Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 30 novembre 1998
La nuova Finanziaria prevede uno stanziamento di 5
• La nuova Finanziaria prevede uno stanziamento di 5.300 miliardi (da spendere in tre anni) come sostegno al diritto allo studio. Una parte di questa cifra, 347 miliardi, dovrebbe essere accantonata per finanziare in futuro (quando ci sarà una legge che lo stabilisca) la scuola privata.
• Il terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione dice che la scuola privata deve essere «senza oneri per lo Stato». «Senza vuol dire senza, e basta».
• «A me interessa che il ragazzo abbia tutte le possibilità di realizzare se stesso ovunque vada. O diciamo ”non intendiamo dare alcun aiuto alle scuole private”, e questa è una soluzione; o ragioniamo in termini di ragazzi e di famiglie, cercando di fare in modo che le agevolazioni per i non abbienti siano eguali dovunque essi vadano, e poi saranno le famiglie e i ragazzi a decidere dove» (Luciano Violante a Mario Reggio).
• «Le risorse vanno concentrate nel potenziare la qualità della scuola di tutti, non a incoraggiare la separazione fra i giovani in base alle loro provenienze etniche o concezioni religiose. Il rischio è che la scuola pubblica divenga la scuola dei poveri e degli emarginati. Non può essere lo Stato a incoraggiare questo processo. Le scuole private debbono essere sostenute da coloro i quali vogliono frequentarle» (Giorgio La Malfa).
• «A Secondigliano la scuola pubblica fa schifo. Mettere a posto le aule, collegare le scuole a Internet piuttosto che rimborsare una parte della retta (le rette sono una sorta di finanziamento indiretto alla scuola) a chi vuole iscrivere il figlio alla privata, è non solo una priorità ma un punto di forte equità sociale» (Gloria Buffo a Letizia Paolozzi).
• «Io non voglio non dare fondi anche per rifare i bagni delle scuole pubbliche, ma mi chiedo: perché le università possono essere private, come quella di Urbino, la Luiss e la Bocconi, e le scuole medie no?» (Clemente Mastella a Gianni Fregonara).
• «Lo Stato stanzia per la scuola pubblica troppo poco per distrarne di che finanziare anche quelle private» (Indro Montanelli).
• Uno studente della scuola pubblica costa in media 7.580.000 lire l’anno, uno della privata 4.600.000.
• «La scuola italiana si regge, là dove si regge, sulla passione, sulla dedizione, sul volontariato di alcuni eroi della cattedra pagati con stipendi da fame per assicurarne uno anche ai semianalfabeti sfornati dalle nostre università negli anni degli ”esami di gruppo” e del ”ventisette garantito”. Sebbene costoro siano in soprannumero, nessun governo ha osato liberarne la Scuola, e nessuna forza politica glielo ha chiesto» (Indro Montanelli).
«Il finanziamento statale a fondo perduto, che ha il benefico effetto di assicurare un basso costo o addirittura la gratuità per gli utenti, ne ha anche uno pesantemente negativo. Mettendo fuori gioco la concorrenza dei privati, di fatto abbassa la qualità del servizio, si assumono non i professori migliori ma quelli che hanno svolto più supplenze; non esiste carriera, l’assegnazione dei posti e la mobilità avviene su graduatorie fondate solo sull’anzianità di servizio. Occorre una volta per tutte decidere se la scuola pubblica è un parcheggio contro la disoccupazione intellettuale o un servizio di qualità» (Innocenzo Cipolletta).
• «Nella maggior parte dei casi, le scuole private non sono né migliori né peggiori di quelle statali. Sono soltanto più care. Quel che serve, tanto per cominciare, è una graduatoria di qualità delle scuole italiane, private e pubbliche, sul tipo di quella che ha compilato in Inghilterra il ”Financial Times”. Che abbiano studiato al Parini o dai padri Barnabiti, i ragazzi italiani soffrono degli stessi handicap. Matematica, scienze, lingue straniere, uso del computer: insomma, tutto ciò che più conta per restare a galla nel mondo d’oggi».
