Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 novembre 2001
All’inizio degli anni Sessanta mi prese un intenso prurito (intellettuale) per le pulci, e decisi di studiarle a fondo limitando però il mio campo di ricerca (l’oggetto sarebbe stato, altrimenti, troppo vasto) alle pulci italiane
• All’inizio degli anni Sessanta mi prese un intenso prurito (intellettuale) per le pulci, e decisi di studiarle a fondo limitando però il mio campo di ricerca (l’oggetto sarebbe stato, altrimenti, troppo vasto) alle pulci italiane. Per un amore improvviso, come per una vocazione, non si deve cercare una spiegazione razionale. Ma essendo trascorso un quarto di secolo, ed essendo da tempo scomparso il mio prurito per le pulci, posso ora più serenamente indagarne le cause.
Una fu certamente l’ambiente in cui lavoravo. Ero aiuto nell’Istituto di Parassitologia, Università di Roma; e le pulci, si sa, son parassiti. L’altra fu il momento della mia carriera accademica: ero giunto alle soglie del concorso per la cattedra, ma la mia produzione era valutata alquanto compromettente, perché l’impronta sociale straripava da ogni lavoro. «Scriva qualcosa di scienza pura», mi consigliavano. Provai perciò a dedicarmi ai vermi intestinali: ma la purezza di questo argomento fu nuovamente inquinata dal fattore sociale, quando scoprii che le parassitosi da cui erano afflitti i bambini in una borgata della provincia romana (Carchitti, comune di Palestrina) erano quasi scomparse con il passaggio delle loro famiglie in abitazioni decenti, senza bisogno di altre cure; e lo scrissi.
• Intanto l’istituto aveva pubblicato una splendida monografia sulle zecche italiane, che stimolò la mia volontà imitativa. L’autore era un simpaticissimo collega, Oleg Starkoff, che oltre alla passione per le zecche ne aveva altre: la politica, il vino, le canzoni russe. Quando le ultime due passioni si coniugavano, la sua splendida voce di basso allietava sonoramente le nostre serate. Nella politica aveva seguito un insolito percorso: era giunto in Italia da ragazzo, con il padre scienziato emigrato dalla Russia perché sdegnato dalla rivoluzione bolscevica; e in Italia era diventato comunista. Fu Oleg il primo a suggerirmi: perché non studi le pulci?
Fui folgorato da questa idea, ma non sapevo davvero da dove cominciare. Quando lo seppe, Enrico si dichiarò fraternamente disposto a mettermi a disposizione le pulci del suo cane, un affettuoso pastore tedesco che aveva chiamato Drug (amico, in russo); ma gli dissi subito, avendo già quel minimo di conoscenze che serviva a far lezione agli studenti, che la pulce Ctenocephalides canis non presentava alcun interesse scientifico. E poi, risultò pure che Drug era pulitissimo. Decisi allora di seguire il cammino obbligato di ogni ricerca: partire dalla bibliografia.
• Mi affacciai quindi alle prime citazioni, e seppi subito che Aristotele aveva scritto sull’argomento molte inesattezze, che come tutte le sciocchezze dei Grandi durano a lungo nel tempo. Aveva infatti sostenuto che le pulci sono il prodotto della putrefazione di corpi più piccoli: per esempio, dove c’è polvere di sterco, là tu trovi le pulci. In altre parole, la tesi della generazione spontanea dalla sporcizia delle tane e delle case. Si dovette aspettare l’invenzione del microscopio, perché il suo stesso inventore Leeuwenhoek lo puntasse verso questi insetti e dimostrasse (sfidando l’ironia dei contemporanei, che chiamarono lo strumento ”lente da pulci”) che nascono da uova, diventano larve simili a bruchi, si rinchiudono in un involucro come il baco, e infine ne escono in fase già adulta (...).
Le mie digressioni sul passato si interruppero ben presto, per due motivi: il timore di ripiombare nella dimensione storico-filosofica e sociale, allontanandomi di nuovo dalla ”scienza pura” e compromettendo per sempre la mia carriera accademica; e la scoperta, nel frattempo, che esisteva in Inghilterra, come sezione altamente specializzata del British Museum (Sezione di storia naturale), una Rothschild Collection of Fleas, una collezione di pulci di ogni paese intitolata a un certo Rothschild. Scoprii che, come gli orologi di tutto il mondo sono orientati sull’ora dell’Inghilterra, partendo dal meridiano di Greenwich, così gli studiosi di pulci di ogni continente confrontavano le loro ricerche, e gli esemplari man mano raccolti, con la terra madre inglese della collezione Rothschild: un cognome che, fino ad allora, avevo associato soltanto alle banche. Credetti ovviamente che fosse un omonimo.
