostegno dell’’Occidente”, e dunque sono ”nemici della rivoluzione”». Marvin Cetron, autore del rapporto 2000 per la Cia e l’Fbi sui focolai di tensione regionali: «Ricordiamoci di quello che successe quando gli Usa intervennero negli affari interni iraniani: dai colpi di Stato alla rivoluzione islamica. L’avvento del khomeinismo fu anche colpa nostra».
• Michael Barry, esperto dell’Islam, intervistato da Barbara Spinelli per la ”Stampa” del 16 luglio: «Sono state talmente catastrofiche le politiche dell’America e dell’Occidente in Iran, che un qualche ripensamento immagino ci sarà».
Perché catastrofiche?
«Perché gli americani si sono ossessivamente fissati sull’Iran, mostrando un’ostilità non necessariamente ingiustificata ma confusa, disordinata. Inoltre non hanno capito nulla, proprio nulla, di quel che accadde nel ’79. Non hanno capito, innanzitutto, che il ’79 non era solo una rivoluzione religiosa. Era il primo tentativo, da parte di Teheran, di prendere in mano il proprio destino, di acquisire lo statuto di una potenza non asservita alle compagnie petrolifere prima russe, poi inglesi, poi tedesche, e per finire americane [...] Lo scià Reza Pahlevi tentò di surrogare le proprie responsabilità con una frenesia di nazionalismo esasperato [...]»
Dopo di che è scoppiata la rivoluzione integralista-indipendentista di Khomeini, e le amministrazioni Usa, sorprese, indignate, hanno cominciato una strategia il più delle volte fallimentare.
«Il primo sbaglio, enorme, lo ha compiuto il regime di Khomeini: quando ha sfidato apertamente l’Arabia Saudita, e si è candidato come unico inconfutabile rappresentante dell’Islam. a quel punto che le amministrazioni Usa hanno cominciato le loro strategie di contenimento folle, alzando dighe intorno a Teheran e appoggiando i regimi più conservatori, più crudeli, spesso infinitamente più integralisti dell’Iran stesso [...]».
• L’islamismo, a soli vent’anni dal trionfo della rivoluzione iraniana, è dovunque in declino. Bernard Guetta sulla ”Repubblica” di sabato (traduzione di Elisabetta Horvat): «A Teheran il problema che ora si pone è come uscirne evitando un caos sanguinoso. E in Algeria, dove è stato così vicino alla vittoria, sta deponendo le armi, diviso, frammentato, svalutato. Regredisce in Turchia, ha appena perso una guerra in Pakistan e arranca nelle banlieus francesi. In Egitto, la culla dove era nato negli anni 20, si è screditato con il massacro di Luxor, che ha penalizzato il turismo, prima fonte di redditi per una popolazione in miseria».
• Musulmani senza alternative. Sergio Noja, storico del mondo arabo, non è d’accordo con chi parla di rivoluzione contro l’Islam: « una forzatura arbitraria di chi non vuol prendere atto di una realtà incontestabile... Non ci rendiamo conto quando parliamo dei popoli dell’Islam, sino all’Indonesia, che essi sono musulmani senza alternative: basti pensare alle repubbliche centroasiatiche dell’ex Unione Sovietica. L’Islam è la loro religione, e l’elemento costitutivo e inalienabile di un’identità culturale condivisa [...] Non è contro l’Islam che gli studenti si rivoltano, ma contro l’uso strumentale, a fini di potere, che l’integralismo fa dei principi islamici».
• Come già in Urss, una parte dei duri punta sul Gorbaciov locale, cioè su Mohammed Khatami. «Khatami, come a suo tempo Gorbaciov, punta sulla stampa, sulla società civile e sul crescente potere dei sindacati e delle organizzazioni sociali. Le sue armi sono la popolarità di cui gode e l’impazienza della popolazione, mentre quelle dei suoi avversari sono l’esercito, le fondazioni e le milizie islamiste» (Bernard Guetta). Patrick Clawson, uno dei maggiori esperti americani sull’Iran: «La Francia finora ha sbagliato nell’esprimere l’appoggio incondizionato a Khatami, mentre Washington una volta tanto ha visto giusto nel limitarsi a generiche lodi per le forze di cambiamento e di libertà. Mi spiego: è sempre sbagliato personalizzare il sostegno a una politica, e lo è ancora di più nel caso del presidente iraniano [...] Non dimentichiamoci che il suo obiettivo non è di riportare l’Iran nel mondo moderno, ma di rafforzare la rivoluzione islamica attraverso una serie di riforme che possano accentuare la sua popolarità».
• Stiamo commettendo con l’Iran gli stessi errori che abbiamo commesso con l’Urss? «Alle spalle dell’islamismo, come del comunismo, vi sono società in movimento, classi e interessi in contrapposizione tra loro. Riguardo all’Iran non si può ragionare - come non si sarebbe dovuto fare con l’Urss - in base a categorie di ”duri” e di ”liberali”. Una parte dei duri si ostina a negare la realtà e rifiuta qualsiasi evoluzione; mentre altri [...] si rendono conto che il regime non può più continuare a imporre ai giovani il puritanesimo assoluto, e neppure a escludere l’economia iraniana dal mondo. Questi ultimi accettano il cambiamento, anzi lo chiedono [...] ma per procedere come i cinesi, senza apertura politica e mantenendo il controllo sull’apertura economica».
• Il post islamismo è in marcia. Resta da trovare la via della transizione. Per Patrick Clawson ci sono tre possibile scenari: nel primo la rivolta viene soppressa in una sorta di Tienanmen; nel secondo Khatami riesce a canalizzare la rivolta rafforzando il fronte riformista; nel terzo, il più probabile, l’onda di protesta si smorza lentamente («ma anche in questo caso l’Iran non sarà mai più lo stesso»).
• L’esito dello scontro in Iran può cambiare la mappa della regione. Alberto Negri sul ”Sole-24 Ore” dell’11 luglio: «Gli Usa hanno due obiettivi in Medio Oriente: il rilancio del processo di pace con la Siria attraverso il governo Barak e la definitiva sistemazione della questione irachena. Ma l’eliminazione dalla scena di Saddam richiede mosse complesse che coinvolgono anche gli iraniani: gli arabi sciiti in Irak, cugini degli iraniani, rappresentano la maggioranza della popolazione nel sud dell’Irak e nelle aree petrolifere».
• il petrolio, naturalmente, che fa dell’Iran un paese importante. Ancora Alberto Negri, il 13 luglio: «Teheran è uno dei partner principali dell’Eni, uno dei più importanti fornitori di petrolio dell’Italia e in un futuro prossimo anche di gas. E in Iran l’Eni quest’anno è tornata a sfidare gli americani, cioè le sanzioni imposte da Washington, firmando insieme alla francese Elf un accordo di sfruttamento per i pozzi di Doroud. L’Eni si è spinta anche più avanti, stringendo un’intesa con la società statale Nioc per realizzare un’impresa mista. Forse il preludio a quello che tutti nel mondo dell’oro nero stanno aspettando: l’apertura ai capitali stranieri dell’industria petrolifera iraniana. già passata una legge che consente alle società estere di entrare al 49% ma se in Iran vincerà l’ala riformista probabilmente cambieranno totalmente le prospettive degli investimenti stranieri, oggi limitati da una legge costituzionale».