• «E chi decide quale sia il sapere necessario a tutti per vivere e lavorare? La famiglia, la confessione, l’impresa? Le ragazze e i ragazzi di questo Paese hanno bisogno di qualcosa di più di un sapere ”per stare a galla”, come dice Chiaberge, un po’ d’inglese, un po’ d’informatica».
• «Sulla soluzione tecnica specifica Confindustria da tempo si è pronunciata a favore del credito d’imposta e cioè del diritto, che occorre assicurare alle famiglie, di dedurre dal proprio carico fiscale parte del costo delle rette pagate per consentire ai propri figli di frequentare scuole non statali di cui sia riconosciuta la qualità».
• «Ammettiamo che i leghisti decidano di aprire scuole ”private” dove il giovane studente sia formato all’idea di secessione; o, per essere più realisti, che le scuole private cattoliche mantengano ed eventualmente accrescano il loro carattere ”confessionale”: pur nella profonda differenza dei due casi, si dovrà finanziare o favorire questo ”diritto allo studio”? Ognuno ha il diritto di inventare una scuola per proprio conto, di sceglierla e di farla scegliere se crede, ma se si pensa di impegnare una lira di bilancio pubblico in questa direzione si commette un errore».
• «Il buono-scuola è una carta di liberazione per i poveri. Tramite il ”buono” anche la famiglia povera potrà scegliere quella scuola che ormai oggi è solo dei benestanti o dei ricchi. Il monopolio statale dell’istruzione oltre che liberticida, viola le regole della giustizia sociale: chi manda il proprio figlio alla scuola non statale paga due volte, una volta con le imposte - per un servizio che non riceve - e una seconda volta con la retta da corrispondere alla scuola non statale. E pagare due volte l’istruzione per i propri figli è un lusso che non tutti possono permettersi» (dal manifesto dell’Associazione Cattolici e Laici per la scuola libera).
• Lo stato finanzia già la Chiesa cattolica: otto per mille (1.326 miliardi e 700 milioni nel ’98), stipendi agli insegnanti di religione (tra 1.100 e 1.200 miliardi l’anno), stipendi dei cappellani militari e dei religiosi che lavorano nell’assistenza sanitaria (circa 30 miliardi l’anno).
• «Il ”privato” deve diventare ”pubblico” se vuole aspirare a un riconoscimento: e per diventare pubblico esso deve rispettare condizioni importanti, oggi in Italia insussistenti e che vanno costruite: dallo standard dell’insegnamento, all’assunzione dei docenti per unico concorso pubblico obbligante, alla garanzia di assenza di discriminazioni. In queste condizioni soggetti ”privati”, possono ben gestire e organizzare un servizio pubblico, offrendo anche qualcosa della loro specifica ispirazione culturale, ma il rigore deve essere assoluto».
• «Oggi la Chiesa chiede allo Stato italiano la parità tra scuola pubblica e scuola privata; ma anche quando l’avrà ottenuta sarà ben lontano dal considerare buono il nuovo assetto scolastico. Per la Chiesa, infatti, un assetto scolastico è buono solo se è cristiano, e anzi, solo se è cristiano nel senso in cui il cristianesimo è da essa inteso. Una scuola in cui si neghi che la chiesa sia depositaria della Verità suprema insegna dunque il falso e non è buona, ossia è moralmente riprovevole».
• «Sono cattolico, ma sono contrario a qualsiasi forma di finanziamento pubblico alla scuola privata. Sono infatti convinto che lo Stato pretenderebbe: 1) che venisse impartita un’educazione affatto neutrale; 2) che gli studenti avessero una libertà di manifestazione del dissenso pari a quella di cui godono nelle scuole pubbliche; 3) che non venisse più operata alcuna selezione preventiva degli studenti stessi. Ora mi domando: che senso ha frequentare una scuola cattolica, se il disordine dottrinale e l’indisciplina sono pari a quelli di una statale? Mi preoccupa la miopia di molti cattolici: non sanno per esperienza che quando lo Stato dà alla Chiesa un soldino, è perché vuole rubargli il portafogli?» (lettera di Modesto Liberali, Torino, al "Corriere della Sera").