• Scrissi subito al British Museum, preannunciando il mio desiderio di occuparmi dell’argomento. Dopo un brevissimo tempo, in data 31 maggio 1961, ebbi una risposta firmata F.G.A.M. Smit, che cominciava con queste frasi entusiaste: «Caro professor Berlinguer, la vostra lettera contiene le più belle notizie che ho ricevuto da lungo tempo, perché l’Italia è virtualmente terra incognita per quanto riguarda le pulci. Sono anche convinto che se nella fauna italiana le pulci fossero più conosciute, questo sarebbe un notevole contributo generale allo studio della fauna mondiale». Confesso che provai un po’ di vergogna, come italiano, all’annuncio inatteso che la mia patria fosse così arretrata scientificamente; e che qualcuno potesse scrivere sulla nostra carta faunistica (come gli antichi disegnavano imprecise mappe dell’Africa, scrivendovi hic sunt leones) che l’Italia fosse terra incognita, sia pure per le sole pulci. Ma fui lusingato, al tempo stesso, per le speranze e le attese del mondo scientifico internazionale verso il mio futuro lavoro.
Insieme a questa lettera, F.G.A.M. Smit (non mi disse mai a quali nomi corrispondessero le quattro iniziali; ma mi spiegò che l’assenza dell’h finale, nel più banale dei cognomi inglesi, veniva dal fatto che egli era di origine olandese) mi inviò un elenco dei pochissimi studi sulle pulci già pubblicati nella terra incognita, e mi diede precise istruzioni per la raccolta, il montaggio su vetrini e la classificazione di questi insetti (...).
• In base alle istruzioni di Smit cominciai le ricerche. Girai per varie regioni per catturare pulci su molti animali, comprese le rondini. Le cercai nei nidi, naturalmente. Il ciclo di vita degli insetti si svolge dall’uovo alla larva, alla ninfa, e infine all’adulto. Nelle prime tre fasi le pulci crescono nelle tane e nei nidi dell’ospite parassitato (le pulci umane, canine e feline nei pavimenti di casa e nelle cucce). Il ciclo è perfettamente adattato a ogni singolo ospite. Le pulci delle rondini, uccelli migratori, si accoppiano in estate. All’inizio dell’autunno la pulce femmina depone le uova, le lascia nel nido, e vola verso il Sud, ciascuna tra le sue piume predilette: la pulce Ceratophyllus hirundinis sulla rondine Hirundo rustica, e altre specie sulle rondini appropriate. Nelle stagioni successive, da ogni uovo nasce lentamente la larva, in primavera la ninfa e subito dopo la pulce adulta: sessualmente matura, ma soprattutto affamata e pronta a compiere il primo pasto sulle rondini appena rientrate dal lungo viaggio.
• È probabile che il letargo delle pulci durante la stagione fredda (più esattamente: il rimanere nell’involucro di seta, in forma di pupa) sia condizionato dalla temperatura. Il calore della primavera, ma anche il calore e l’odore delle rondini tornate al nido, agisce su di loro, risvegliandole: come il bacio del Principe per la Bella addormentata nel bosco. Purtroppo un effetto analogo, cioè un’accelerazione dello sviluppo e uno stimolo a nutrirsi per pulci già uscite dal bozzolo ma ancora digiune, ha il nostro entrare in nidi umani da tempo abbandonati: case, solai, cantine. comune esperienza che, in questi casi, veniamo subito assaliti da eserciti di pulci affamate e aggressive. il nostro calore, odore, movimento che le risveglia e le sprona all’assalto. Se perciò il padrone di una vecchia casa disabitata vi accompagna a visitarla e vi apre la porta dicendo «prego, prima lei, si accomodi», sapete quel che vi aspetta per questo atto benevolo o maligno. Consiglio perciò di rifiutare con analoga cortesia.
• Nelle ricerche mi aiutò parecchio Benvenuto Capparella, un anziano lavoratore di Santa Marinella, presso Civitavecchia, nato con uno straordinario talento di naturalista che avrebbe potuto fare di lui un vero scienziato. Ma era anche nato povero, non aveva potuto studiare, e nonostante ciò aveva messo a frutto le sue qualità diventando un ”cacciatore scientifico”: viveva infatti procurando animali e animaletti agli istituti di ricerca, su commissione. Girando con lui sui monti della Tolfa, l’ho visto catturare con le mani le vipere («basta saperle prendere»), identificare e seguire le piccole feci lasciate dai roditori selvatici per prenderli nella tana, capire a distanza sotto quali sassi si nascondessero i Latrodectus mactans tredecimguttatus, ragni velenosi e talvolta assassini (lo dice la parola stessa: mactans), punteggiati nel dorso da tredici macchie a forma di goccia. Lo vidi prendere in poche ore, afferrandoli tra pollice e indice e chiudendoli uno dopo l’altro in provette, separati da batuffoli di cotone perché non si danneggiassero tra di loro, oltre 600 Latrodectus che gli erano stati commissionati dall’Istituto superiore di sanità, per ricerche sui veleni degli insetti.
• La cattura delle pulci, malgrado la collaborazione di Benvenuto (in realtà ero io il suo assistente) non era altrettanto rapida. Per Giggi Zanazzo, il poeta che descrive in versi romaneschi l’operazione-Arca compiuta da Noè, tutto sembrava facile: Il patriarca infatti acchiappava le purci e li pidocchi, e pe’ nun perde tempo l’incartava.
Ma ai nostri tempi, forse perché intuiscono che abbiamo altre intenzioni che salvarle dal diluvio, le pulci saltano, scappano, abbandonano il corpo dell’ospite se la sua temperatura cutanea diminuisce per spavento (a tutti gli animali a sangue caldo viene la ”pelle d’oca”, la vasocostrizione periferica da paura) o peggio per decesso. Questi insetti hanno una straordinaria capacità di percepire i cambiamenti che avvengono nei loro involontari donatori di sangue, in modo da poter abbandonare in tempo la barca che affonda. Se si uccide un topo o un coniglio infettato dalle pulci, pochi secondi dopo queste si eccitano, anzi vengono prese da terrore, si portano verso l’esterno del pelame, saltano e corrono agitatissime e abbandonano il corpo della vittima, per ricercare subito un nuovo donatore che stia nei paraggi, o per nascondersi in attesa di tempi migliori. In molti casi non c’è neanche la speranza-timore che tu possa catturarle perché ti son venute addosso, in quanto ogni specie di pulce (al mondo ne sono state catalogate oltre duemila, a volte diverse tra loro quanto una mucca e un cane bassotto; e molte altre sono ancora ignote, terreno inesplorato per future ricerche) predilige il proprio ospite.
• Purtroppo, la specificità si allarga quando non c’è il menu più prelibato, e bisogna accontentarsi di quel che passa il convento. Perciò le pulci dei ratti, dopo averli appestati e aver causato una moría di questi roditori, saltano spesso, anche se malvolentieri, sugli uomini, e ci portano la malattia. Anche Ctenocephalides canis e suo fratello (o sorella) Ctenocephalides felis sono a volte riluttanti (ma dipende dalla bontà del sangue, a gusto loro) a piombare dai cani e dai gatti su di noi; e viceversa, la nostra Pulex irritans si trova a pieno agio proprio sugli umani, e ama poco cani e gatti.
Nelle mie ricerche, fui anche ostacolato da un mio handicap, che in tempo di peste mi avrebbe forse salvato la vita, e che, quando ho frequentato case e animali pulciosi, avevo sempre considerato un innato beneficio: ho sangue poco gradito agli insetti. L’avevo constatato già da ragazzo, e poi ne ho avuto conferma da sposato, commiserando al risveglio del mattino (con qualche sprazzo di sadica soddisfazione) i miei co-dormienti cosparsi di punture, mentre io ero integro. Non ci avevo mai riflettuto più di tanto: ma è proprio questo che fa la differenza tra uno scienziato di poco conto e un predestinato al premio Nobel, il quale osserva, sperimenta e scopre novità in ogni occasione. L’entomologo Karl von Frisch, per esempio, trovandosi con un collega nella stanza di un albergo di Napoli, la trovò infestata dalle pulci. Chiunque avrebbe protestato, o sparso qualche disinfestante, o cambiato albergo. Invece von Frisch convinse il collega a passeggiare con lui nella stanza per un’ora precisa, scalzi e in camicia da notte, per attirare le pulci, catturarle e contarle. Vide che lui ne aveva solo cinque, il collega una cinquantina; ma che, per contro, le punture sulla sua pelle formavano papule rosse e larghe, mentre quelle del collega quasi non si vedevano. Purtroppo, negli anni successivi von Frisch frequentò evidentemente alberghi più puliti, e questo gli impedí di sperimentare piú a lungo e di spiegare questi comportamenti misteriosi e perfino contraddittori. Forse per questo si concentrò poi sulle api, insetti addomesticati; e scoprendo il loro linguaggio vinse il premio Nobel.
• Comunque, malgrado l’handicap fisiologico e le lacune intellettuali, riuscii a catturare numerose pulci. Altre le trovai peregrinando per i musei (di scienze e di storia naturale, ovviamente), in alcuni dei quali scoprii piccoli campionari collezionati quasi un secolo prima da miei predecessori. Esaminai con qualche emozione, per esempio, le pulci originali raccolte da Tiraboschi sui ratti catturati nel porto di Genova. Pur essendo certo che nella loro proboscide pungente i microbi Yersinia pestis erano da tempo defunti, faceva impressione pensare che qualcuno degli insetti che vedevo al microscopio aveva forse punto e ucciso un ignoto genovese.
In verità le pulci museali erano poco distinguibili l’una dall’altra: erano state messe tra i due vetrini (il portaoggetti rettangolare più spesso e più ampio, e il coprioggetti sottile, piccolo, quadrato), ed erano state imbalsamate (proprio così: per la conservazione si usa un liquido oleoso che tende nel tempo a indurirsi, il balsamo del Canadà), senza vuotarle completamente del sangue e delle interiora. Ciò ostacolava la trasparenza (glasnost, in russo), la visibilità e la classificazione. Questa, infatti, è basata sulle particolarità dell’esoscheletro, cioè della cuticola dura, articolata e impermeabile che gli insetti (come tutti gli altri parenti dello stuolo immenso e vario degli artropodi: ragni e aragoste, scorpioni e zecche) hanno all’esterno del corpo, più protetti di noi che abbiamo invece un endoscheletro. Le pulci hanno escrescenze chitinose in forma di pettini, spine e setole che proteggono le parti più delicate del corpo, favoriscono il progredire fra i peli e le piume degli ospiti, e permettono a noi di raggrupparle per la classificazione in famiglie, generi e specie. Particolarità anche piccole - per esempio la collocazione di un peluzzo che in Pulex irritans sta sotto l’occhio, e in Xenopsylla cheopis dinanzi ad esso - permettono di individuare ogni specie, i suoi ospiti più probabili, la sua maggiore o minore pericolosità.
• Per catalogarle meglio disimbalsamai quindi le pulci storiche e le preparai all’osservazione con lo stesso metodo che usavo per gli esemplari catturati: innanzitutto, svuotandoli completamente degli organi interni, cioè di ogni frattaglia, un insetto per volta, per ridurli a puro scheletro. Non si pensi però a un’operazione lunga e complicata, con i ferri della microchirurgia. Un semplice bagno di soda caustica pulisce tutto, ponendo in evidenza la cuticola con le sue setole e le sue spine, le zampe con i loro artigli, le antenne, l’apparato boccale con mascelle e mandibole taglienti e pungenti. Si salvano anche, nel bagno di soda, lo spropositato apparato sessuale maschile che afferra in una morsa la femmina, e la spermateca di questa (una banca dello sperma, che conserva il seme dopo l’accoppiamento, consentendo ad uno spermatozoo per volta di fecondare centinaia di uova), anch’essi organi utilissimi non solo per distinguere maschio e femmina, ciò che con l’esercizio si può fare quasi ad occhio nudo, ma soprattutto per l’identificazione delle varie specie. Non mi aspettavo, al microscopio di vedere un pene che misura oltre un terzo del corpo, così complicato che crudeli guardoni, che l’hanno non solo osservato a lungo durante l’accoppiamento (che dura da tre a nove ore) ma anche congelato o fissato chimicamente durante la funzione, non hanno capito a che servissero tutte le sue parti; fino a concludere che «la cosa è priva di senso». Ma la sessualità delle pulci, per l’anatomia dei loro organi e più ancora per il loro comportamento, doveva riservarmi molte altre sorprese.
• Con le mie pulci ben lavate e reimbalsamate lavorai a lungo misurando, fotografando e disegnando, e riuscendo a classificarle in superfamiglie e famiglie, e queste in generi, specie e sottospecie, con le ”chiavi dicotomiche” che si usano comunemente in zoologia, da Linneo in poi. Il sistema, che consiste nel contrapporre due a due i caratteri opposti, fino a giungere a identificare il cognome (genere) e il nome (specie) di tutti gli esemplari, ha precorso il metodo di calcolo binario che sta alla base dei computer.
Sebbene avessi scambiato numerose lettere con F.G.A.M. Smit, e avessi ricevuto per i miei lavori in corso preziosi consigli, nutrivo legittimi dubbi sulle mie improvvisate qualità di entomologo; e avevo peraltro bisogno di confrontare i miei esemplari con quelli di altri paesi. Decisi perciò di abbeverarmi alla fonte: a Londra, a Londra! Quando vi giunsi, scoprii che il museo delle pulci non era nella capitale, ma a Tring, un piccolo e grazioso paese dell’Hertfordshire. Scoprii anche che il Rothschild della collezione era proprio lui, della schiatta dei banchieri.
E a Tring conobbi finalmente il mio maestro Smit, con il quale simpatizzammo subito, anche per mutua riconoscenza: io per l’aiuto datomi, lui perché avevo trasformato l’Italia in terra cognita. All’inizio avevo però rischiato di compromettere tutto per un’infelice battuta (in qualche campo, prima o poi mi capiterà, lo sento). Il dialogo fu questo:
Io: Sono ammiratissimo per questa splendida collezione. Ma c’è qualche legame fra il nome che le è stato dato, e il Charles Rothschild noto banchiere internazionale?
Lui: è la stessa persona, naturalmente. Come fa a non sapere che fu lui a scoprire Xenopsylla cheopis e tante altre specie di pulci, che è stato lui a cominciare questa raccolta, che è stato lui a scrivere nel suo testamento una frase indimenticabile come «intendo lasciare le mie pulci alla nazione»?
Io: La ringrazio; ora lo so, e mi sembra anche di comprenderne la ragione. C’è un’affinità, probabilmente, tra insetti ematofagi e banchieri.
• Fece un volto tale che dovetti scusarmi. Capii che la pesante ironia di un comunista italiano può risultare molto lontana dall’humour di un conservatore britannico, soprattutto se il conservatore è anche conservatore (in senso stretto) di un museo sostenuto da un lascito annuo di 10.000 sterline datate 27 febbraio 1913, e da allora più volte rivalutate. L’offesa, però, non derivava da interessi lesi; capii che l’avevo colpito dolorosamente la mia ignoranza. Comunque, non insistetti, e la mia scarsa conoscenza non delle pulci, ma questa volta della letteratura e dell’arte inglese, mi fu favorevole. Non sapevo ancora, in quel tempo, che all’inizio dell’epoca vittoriana un singolare scrittore visionario, William Blake, aveva creduto di vedere fantasmi di pulci con corpo e volto di uomini, e li aveva disegnati come dal vero in forme riprodotte poi da John Varley, nel 1828, nel suo A Treatise on Zodiacal Phisiognomy. Dico che fui salvato dall’ignoranza perché la visione di Blake fu di un uomo ematofago: se l’avessi saputo, difficilmente mi sarei trattenuto dal proseguire il discorso sui banchieri. Non sapevo neppure che nella schiatta dei Rothschild c’erano stati, e ci sarebbero stati dopo Nathaniel Charles, altri entomologi e studiosi di pulci.
• Ma in realtà dovetti ricredermi, non sui banchieri in generale, ma sull’onorabile Nathaniel Charles Rothschild di Ashton Would Oundle della contea di Northampton, e sul suo contributo alla scienza. Non sono in grado di valutare i saggi da lui scritti sull’economia internazionale; e non commento le sue eclettiche convinzioni politiche, riassunte in una lettera del 1901 al suo amico e collega entomologo Hugh Birrel: «Essendo io un socialista radicale, corretto da opinioni conservatrici e individualistiche, sono ovviamente soddisfatto se il socialismo guadagna terreno, ma penso al tempo stesso che l’individualismo deve avere il suo posto». Fu comunque un banchiere atipico, che sopportava con qualche disagio la vita della City. Da ragazzo aveva collezionato uccelli e mammiferi e cominciato a osservarne i parassiti, e da adulto si specializzò in pulci. Fra il 1901 e il 1907, il padre lo inviò in Egitto, in Italia e in altri paesi a sud della City, per curare la sua malferma salute, e in questi luoghi fece col suo amico Karl Jordan le maggiori scoperte. Quando individuò nella valle del Nilo cinque esemplari uguali che denominò Xenopsylla cheopis (pulce straniera di Cheope, questa è la traduzione del nome latino), scrisse al solito Birrel: «Essi appartengono ad un gruppo che a mio parere diverrà famoso, perché probabilmente ne fanno parte i vettori della peste in India». Aveva avuto una giusta intuizione. E la Plague Commission, la commissione scientifica che studiava l’epidemia scoppiata nell’allora colonia inglese, gli mandò molti esemplari da identificare e da classificare, per conoscere meglio il ciclo e la trasmissione della malattia.
• Con F.G.A.M. Smit facemmo presto la pace, e in segno di riconciliazione mi invitò a cena nella sua casa, dove conobbi la moglie e mi affacciai alla privacy dell’ormai amico entomologo. Mi mostrò perfino la sua collezione di francobolli, di cui mi aveva parlato: «Vedrà, è ricca ma soprattutto è altamente specializzata». Scoprii che erano tutti francobolli raffiguranti insetti, provenienti da ogni parte del mondo. Ne ebbi sorpresa e paura. Ripensandoci ora, credo che proprio in quel momento cominciò ad affievolirsi la mia vocazione per la raccolta e l’identificazione delle pulci. Il timore di dover trascorrere l’intera vita in un museo di insetti defunti e imbalsamati, e le ore libere con l’hobby di raccogliere insetti postali, sia pure multicolore e multilingue, mi impedí probabilmente di dedicarmi per più lungo tempo e di avere più successo in queste ricerche.
Però completai il lavoro intrapreso, spinto dalla cocciutaggine e più ancora dall’interesse di carriera. E pubblicai, alla vigilia del concorso a cattedra, la mia monografia rilegata in blu, consistente in 364 pagine di testo, disegni e fotografie originali. L’amico F.G.A.M. Smit ne fu fiero, e me lo scrisse. L’unico dispiacere che gli detti fu il titolo: nella polemica che divide da molto tempo gli entomologi in due partiti sul nome da dare all’ordine zoologico delle pulci (Siphonaptera o Aphaniptera?), scelsi il secondo, sebbene Smit mi avesse scritto con angoscia: «Lo usano quasi soltanto gli italiani, i cecoslovacchi e i russi!». Ma la mia decisione, lo giuro, non era dettata da simpatie politiche orientali, bensí dalla tradizione nazionale.
• Proprio in Inghilterra, con l’attenuazione della mia vocazione classificatoria, cominciò tuttavia a rodermi dentro (si può ben dire: come una pulce nell’orecchio) un interesse più vasto per questi e per altri insetti. Comprai e lessi infatti Rats, Lice and History (Ratti, pidocchi e storia) di Hans Zinsser; e scoprii quale tremenda importanza avessero avuto pidocchi, pulci e zanzare nelle vicende umane di tutti i tempi passati. Visitai la London School of Hygiene and Tropical Medicine, e vidi che gli scienziati più moderni lavoravano non sulle pulci morte ma su quelle vive, allevandole per studiarne non solo la forma esterna ma i comportamenti, la nutrizione, la sessualità, lo sviluppo; e scoprii quale complessa e affascinante integrazione lega i parassiti ai loro ospiti.
Essi (i parassiti) più sono perfezionati, meno tendono ad esaurire la fonte (noi) del loro nutrimento. Virus e batteri, che sono aggressori scriteriati, causano spesso malattie letali; e perciò periscono anch’essi, affidando la discendenza solo alla colonizzazione di nuovi ospiti. Già i vermi, e più ancora gli insetti, che sono i più evoluti fra gli invertebrati, cercano invece di limitare i loro pasti al minimo vitale: non uccidono cioè la gallina dalle uova d’oro. Non c’è simbiosi, naturalmente, non c’è vantaggio reciproco tra loro e noi; faremmo volentieri a meno della loro presenza, e non sarei entusiasta di un’eventuale campagna del Wwf per salvare dall’estinzione specie viventi come Aedes egypti, la zanzara che trasmette la febbre gialla, le varie specie di Anopheles, che sono le zanzare malarigene, o Pediculus humanus, che inocula il tifo esantematico; e neppure quelle specie, fra le mie amate pulci, che propagano la peste. Ma se le pulci talvolta uccidono non è per cattiveria, o per colpa diretta: ciò accade solo quando diventano veicoli o vettori di altri agenti patogeni, minori per dimensioni e anche per intelligenza biologica.
• Alla London School, dicevo, studiai gli allevamenti di pulci. Non vi è bisogno di una sezione dell’Avis (volontari del sangue), con generosi donatori che si prestino a fornire il nutrimento. Nei laboratori si usa sangue secco (proveniente da macelli, spero) che viene collocato al fondo di recipienti cubici di vetro di dimensioni 60 x 60 x 60 centimetri, sufficienti ad impedire l’evasione per salto, aperti verso l’alto e brulicanti in basso di migliaia (o milioni?) di insetti. Pensai malignamente a quel che sarebbe accaduto versandone il contenuto dai balconi interni del salone principale di Buckingham Palace, durante un ballo di corte, sulle coppie che danzavano il galop.
Lo pensai non perché sono un repubblicano perverso e accanito, ma perché figlio di un avvocato penalista sardo. Mi sovvenne improvvisamente, infatti, un processo in cui mio padre aveva sostenuto la parte civile per un caso analogo. Fra due famiglie vicine di casa residenti in Sorso, una cittadina accanto a Sassari, dove i maligni affermano che la fonte d’acqua chiamata Billellera produce persone stravaganti e insane di mente (anch’io ho qualche avo che è nato in quel comune, e che ha bevuto a quella fontana), scoppiò una lunga lite con ripicche e dispetti che non terminavano più. Una delle famiglie infine, stufa di questa guerra, decise di cambiare casa e si trasferí, passando coi carri carichi di mobili, materassi e masserizie sotto le finestre del nemico. Da queste, piovvero sui carri molti strani cartoccetti. Nella nuova casa, la famiglia emigrata ebbe l’orrore, poco dopo l’insediamento, di constatare un’infestazione massiva di cimici. La famiglia vittoriosa non si era accontentata di restare padrona del campo: aveva allevato con pazienza migliaia di Cimex luctularius per incartarle (come faceva Noè nell’arca con pulci e pidocchi) e poi scaraventarle sull’avversario in fuga. Un esempio casareccio di quel che potrebbe diventare in futuro la guerra biologica, che peraltro cominciò proprio con le pulci. Il primo episodio registrato nella storia avvenne a Caffa, colonia genovese in Crimea, nel 1346. La città era assediata dai tartari e il loro khan, con l’esercito decimato dalla peste, ricorse all’estremo rimedio: con le catapulte fece gettare al di là delle mura i cadaveri dei propri soldati, e con loro le pulci. I genovesi fuggirono presto dalla città, portando nelle loro navi gli insetti, i ratti e la peste. Cominciò cosí la grande epidemia del Trecento.
• Le cimici, fortunatamente, sono soltanto fastidiose e non trasmettono gravi malattie. L’episodio d Sorso finí perciò con un dispetto e non con una strage sarda e poi europea. I colpevoli, comunque, furono condannati. Non sono però riuscito ad avere da mio padre due informazioni scientifiche essenziali: con quali metodi gli aggressori avessero allevato le cimici; e con quali criteri i giudici avessero accertato ”oltre ogni ragionevole dubbio” che esse provenivano dalla loro casa. Dovrò cercare negli archivi giudiziari gli atti di quel processo.